TWR retrospettiva: la trilogia prequel di Star Wars, La Minaccia Lucas

Nei ruggenti anni Ottanta Guerre Stellari rappresentava un vero e proprio pezzo d’infanzia per giovani e giovanissimi. Una trilogia unica nel suo genere che aveva lasciato un segno indelebile nella cultura popolare. Dunque, quando nel 1999 uscì La Minaccia Fantasma, era un sogno che diventava realtà..

Vedere il trailer de La Minaccia Fantasma aveva fomentato ogni fan con aspettative fuori scala (la stessa cosa che accade oggi con Il risveglio della Forza, la speranza ovviamente è che l’epilogo sia diverso). In quel trailer c’era il concept di Darth Maul, c’erano le musiche di John Williams e le spade laser, c’era Liam Neeson ed il bambino che sarebbe diventato Vader. Ma c’era anche qualcos’altro, la vera minaccia fantasma di quel film: Jar Jar Binks.

Jar Jar è il primo (e più macroscopico) dei tre elementi che hanno affossato Episodio I. Tra l’altro il fatto che il trailer si apra proprio con i pessimi Gungan (la razza cui appartiene Jar Jar) e che poi veda l’onnipresenza dello stesso Jar Jar, col senno di poi, la diceva lunga su quello che ci aspettava…
Ma andiamo con ordine. Ecco le tre colosssali magagne di Episodio I: La Minaccia Fantasma.

1. Jar Jar Binks, uno tra i personaggi più detestabili della storia del cinema.
Avrebbe dovuto essere il Chewbacca della trilogia prequel, l’umanoide buffo che accompagnava i cavalieri Jedi. Ma, mentre Chewbacca era un cazzutissimo Rambo peloso nonché copilota di una nave di contrabbandieri, questo abominio in (pessima) computer grafica di Jar Jar è un Pippo di Walt Disney in versione anfibia con una dentatura da cavallo ed un’andatura da fattone. Un mix mortifero.
Il danno sarebbe stato più contenuto se si fosse dato a Jar Jar un ruolo marginale e non lo si fosse posto addirittura al centro del film. Tempo fa lessi nell’internet più di un parere secondo cui Jar Jar sarebbe il vero protagonista di Episodio I e, se ci fate caso, è proprio così. Oltre al considerevole minutaggio riservatogli, è proprio Jar Jar (non Qui-Gon, né Obi-Wan o Anakin) a compiere – seppur passivamente e senza alcun merito – il classico percorso di redenzione dell’eroe: da poco esiliato incontra due guerrieri di un altro pianeta, li accompagna, funge da connessione con il suo (ridicolo) popolo, si trova coinvolto nella battaglia finale (senza fare nulla di rilevante se non piroette e scivoloni) ed il suo esercito vince. Alla fine, pur non essendo mai stato parte attiva e non avendo fatto, dunque, una benemerita ceppa, viene premiato con ogni onore e gloria. In estrema sintesi, Jar Jar è la fottuta colonna portante del film, è il Luke di Episodio I, il sempliciotto che viene catapultato in una storia più grande di lui sino al trionfo finale. A questo aggiungete il maxi-irritante modo de parlare che non se capisce che linguaggio esto utilizza oltre a li suoi siparietti che nemmeno al Benny Hill Show. Todo esto casino reso me maxi-triste et superincazzato.
E dire che Lucas pensava di aver avuto l’ideona. Andava fiero di Jar Jar ed infatti lo aveva pompato coi media prima dell’uscita del film (salvo poi doverne drasticamente ridimensionare la presenza nelle due successive pellicole). Rolling Stone gli dedicò addirittura una copertina che titolava “Jar Jar Superstar” e invece riuscì a deludere più lui in due ore di film, che Patrick Kluivert l’anno precedente al Milan.

2. I Midichlorian. Lucas, senza che nessuno ne sentisse il bisogno, ha deciso di dare una spiegazione scientifica alla Forza che, invece, avrebbe dovuto restare ciò che tutti avevamo capito fosse nella prima trilogia: un potere mistico difficile da padroneggiare riservato a pochi eletti. E siccome Star Wars in buona sostanza è più un fantasy mascherato da sci-fi che viceversa, questa non-spiegazione andava benissimo. Invece no. Lucas voleva lo spiegone pseudo-scientifico, manco fosse il Mondo di Quark. E così dimenticate la celebre frase di Obi Wan in Episodio IV: “La Forza è quella che dà al Jedi la possanza. È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, mantiene unita tutta la galassia.” L’uscita di Episodio I porta con se una drammatica retcon del concetto di Forza che adesso deriva dai midichlorian, delle particelle presenti nel sangue che, non so perché, mi hanno sempre fatto pensare alla particella di sodio dell’acqua Lete.

Non contento di questo salto nell’iperspazio delle cazzate, Lucas se ne esce con un altro capolavoro: la madre di Anakin, la vergine Maria di Tatooine, è rimasta incinta senza copula (forse la particella di sodio le aveva dato dei tranquillanti e poi aveva abusato di lei senza che se ne accorgesse). Un’immacolata concezione in salsa Jedi, un pasticciaccio davvero brutto da midichlorians.

3. L’overdose di computer grafica. Negli anni ’70-’80 i mezzi computerizzati erano limitati ma, nonostante ciò, gli effetti speciali della trilogia originale di Star Wars reggono botta dopo 30-40 anni risultando ancora oggi incredibilmente realistici. Gli alieni erano dei bei pupazzoni, Yoda era stato opera di quel genio di Frank Oz. Lucas, però, voleva fare lo smanettone col computer: così sono arrivati Jar Jar ed i Gungan tutti, la corsa degli sgusci e gli orribili droidi chiaramente ispirati al robottino di Riptide

Questa ossessione per la CGI si è sentita anche nei due film successivi: i clone trooper, il pianeta dei clonatori di Episodio II e quel dozziliardo di navicelle con i robot-insetto di Episodio III. Il risultato è un clima artefatto, un’atmosfera da videogame algido ed impalpabile.

Questi tre elementi sono riuciti ad oscurare anche ciò che di buono questo film aveva da offrire. Sì, perchè grattando sulla superficie vengono fuori i rimpianti. Mi riferisco a Qui-Gon Jin, ottimamente interpretato da Liam Neeson che è il Jedi più Jedi dei tre prequel, e Darth Maul, interpretato dall’attore ed esperto di arti marziali Ray Park, un sith con un concept assolutamente impeccabile. Per quanto la battaglia tra i due (con l’aggiunta di Obi-Wan) sia uno dei pochi momenti davvero godibili del film, liquidare così in fretta i personaggi migliori di questa nuova trilogia si è rivelato uno spettacolare autogol.

Non si sarebbe potuto preservare almeno Darth Maul e, così facendo, risparmiarci gli insignificanti successivi ingressi in scena del conte Dooku e del generale Grievous (un droide con la tosse che è una roba degna dei Transformers di Michael Bay)?
La morte di Qui-Gon, invece, era purtroppo inevitabile e funzionale allo sviluppo del rapporto da buddy movie che si instaurerà tra Obi-Wan ed Anakin in Ep.II e III…

Quando, tre anni dopo, uscì L’Attacco dei Cloni, l’entusiasmo per questi prequel era parecchio calato e, mentre il plot della trilogia si infittiva, il complotto ordito dal senatore (poi cancelliere, poi imperatore) Palpatine prendeva corpo anche grazie all’inettitudine del consiglio Jedi composto da un branco di imbecilli. Yoda, in particolare, trascorreva tre interi film a sospirare con quell’aria da “qualcosa non va”. 

Il suo compagno di sospiri è il Maestro Windu, personaggio interpretato da Samuel L. Jackson pressoché inutile ai fini dello sviluppo della trama (se non fosse per lo scontro con Palpatine, un frangente decisivo nel passaggio al Lato Oscuro di Anakin) oltre che privo anche di una pur vaga parvenza di caratterizzazione. In pratica si limita ad essere Samuel L. Jackson in vestaglia e con una spada laser.
Il ruolo di Windu avrebbe dovuto essere del rapper Tupac Shakur che, però, fu ucciso prima che si iniziasse a girare il film. Lucas offrì poi il ruolo a Jackson perché quest’ultimo si propose dicendosi interessato al progetto, a patto che gli fornissero una spada laser viola (incredibile ma vero!) e che la sua eventuale morte fosse spettacolare. Perché quello che Samuel L. Jackson vuole, Samuel L. Jackson ottiene, anche se poi ti tira fuori sempre lo stesso personaggio in tutti i film: ovvero Samuel L. Jackson.

Come accennavo parlando di Ep.I, anche ne L’Attacco dei Cloni Lucas si fa prendere la mano dalla computer grafica realizzando scenari artificiosi e scarsamente evocativi. L’inseguimento della cacciatrice di taglie all’inizio del film sembra Wipeout per PS1, e soprattutto il pianeta dei clonatori, Kamino, è un qualcosa di agghiacciante. Non dimentichiamo, inoltre, che gli stormtrooper/cloni sono TUTTI realizzati in CGI. Capisco quando in scena c’è un intero esercito o almeno un plotone, ma quando nell’inquadratura c’è un solo clone trooper che bisogno c’era di farlo al computer se bastava mettere una divisa ad una comparsa o chiamare un cosplayer? E poi ad essere assolutamente deficitario di questi clone trooper in CGI è l’animazione: camminano come burattini zoppi con un manico di scopa infilato nel retto.

Altro aspetto da sottolineare è che nell’Episodio II manca un villain che sappia lasciare il segno: con super strizzatona d’occhio ai fans, viene introdotto Jango Fett (in origine si chiamava Django ma siccome “la D è muta”…) padre del ben noto Boba Fett, ed un nuovo sith, il conte Dooku, interpretato nientepopodimenoché da Christopher Lee. Ma, nonostante Sir Lee sia un attore a dir poco immenso, il risultato è stato questo qui:  

Seguito da questo duello qui:

Ed infine da questa epica fuga sul Vespone truccato:

Lasciamo il Conte Dooku a sfrizionare sul Vespone e parliamo di un altro grosso filone narrativo de L’Attacco dei Cloni: la romantica fuitina zuccheromielosa tra Anakin e Padme. Ok, i due dovevano pur innamorarsi ma i dialoghi scritti da Lucas sono una vera e propria tortura per le orecchie, zeppi di battute trite e ritrite e frasi fatte degne di Sentieri e Topazio: “Ho pensato a te ogni giorno della mia vita”, “Non posso pensare di perderti”, “Se te ne vai mi manca l’aria”, “Anakin sei intelligente ma non ti applichi”. Insomma al piattume delle location si unisce quello dei dialoghi e di un’intepretazione (sia di Hayden Christensen che di Natalie Portman) tutt’altro che ispirata.

I tre film originali di Star Wars erano basati su un concetto molto semplice: la lotta tra il bene ed il male, tra i ribelli e l’impero, tra il lato chiaro ed il lato oscuro della Forza. E andava benissimo così. Gli Episodi I e II, invece, vertono sul riscatto sociale di un mezzo anfibio demente, su una storia d’amore scritta male, sull’ossessione di strabiliare lo spettatore abusando di effetti digitali, il tutto con lo sfondo di un intrigo pseudopolitico con millemila pedine in campo (la federazione dei mercanti, il clan bancario, la droide-armata, il senato, gli abitanti di Naboo, i Gungan, i geonosiani, il conte Dooku, gli inetti del consiglio Jedi ed i due liocorni). A ciò aggiungete che la regia di Lucas, tornato dietro la macchina da presa a dirigere tutti e tre i film, si è rivelata quasi mai particolarmente efficace.

Arriviamo così, con le aspettative sotto i piedi, al 2005 con La Vendetta dei Sith, l’unico dei tre prequel a riuscire a trasmettere qualche emozione allo spettatore. Sicuramente il film più cupo dell’intera saga di Guerre Stellari, l’Episodio III torna a far respirare un po’ di epica con retrogusto fantasy. Inevitabilmente Lucas continua nel solco della CGI esasperata che caratterizza la prima metà del film con la battaglia d’apertura e l’inseguimento di Grievous da parte Obi-Wan. La seconda parte del film si focalizza finalmente su Anakin e sul suo (eccessivamente repentino) passaggio al Lato Oscuro con una conclusione però degna, evocativa e soddisfacente volta a presentare la genesi di quello che è, probabilmente, il più iconico villain della storia del cinema: Darth Vader.

Oltre all’origine di Vader, l’epilogo de La Vendetta dei Sith mostra la nascita dei gemelli Skywalker che, a proposito, si è scoperto fossero due gemelli solo al momento del parto perché in ben 9 mesi Padme, evidentemente, non aveva fatto neanche un’ecografia (che su Coruscant aveva difficoltà a farsi fare l’impegnativa dal medico curante).
A proposito di Padme, sulla sua morte giustificata da un incredibile “non ha più voglia di vivere” ci sarebbe qualcosina da ridire…

In ogni caso questo segna l’inizio della avventure di Luke e Leia, due bambini che hanno portato tanta fortuna ai loro genitori adottivi. Così…

E così…

In conclusione Episodio III è un buon finale per una trilogia che però ha più ombre che luci. Ombre che derivano anche da un casting imperfetto. Natalie Portman fa il compitino e nulla più ed Hayden Christensen dimostra di non essere certo il Vader che stavamo cercando (per quanto la sua performance ne La Vendetta dei Sith sia nettamente superiore a quanto fatto ne L’Attacco dei Cloni). Ewan McGregor, invece, apparentemente fuori posto in Episodio I, è diventato un credibile Obi-Wan negli Episodi II e III. Complessivamente lui è più che promosso.
Sempre impeccabile, invece, il ritorno dopo ben 20 anni di Ian McDiarmid nei panni di Palpatine, un ruolo che l’attore scozzese aveva già ricoperto sia ne L’Impero Colpisce Ancora che ne Il Ritorno dello Jedi. 


A conti fatti Lucas non si dimostrò l’uomo adatto a proseguire il cammino in quella galassia lontana lontana in cui ci aveva guidati 20 anni prima. Per questi prequel George fece quasi tutto da solo, scrivendo e dirigendo tutti e tre i film (fino ad allora aveva diretto solo Episodio IV), anche se recentemente è trapelata un’indiscrezione secondo cui fu quasi costretto ad occuparsi della regia dopo il rifiuto di Ron Howard, Robert Zemeckis e Steven Spielberg. Inoltre gli script dei 3 prequel sono stati scritti da lui ed è mancata la preziosa penna di Lawrence Kasdan che, con Lucas, scrisse le due migliori sceneggiature della saga originale: L’Impero Colpisce Ancora ed Il Ritorno dello Jedi. A conti fatti accentrare tutto su di sé non fu una grande idea,  e con l’avvento della Disney, se non altro, la Minaccia Lucas è stata scongiurata. E, mossa sulla carta molto furba, JJ Abrams ha voluto la collaborazione proprio di Kasdan per scrivere lo script de Il Risveglio della Forza dopo che quella che era l’idea originale di Lucas per l’Episodio VII è stata cassata pressoché in toto. Perché con Star Wars non c’è bisogno di un’overdose di effetti digitali e di una storia piena di sottotrame ed intrighi, c’è bisogno di una trama semplice, di un’epica genuina e, soprattutto, di atmosfera.

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