Il Grande Gatsby [recensione]

Come ho scritto in altri sedi: i pregiudizi rovinano l’atmosfera di qualsiasi opera.

E così, io che non ho mai visto di buon occhio il cinema di Baz Lurhmann perchè troppo superficiale nelle sue, belle, rese scenografiche, ho dovuto ricredermi per questo titolo sottovalutato a Cannes.
Vi spiego perchè.
Il Grande Gatsby, l’opera letteraria è un capolavoro.
Un romanzo moderno potente, accattivante e feroce.
Una resa perfetta degli anni pre crisi del ’29, scritto da Fitzgerald con stile e con una magnifica presa di coscienza dell’arrivismo di molti riccastri, chiusi in roccaforti strabilianti ma dalla sensibilità inesistente.
Uno scritto, tra l’altro, semplice e complesso, veloce e lento; che ad un’attualizzazione si presta facilmente, per nulla anacronistico.

Di trasposizione ce ne sono già state: ben quattro.
La prima degli anni 20, muta e a quanto pare andata perduta.
La più importante, invece, fu quella diretta da Jack Clayton, sceneggiato da Francis Ford Coppola e interpretato divinamente da Robert Redford – sono gli anni del suo massimo splendore – e Mia Farrow.
Una raffinatezza che difficilmente sarebbe stata eguagliabile.
Eppure Lurhmann in qualche modo c’è riuscito.

Alla luce dunque di alcuni presupposti che non mi facevano ben sperare, ho dovuto ricredermi.

Baz Luhrmann, dopo una serie di travagliati progetti, riscritture, problemi di produzione – era il suo tarlo quello dirigere il film – c’è riuscito.
E per farlo, ovviamente, ha pensato bene di trasformarlo in un’opera adatta al grande pubblico; ha scritturato due attori attualmente in salita, Leonardo Di Caprio (Jay Gatby) e Carey Mulligan (Daisy Buchanan), e uno in fase “opaca”, Tobey Maguaire (Nick Carraway).
Inserendo, poi, coreografie musicali dirette da Jay-Z e quelle tipiche teatrali, suo marchio di fabbrica.
E questo è stato un bene e un male.

Ad essere sincero mi si è rotto il naso quando ho visto il primo trailer e dell’uso del 3D.
Che poi: che senso ha il treddì?
Soldi, sì, ma comunque inutile.

Il film è bello.
Vivace, colorato e riesce molto bene a rendere i tratti caratteriali dei personaggi – che nel libro sono straordinari -. Funziona perché è ben amalgamato ed emoziona; molto raro nel cinema attuale.
Quello di cui avevo più paura, come ho scritto prima, è proprio la contestualizzazione musicale: su carta sembrava un pretesto per attirare anche il pubblico più giovane ma mi sono dovuto ricredere perchè rende il tutto più accattivante.
È con la scelta di alcuni artifici che Lurhmann vince la sfida di non cadere nella trappola del “il libro è più bello del film” perché trasporre un libro cut to cut con così grande personalità sarebbe stato controproducente.
Gatsby è la storia dell’uomo povero, innamorato di una donna ricca, che accetta la sfida della vita di raggiungere la ricchezza, come fosse un modo per avere a se la donna amata. Gli occhi di Nick Carraway sono quelli del pubblico, gli stessi che giudicano e si immedesimano nel suo sogno ingenue.
È un personaggio, questo, incorruttibile.
Ma alla fine, è l’unico che comprende la vera corruzione morale di un ceto irraggiungibile, anche con i soldi.

Le interpretazioni sono ottime ma standard per un attore come Di Caprio.
Maguire calza una parte perfetta per la sua visione artistica; in alcuni momenti fa anche tenerezza.
Mentre la regia, con l’aiuto di riprese frammentate e panoramiche, ammalia e pur durando più di due ore e per un genere di storia messa su, non annoia.
E questo è un grande pregio.

È una pellicola che fa un bel lavoro e cosa più importante non cerca di superare l’opera letteraria ma anzi se ne serve per riproporre un nuovo punto di vista degli anni che viviamo. 

marcodemitri®

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