Non è mai facile esprimere un giudizio obiettivo e distaccato quando termina una serie che seguivi da tempo; specie se scritta da un autore che apprezzi e che leggi sempre con piacere. Non è facile, soprattutto se quello che pensi, al termine della lettura, risulta diverso da quello che avresti voluto pensare. Non voglio dire che sia rimasto deluso, ma non posso negare che The Boys non è il fumetto che speravo fosse.
Avverto fin da subito che la presente recensione non conterrà spoiler di nessun tipo; né per quelli che seguono la prima edizione (100% Panini Comics); né tantomeno per i neofiti di Butcher & Co. che comprano la nuova edizione slim da edicola. Non credo, infatti, che sarebbe utile per nessuno se svelassi fatti e eventi che hanno portato alla conclusione di questa intensa storia. Ritengo sia più utile per tutti (chi legge The Boys e chi no) un’analisi completa, fatta consapevolmente al termine dei giochi. D’altro canto, la domanda che mi sono posto in questi anni leggendo The Boys è sempre stata la stessa: c’è qualcosa oltre il classico divertimento grottesco e volgare di Ennis?
Si, perché è innegabile che Garth Ennis sia un autore controverso. Tanti lo apprezzano e ne comprendono l’ironia, mentre a tanti altri risulta difficile la lettura dell’autore britannico, spesso incomprensibilmente eccessivo nella sua sfacciata volgarità, oltre che attaccato in maniera maniacale ad alcune determinate tematiche che tornano ciclicamente nei suoi racconti. Sfrontato, crudo e dissacrante, Ennis, è uno scrittore che non ha mai fatto mistero di preferire i propri soggetti a quelli tipici del fumetto mainstream statunitense. Ogni qual volta si è trovato a sceneggiare storie di supereroi, non ha potuto fare a meno di dividere il pubblico. Ci basti pensare alla miniserie Thor: Vikings, nella quale Ennis fa letteralmente a pezzi il personaggio di Thor, così come conosciuto dai fan. Molto più adatte al suo stile, le storie del Punitore, nelle quali Ennis ha fornito una inedita, ma assai convincente, versione di Frank Castle. Tutto questo perché Garth Ennis non può fare a meno di caratterizzare i racconti con il proprio stile estremo, specie quando racconta le storie dei suoi amati/odiati supereroi.
The Boys è infatti proprio questo: la demolizione dell’archetipo supereroistico classico, attraverso l’umanizzazione dei protagonisti. Cosa sarebbe davvero la nostra società se ci fossero degli esseri umani dotati di poteri eccezionali? Difenderebbero i più deboli, o si approfitterebbero di loro?
Ennis non ha dubbi: i super (come li chiama Billy Butcher) sarebbero il male del mondo! Basta tener conto della natura umana e della naturale inclinazione dell’uomo alla prevaricazione sul più debole, per avere la riprova della bontà della teoria ennissiana. Ed è così che l’autore arriva all’altro interrogativo fondamentale posto alla base di questa storia: dal momento che i super sono un pericolo, chi può tenere a bada i controllori? Who watches the Watchmen?
The Boys è un gruppo operativo segreto finanziato dalla C.I.A. che nasce con lo scopo di arginare la potenziale minaccia dei supereroi. Billy Butcher, Piccolo Hughie, Latte Materno, il Francese e la Femmina compongono una squadra il cui unico compito è evitare che si compiano nuovamente tragedie come quella dell’11 settembre. In The Boys, infatti, la strage più tristemente nota nella storia degli USA viene rinarrata, immaginando il coinvolgimento di un potente gruppo di vigilantes mascherati (I Sette). Proprio questi ultimi sembrano essere oggetto delle principali attenzioni dei Boys e, in particolare, del loro capo Butcher che sembra avere dei conti in sospeso con il leader dei Sette: il Patriota.
Le vicende di The Boys ci vengono mostrate attraverso gli ingenui occhi di Hughie “il Piccolo”, un giovane scozzese sconvolto dalla morte della sua fidanzata, causata proprio da un componente dei Sette. Piccolo Hughie si troverà improvvisamente proiettato in un mondo violento e spietato oltre ogni immaginazione. Assisterà alle peggiori perversioni e nefandezze, spesso commesse da super fuori controllo, altre volte dai suoi stessi compagni di squadra. Ma, The Boys è anche una storia d’amore. Quella tra Hughie e Annie, ad esempio, che condividono il desiderio di fuggire dalla realtà in cui si trovano; ma anche quella incredibilmente triste tra Butcher e la sua Becky, principale causa della rabbia cieca che lo muove contro i super.
Nel corso della serie, l’autore si concede numerose pause volte ad approfondire separatamente personaggi e profili della storia. Un espediente narrativo già apprezzato in Preacher, dove Ennis apre svariate parentesi, allontanandosi spesso dalla trama principale. A differenza di Preacher, però, in The Boys la trama è assai meno personale e ben più articolata, con il risultato che spesso il lettore rischia di perdere il filo della storia e, con esso, l’interesse al proseguo della stessa. Dico “rischia”, perché in realtà con un po’ di attenzione The Boys è una storia che quadra eccome. Ha una sua logica coerente, personaggi cazzuti, godibili e – come sempre accade nelle storie dell’autore britannico – ben caratterizzati.
Come accennato in apertura, The Boys non è certamente l’opera migliore di Garth Ennis. L’autore britannico raggiunge vette decisamente più alte nella sua lunga run su Punisher; senza considerare la sublimazione del suo Preacher, indiscutibilmente la sintesi dello stile e – perché no – del pensiero di Ennis. Nonostante ciò, nelle avventure di Butcher e compagni ritroviamo un po’ tutto ciò che caratterizza la produzione dell’autore: personaggi improbabili e grotteschi, il tanto caro tema della guerra, l’analisi dell’amicizia tra uomo e uomo e l’immancabile dose di violenza. Per non parlare dell’umanizzazione dei sentimenti. Il crudo realismo di Ennis non risparmia neppure il più nobile e alto tra di essi. Esattamente come accade in Preacher tra Jesse e Tulip, infatti, anche in The Boys la storia d’amore tra Hughie e Annie mostra la faccia più cruda e realistica della medaglia. Le paure e le debolezze dei personaggi vengono messe da Ennis in bella mostra, lasciando spiazzati i lettori, solitamente abituati ad una rappresentazione ben più romanzata dell’amore.
Insomma, non posso che dare torto marcio a chi ritiene che The Boys sia solo violenza e volgarità. La storia, i personaggi che si muovono all’interno e le dinamiche trattate, vanno molto più in profondità di quanto un lettore disattento potrebbe inizialmente pensare. Si, è vero, Ennis non utilizza mai un linguaggio aulico e non ricorre di certo ad allegorie o metafore. Il suo stile narrativo è diretto, realistico, crudo e disinibito; ma non per questo vuoto e privo di significato. Attraverso il lato umano dei suoi protagonisti, Ennis ci sbatte in faccia ciò che siamo: non lottatori coraggiosi o eroi senza macchia e senza paura, ma semplicemente umani. Tristi, deboli, vigliacchi e impauriti esseri umani.