Nell’affollato mercato dei fumetti USA Jonathan Hickman è uno sceneggiatore con uno stile inconfondibile. Tanto nei suoi lavori su serie creator-owned – come The Manhattan Projects, Black Monday o East of West – che in storie di supereroi come i suoi Avengers, Hickman si rivela meticoloso architetto di universi narrativi molto articolati. Proprio per questo può essere bollato, a una prima occhiata, come uno scrittore “complicato”. La realtà, invece, è che Hickman è uno che inevitabilmente non piace ai lettori causali e a chi, nei fumetti e nella narrativa in genere, predilige storie d’avventura canoniche e spegni cervello. Al contrario un lettore hardcore, che cerca una storia stimolante con una continuity interna rigidamente sviluppata, generalmente ama i lavori di Hickman. Lavori che si distinguono anche per la ricerca di una caratterizzazione che arriva attraverso l’originalità. East of West, ad esempio, è una splendida fusione tra la science-fiction ed il western, mentre The Manhattan Projects è una spassosissima epopea che distorce la vicenda del progetto Manhattan trasformando il presidente Roosvelt in un’intelligenza artificiale e sostituendo Einstein con il suo doppelgänger malvagio proveniente da un’altra dimensione.
Fin qui abbiamo parlato di Hickman e del suo modo di fare fumetti. Una cifra stilistica che è molto riconoscibile già dalle prima pagine di House of X, albo che segna il suo debutto sui mutanti di casa Marvel.
La Casa delle Idee ha dato carta bianca ad Hickman al punto da chiudere tutte le testate mutanti in corso di pubblicazione – Uncanny X-Men, Age of X-Man, X-Force e Mr. and Mrs. X – per lasciare spazio esclusivamente a House of X e Powers of X, le due miniserie da 6 numeri ciascuna che, proprio in queste settimane, arrivano alternativamente e con cadenza settimanale nelle fumetterie statunitensi. Dodici albi in tutto che saranno il viatico per introdurre i lettori nel nuovo universo mutante che, dopo anni di storie a fumetti troppo spesso prescindibili, vuole fortemente ripartire. Un’operazione che ricorda quel che Marvel fece ormai quasi venti anni fa, quando nel 2001 affidò a Grant Morrison con i suoi New X-Men il compito di rivitalizzare le avventure degli inquilini della scuola Xavier per giovani dotati.
Certo, dopo aver letto solo il primo albo di House of X è difficile dire se sarà vera gloria. Tuttavia già da queste poche pagine traspare un progetto molto ambizioso in cui Hickman getta sul tavolo un nuovo status quo per la comunità mutante a livello globale. Una situazione che, inevitabilmente, si ripercuoterà su tutto l’ecosistema supereroistico delle testate Marvel.
Non a caso, come dicevo in apertura, il world-building è il primo mattone su cui poggiano le storie di Hickman. Un’operazione così certosina che, per presentare l’universo narrativo con dovizia di particolari, si avvale – come in tutti i suoi precedenti fumetti – di pagine con schemi, grafici ed elenchi (in uno di questi, ad esempio, vengono rivelati tutti i mutanti di classe omega) e persino ad un alfabeto creato ad hoc. A proposito: i simboli alfabetici di House of X #1 sono gli stessi presenti nei balloon di Nightmask sulle pagine degli Avengers di Hickman, questo perché lui ama autocitarsi e collegare con un filo tutte le storie che ha creato per Marvel.
L’impatto potente di House of X sul lettore è dovuto anche ad una prosa asciutta ma d’effetto e alla sensazione di essere al cospetto di una saga ad ampio respiro con un taglio da blockbuster cinematografico. Un approccio che ricorda per molti versi quello che ebbe Hickman proprio su Avengers e New Avengers, anche lì due testate che si intrecciavano ed una scrittura talmente carica di enfasi da sfociare nell’arroganza.
Benvenuti nell’era di Hickman, o meglio: di HiXman.
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