Nell’estate 2015 il canale via cavo USA Network ha messo in onda la prima stagione di Mr. Robot, coraggiosa serie televisiva creata dall’allora sconosciuto ai più Sam Esmail, un giovane sceneggiatore di origini egiziane che aveva trascorso la sua adolescenza organizzando retrospettive su Kubrick e giocando con il Commodore 64 prima di creare una società di software specializzata in internet provider.
All’interno di Mr. Robot Esmail ha riversato tutto il suo background digitale e le sue passioni, raccontando la crociata personale di Elliot Alderson – ingegnere informatico di giorno e hacker giustiziere di notte – contro la E Corp, una multinazionale che rappresenta una simbolica incarnazione delle compagnie tecnologiche e dei gruppi bancari più potenti degli Stati Uniti. Elliot, interpretato da Rami Malek, anche lui di origini egiziane, appartiene al team di hacktivisti fsociety. Soprattutto nei primi episodi della serie, la dicotomia è molto chiara: da un lato la E Corp, dove la “E” sta per evil, dall’altro la fsociety, nome che cela lo slogan anarchico “fuck society”. Proprio la società e la sua analisi ricoprono una grande rilevanza nello show, in cui la critica al capitalismo è evidente. Tuttavia, la netta separazione tra bene e male, tra potere nelle mani di pochi contro una ridistribuzione delle ricchezze, sono concetti destinati a diventare sempre più nebulosi con il progredire degli episodi e l’emergere di molte zone grigie.
La lotta di Elliot Alderson contro l’1% dell’1% che tiene in pugno l’economia mondiale è solo una parte della storia di Mr. Robot. La partita, infatti, si gioca su due livelli: al tentativo di fare a pezzi l’egemonia della E Corp, si affianca la guerra in corso nella testa dello stesso Elliot che, affetto da disturbo dissociativo dell’identità, soffre di attacchi di ansia e sociofobia e per questo abusa di droghe e farmaci. Elliot rompe spesso la quarta parete rivolgendosi allo spettatore e parlandogli come fosse un vecchio confidente. Peccato che il nostro rapporto con lui avrà parecchi alti e bassi, perché per gran parte della trama conosceremo solo la sua versione della storia, filtrata dal punto di vista di una persona che si può definire come un “file corrotto”. La coesistenza tra il piano introspettivo e uno ben più ampio consente di spaziare dal dramma psicologico al cyber-thriller complottistico, da In Treatment a Nemico pubblico, aggiungendo lungo il percorso momenti di cruda e brutale violenza. In Mr. Robot emerge come un fiume carsico una vena pulp che porta in scena una galleria di grotteschi assassini di stampo tarantiniano come il risolvi-problemi Irving, lo spacciatore Fernando Vera o la tassidermista dal sinistro sorriso perenne.
Gran parte della narrazione si regge sull’equilibrio instabile tra Elliot e il misterioso Mr. Robot, leader della fsociety che rivelerà solo nelle battute finali della prima stagione la sua vera natura. Un dualismo, quello tra Elliot e Mr. Robot, che ha portato enorme fortuna ai due interpreti. Rami Malek, dopo una carriera da attore comprimario sul grande e piccolo schermo, ha vinto l’Emmy Award 2016 per il ruolo di Elliot. Grazie a quel riconoscimento e alla performance con cui se lo è aggiudicato, tre anni dopo è arrivato per lui l’Oscar 2019 come miglior attore protagonista per il ruolo di Freddie Mercury nel biopic Bohemian Rapsody. Il volto di Mr. Robot, invece, è quello di Christian Slater, star di Hollywood popolarissima negli anni Ottanta e Novanta e che grazie alla serie di Esmail ha rilanciato la sua carriera, aggiudicandosi il Golden Globe 2016 come miglior attore non protagonista.
La presenza di Slater va vista anche in un’altra ottica. Si tratta, infatti, di uno dei tantissimi rimandi che la serie fa a quegli anni – che non a caso sono quelli dell’ascesa dei personal computer – sia da un punto di vista estetico che di contenuto. Il richiamo più evidente si trova già nel plot della prima stagione, in cui vengono mischiati tanti elementi di due romanzi (poi diventati film) di culto come American Psycho del 1991 e Fight Club del 1996. Anche in Mr. Robot sono spesso analizzati concetti come il nichilismo, la crisi d’identità e la corsa verso l’autodistruzione che hanno caratterizzato la generazione X, di cui Bret Easton Ellis e Chuck Palahniuk, autori dei due romanzi, sono probabilmente i portavoce più rappresentativi. Ed è palese come il personaggio di Tyrrell Wellick, un rampante yuppie maniaco che cerca di scalare le gerarchie della E Corp, sia ispirato a Patrick Bateman, il protagonista di American Psycho che al cinema ha avuto il volto di Christian Bale.
A riportarci agli anni della generazione X contribuiscono anche le musiche synth della soundtrack composta da Mac Quayle e l’uso di pezzi molto evocativi di Tears for Fears, Pixies, INXS e altre band dell’epoca. Ma di omaggi, anche sfacciati, agli anni Ottanta e Novanta Mr. Robot ne confeziona molti altri. Come avviene nell’episodio eps3.6_fredrick+tanya.chk (gli episodi sono tutti intitolati come fossero dei file dati), in cui Leon, un altro dei killer nati dall’immaginazione di Esmail, apre la puntata con un monologo sulla serie Supercar, sottolineando come il legame tra il protagonista Michael Knight e la vettura avveniristica K.I.T.T. abbia anticipato il rapporto di dipendenza della società di oggi con la tecnologia.
Un altro omaggio alla cultura pop degli anni Ottanta si trova nell’episodio eps2.4_m4ster-s1ave.aes, che si apre con quindici minuti girati in formato 4:3 e con tanto di risate registrate in sottofondo, come in una vecchia sitcom. La chicca è il cameo di Alf, l’alieno dell’omonima commedia televisiva, nell’inedita veste di pirata della strada. Una delle tante trovate fuori dalle righe di una serie che ha abituato i suoi fan a colpi di scena spesso imprevedibili. Questo è merito soprattutto di Sam Esmail, che oltre a vestire i panni di creatore e sceneggiatore, a partire dalla seconda stagione è diventato anche l’unico regista dello show. Il risultato di questa rarità nel panorama delle produzioni di serie è che il livello della cinematografia della serie ha conosciuto una crescita costante, raggiungendo livelli sbalorditivi che hanno reso Mr. Robot uno tra i prodotti televisivi tecnicamente più ricchi mai realizzati grazie anche a virtuosismi che non hanno nulla da invidiare al cinema, come un intero episodio di 44 minuti in un unico piano sequenza.
Nonostante un successo di critica e pubblico immediato, Mr. Robot ha avuto il grande pregio di non tradire la sua identità iniziale per mantenere o far crescere la sua popolarità, senza mai diventare un prodotto associabile al mainstream. Lo show è andato avanti sul solco tracciato dalla prima puntata, ha esplorato nuove soluzioni narrative, è stato talvolta respingente nei confronti del pubblico generalista per via di una continuity narrativa serrata e di una trama intricata, ma è rimasto coerente con le sue premesse di partenza, arrivando a una conclusione trionfale nella quarta stagione.
La stagione finale di Mr. Robot, ambientata interamente a ridosso delle festività natalizie, si impossessa e rielabora tanti momenti iconici di cinema e tv. Gli ultimi episodi di Mr. Robot danno vita a un climax continuo in cui si alternano una surreale passeggiata nei boschi innevati (omaggio a Pine Barrens, celebre puntata de I Soprano in cui Chris e Paulie inseguono un fuggitivo sotto la neve), una tesissima resa dei conti in cinque atti ambientata in un appartamento che richiama alla memoria The Hateful Eight di Tarantino e realtà alternative che ricordano i flash-sideways dell’ultima stagione di Lost. Ma tutte queste citazioni non devono trarre in inganno: Mr. Robot non è un prodotto derivativo e citazionista in modo sterile, ma è una serie con una personalità molto forte. O meglio: è una serie con tante personalità dirompenti.
In un panorama come quello attuale sempre più affollato di serie tv anche di alta qualità, Sam Esmail, Rami Malek e Christian Slater hanno dato vita a un prodotto che riesce ancora a distinguersi per scrittura, regia e recitazione. Se deciderete di entrare nella testa di Elliot Alderson e nella distopia in cui vive, dovete prepararvi per una delle più appaganti esperienze seriali che la televisione moderna abbia da offrire. Nel continuo processo di evoluzione e miglioramento del medium televisivo, era dai tempi di Breaking Bad che non si vedeva una serie in grado di elevare ulteriormente l’asticella della qualità sul piccolo schermo come ha fatto Mr Robot.