TWR la (psico)analisi di Breaking Bad: omaggio al Pulp Fiction delle serie TV

La mia avventura con Breaking Bad è appena terminata e la lacrimuccia è stata versata. L’episodio 5×16 mette fine ad una delle serie televisive più amate degli ultimi 10-20 anni. Solo il finale di Lost generò un tam-tam mediatico paragonabile a quello della serie di Vince Gilligan.
A conti fatti, va però detto che Damon Lindelof e Carlton Cuse (i due uomini che ebbero l’onore e l’onere di chiudere Lost) dovrebbero imparare da Gilligan non solo come dovrebbe essere un episodio finale ma, soprattutto, come andrebbe gestita l’intera final season di una serie epica e con una oceanica pletora di fans in tutto il mondo.
A questo proposito vi segnalo un divertente siparietto: Lindelof, dopo la messa in onda del finale di Breaking Bad, è stato tempestato da tweet dei fan che gli facevano presente “come andrebbe chiusa una serie“. Lindelof, rosicando parecchio, ha iniziato a retweettarli compulsivamente.

Ma, lasciamo da parte i discorsi da fan(atico) nostalgico di Lost, e parliamo di cose importanti. Parliamo del re, parliamo di Walter White e di quelli che sono gli elementi che fanno di Breaking Bad un cult assoluto.

Punto di forza n°1: Walt l’eroe/antieroe.
L’idea di Vince Gilligan era quella di creare una serie dove il protagonista positivo, quello con cui lo spettatore tende ad immedesimarsi, diventasse l’antagonista negativo.
Ma scusa allora da che parte devo stare? Devo fare il tifo per lui o no?
E’ esattamente questo il punto: questa altalenante ed ambigua relazione empatia/odio tra lo spettatore e Walt è una delle chiavi del successo della serie.
Inoltre trovare un interprete che potesse suscitare repulsione e pietà, che fosse spietato ma con una (forse apparente) umanità di fondo era impresa ardua. Un altro dei gol di Gilligan è stato proprio quello di credere fortemente in Bryan Cranston, rivelatosi un Walter White immenso.
Cranston, infatti, non convinceva la produzione della AMC. Fu allora che Gilligan mostrò loro una delle “sue” puntate di X-Files, la 6×02 dal titolo Drive, episodio in cui Cranston intepretava Patrick Crump, un pericoloso e violento malato terminale e, così facendo, ottenne il via libera. Risultato: Bryan Cranston vince per 3 anni di fila l’Emmy Award come miglior attore protagonista in una serie drammatica. 

Punto di forza numero 2: un plot 100% originale.
Il plot di Breaking Bad e la trasformazione di Walt sono altrettanto geniali. Prendi un professore di chimica del liceo…
– Che bello, è ambientato in un liceo come Glee e Teen Wolf!
Se ti sentisse Heisenberg ti scioglierebbe in una vasca con dell’acido fatto in casa.
Dicevo, il professor White è un uomo come tanti, per molti versi un perdente. Uno che, nonostante una mente brillante, viene fatto fuori dalla piccola società che ha creato – prima che questa diventi un colosso farmaceutico – ritrovandosi ad accettare un doppio lavoro in un autolavaggio. In pratica uno Steve Jobs ma senza il lieto fine del ritorno in azienda dalla porta principale. 
La molla che fa scattare Walt è la sentenza sul suo stato di salute: un cancro ai polmoni lo condanna ed allora non c’è più tempo. Sua moglie è incinta e suo figlio disabile frequenta ancora il liceo: è il momento di diventare
hungry ed anche foolish… ed in fretta.
Ma come trasformare un sempliciotto perbene come il sig.White nel re della metamfetamina Heisenberg (un ibrido tra Scarface e Donnie Brasco)? La svolta, folgorante, avviene quando Walt assiste assieme al cognato Hank, un agente della DEA, ad una retata per arrestare uno spacciatore di metanfetamina. Qui ritroverà il suo ex-studente Jesse Pinkman ed insieme percorreranno la scalata verso l’olimpo del traffico di meth. Altra particolarità di Breaking Bad, infatti, è che non assiteremo – come spesso capita nei prodotti mainstream – al classico percorso dell’eroe ed al suo tortuoso viaggio verso la redenzione, bensì ad un’ineluttabile corsa verso la dannazione.

Punto di forza numero 3: un microcosmo di personaggi incredibili ma incredibilmente credibili (piaciuto il gioco di parole?).
Se tutto funziona come dovrebbe è merito anche dei comprimari, sempre verosimili e ben caratterizzati per quanto assolutamente fuori dalle righe e, anch’essi, interpretati in maniera magistrale.
Primo fra tutti (co-protagonista più che comprimario) è Aaron Paul, Emmy 2012 per il ruolo di Jesse Pinkman, uno spacciatore di serie C vestito con felpe e pantaloni oversize ed atteggiamento da ‘wannabe gangsta’ stereotipato tutto ‘YO, bro’ e ‘Bitch’.
Bella zio, non ti piace come parliamo noi raga?
Anche Jesse, come Walt, subirà una profonda trasformazione che lo porterà a diventare un ragazzo tormentato dai sensi di colpa a cui l’immenso Aaron Paul conferisce una profondità straordinaria.

Lo strepitoso Saul Goodman, un azzeccagarbugli lestofante e praticone, che ha avuto un impatto talmente devastante sul pubblico da meritarsi una serie spin-off tutta per lui: Better Call Saul

Il glaciale Giancarlo Esposito nei panni di Gustavo Fring, l’insospettabile e serafico proprietario della catena di fast food Los Pollos Hermanos che in realtà è un boss dello spaccio del New Mexico e, all’occorrenza, un assassino a sangue freddo. Fring è, di certo, dei più inquietanti villains mai visti in TV e rappresenterà, per gran parte della serie, il perfetto antagonista di Walt.

Skyler White, interpretata da Anna Gunn (Emmy nel 2013), la moglie di Walt. Da scassacazzi da competizione (e anche un po’ zoccola) ad avida complice delle nefandezze del marito.

Il grandissimo Hank, il cognato di Walt, un agente della DEA ossessionato dal misterioso Heisenberg e poi Mike, il risolvoproblemi della mala, in pratica il sig.Wolf della situazione.
Ci vogliono 30 minuti? Ce ne metterò 10! – 

Un affresco strepitoso che si giova anche di tanti altri personaggi minori che, per quanto abbiano fatto brevi apparizioni, hanno lasciato il segno come la famiglia Salamanca e il Tortuga interpretato da Denny Trejo (noto ai più per il film Machete) con la sua incredibile dipartita:

E poi c’è Huell la guardia del corpo obesa di Saul: geniale. A lui darei, come minimo, un Oscar!

Punto di forza numero 4: sceneggiature, montaggi, regia e musiche sempre al top.
Altro aspetto fondamentale è che gli episodi di Breaking Bad sono eccezionali anche dal punto di vista tecnico.
A partire dall’episodio pilota che si apre con Walt, in camicia e mutande, disperato in mezzo al deserto. Si tratta di un ingegnoso flashforward  che cattura da subito l’attenzione dello spettatore e l’episodio 1×01, non a caso, è stato premiato con l’ennesimo Emmy (stavolta per il montaggio). L’espediente del flashforward, peraltro, verrà riutilizzato in più occasioni nel corso della serie (vedi l’inquietante orsacchiotto rosa della seconda stagione o l’episodio 5×09).
Un’altra felice trovata è l’episodio 2×07 che si apre con il video musicale Negro Y Azul che racconta, in spagnolo, le gesta criminali del misterioso Heisenberg.

E ancora il memorabile episodio 3×10 The Fly in cui Walt trascorre l’intera puntata a dare la caccia ad una mosca all’interno del suo laboratorio. Senza dimeticare le scene girate in Messico rigorosamente in spagnolo NON sottotitolato. E, a proposito di sottotitoli, consentitemi un consiglio: Breaking Bad va visto in lingua originale, tutte le interpretazioni sono magistrali e, purtroppo, col doppiaggio qualcosa si perde per strada.

Punto di forza numero 5: l’epilogo
E ora consentitemi due parole sull’ultimo episodio dal titolo Felina (anagramma di finale), SPOLIER ALERT: se non lo avete visto saltate il periodo qui sotto.


Il finale di Breaking Bad è perfetto: c’è la malinconia di un percorso che si chiude, non c’è redenzione e – senza eccessi e forzature – la strada di Walter White verso la dannazione giunge all’inevitabile epilogo.
C’è inoltre la CLAMOROSA ammissione di Walt: ‘non lo facevo per la famiglia, ma perché finalmente mi sentivo realizzato‘. É la conferma che, nei panni di Heisenberg, Walt si sentisse finalmente il numero 1 dopo una vita da perdente. Questo aspetto era  già venuto fuori in alcune circostanze, come la telefonata a sua moglie dopo l’omicidio di Fring: ‘I won, Skyler‘ e, soprattutto, la celeberrima scena del ‘Say my name‘ (uno sfoggio di celodurismo coi controcazzi!).
E, alla fine, c’è Walt che si specchia nel serbatoio della meth, rivede orgoglioso il suo alter-ego Heisenberg e vi lascia un impronta insanguinata. Insomma, per me, c’è tutto quello che ci doveva essere. FINE SPOILER


 

In conclusione, quel che è certo è che Vince Gilligan ed il suo Heisenberg hanno lasciato un indelebile marchio nella storia della TV del XXI secolo. Se ho intitolato questo mio sproloquio Breaking Bad: omaggio al Pulp Fiction delle serie TV è perchè ritengo che la serie di Gilligan abbia avuto sul mondo delle serie TV lo stesso impatto  che il film di Tarantino ebbe sul cinema: violenza, personaggi eccessivi ma tremendamente realistici e, soprattutto, una cruda realtà dove non si cerca necessariamente la salvezza o la morale. Senza dimenticare che parliamo in entrambi i casi di opere tecnicamente impeccabili e parecchio fuori dagli schemi (per sceneggiatura, regia, montaggio e musiche).

Un ultimo avviso. Se avete intenzione di iniziare la vostra avventura con Breaking Bad, fate attenzione: dopo aver visto un paio di episodi diventerete come Peter Griffin in questo video (io ci sono passato… e non sono ancora del tutto guarito!), a maggior ragione se avete visto anche The Wire.

A questo punto non mi resta che salutare – con un po’ di tristezza ma con grande rispetto – Heisenberg, re dalla metanfetamina e, soprattutto, re della TV.

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1 commento su “TWR la (psico)analisi di Breaking Bad: omaggio al Pulp Fiction delle serie TV

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