TWR la (psico)analisi di Star Wars: Rogue One, quella sporca mezza dozzina ribelle

Gli spin-off, come le ribellioni, si costruiscono sulla speranza (semicit.).
Sì, perché gli spin-off, sia al cinema che in TV, sono un azzardo e difficilmente conoscono le vie di mezzo: o sono dei flop terrificanti o delle belle sorprese. 
Ed io devo ammettere che, quando fu annunciato che il primo spin-off di 
Star Wars avrebbe avuto come nucleo centrale il furto dei piani della Morte Nera, il plot non mi entusiasmò più di tanto. Le aspettative legate all’Episodio VII, l’idea di scoprire cosa ne era stato di Luke, Han e Leia dopo Il Ritorno dello Jedi, non erano neanche lontanamente paragonabili a quella che sarebbe stata la trama di Rogue One, un Episodio 3.5 (o meglio Episodio 3.9 visto che si svolge 5 minuti prima dell’Episodio IV) che consisteva nella decompressione dei due capoversi che aprivano i titoli di testa del primo storico film della saga.

Nei mesi scorsi, però, appagato da Il Risveglio della Forza ed incurosito dai trailer, pian piano ho inizato a guardare con speranza a Rogue One. É stata una fiducia ben riposta perché il più macroscopico punto di forza di Rogue One è che si tratta di una purissima esperienza Star Wars: le location, gli stormtrooper (e gli inediti death trooper), il direttore imperiale Krennic, l’estetica degli alieni e dei membri della squadra Rogue hanno tutti un piacevolissimo retrogusto di trilogia classica ad ogni inquadratura. In questa atmosfera estremamente confortevole per i fan della saga, si sviluppa una storyline inedita per l’universo cinematografico di Guerre Stellari: il focus del film, infatti, è il conflitto tra l’Alleanza Ribelle e l’Impero, niente percorso di formazione di giovani Jedi questa volta. Ed è questo il secondo punto di forza di Rogue One, l’aver cambiato quel tanto che bastava il registro narrativo rispetto agli episodi “canonici”Rogue One, infatti, ha l’impostazione di un war movie di fantascienza in cui si cambia location pur restando sempre focalizzati sul conflitto, spostandosi dalle immancabili ambientazioni desertica e spaziale per arrivare ad un inedito setting da spiaggia tropicale che fa molto Apocalypse Now.


 – Adoro l’odore dei blaster al mattino –

Ovviamente la struttura del film è funzionale anche all’introduzione dei membri della squadra Rogue. Tra di essi spicca la coppia composta dai due attori orientali Donnie Yen e Jiang Wen rispettivamente nei panni di Chirrut, monaco non vedente armato di bastone (un fichissimo e rudimentale utente della Forza), e di Baze, fanatico dell’artiglieria pesante. In pratica sono Furia Cieca e Commando o, se preferite, Daredevil ed il Punitore. E sì, sono dei personaggi parecchio furbetti e già visti: è fanservice, fatto bene.


 – Still a better love story than Padme & Anakin –

Gli altri membri della squadra sono il pilota imperiale disertore Bodhi, interpretato da Riz Ahmed, co-protagonista assieme a John Turturro della straordinaria miniserie HBO The Night Of, e l’ufficiale ribelle Cassian, interpretato da Diego Luna Ricky Memphis:


– Daje –

Non poteva mancare un robot: K-2SO, un droide di sicurezza imperiale riprogrammato con la personalità di Sheldon Cooper di cui verranno vendute millemila action figures (ovviamente la comprerò anche io). 

Un discorso a parte va fatto per la protagonista Jyn, che ha il volto di Felicity Jones, attrice giunta meritatamente alla ribalta per il ruolo della moglie di Stephen Hawking ne La Teoria del Tutto. Dopo Rey in Episodio VII, con Jyn si continua nel solco delle eroine, proseguendo nel trend hollywoodiano degli ultimi anni di dar sempre più spazio a protagoniste femminili in ruoli d’azione. Il risultato in questo caso è convincente, così come a funzionare è la vicenda familiare con il padre di Jyn, Galen Erso interpretato da Mads Mikkelsen, recente villain in Doctor Strange nonché celebre volto dell’incarnazione televisiva di Hannibal Lecter. A questo proposito va anche detto che, finalmente, la demenziale falla nella sicurezza che portava alla distruzione della Morte Nera in Episodio IV assume tutt’altro significato e, possiamo dire, viene “riabilitata” dopo che, per tanti anni, abbiamo immaginato questo:


In ogni caso, dopo Rogue One, guarderete con un occhio un po’ diverso l’Episodio IV, e la questione dei piani della Morte Nera che mettono in moto gli eventi non sembreranno più un McGuffin ma un fatto molto più sostanziale. 
Il film, come trapelato nei mesi scorsi, ha avuto parecchi reshoot e la cosa è confermata anche dalla mancanza nel montaggio finale di gran parte delle scene presenti nei primi due trailer rilasciati in rete. Resta la fisiologica curiosità di capire cosa (e perché) sia stato modificato, ma comunque il prodotto finale arrivato in sala e firmato da Gareth Edwards – che un paio d’anni fa aveva dato una buonissima prova con un franchsie complicato come Godzilla – è decisamente promosso soprattutto perché, come dicevo in apertura, questo è inequivocabilmente Star Wars e, pur non dando avvio ad una nuova trilogia e non avendo un cliffhanger finale, è un’esperienza standalone da godere così com’è, facendo la conoscenza di tanti nuovi protagonisti che rimarranno, ovviamente, impressi nella memoria dei fan del franchise creato da George Lucas.

In chiusura, invece, parliamo di alcune piccole storture: Vader fa la sua comparsa in una sua personalissima Barad-dur, altra scelta acchiappona molto ben riuscita, ma… il suo costume ha qualcosa che non va. Così come alcune perplessità le destano i due personaggi ricreati in CGI: Tarkin, che torna ad avere il volto di Peter Cushing, è credibilisimo quando non parla, non altrettanto credibile durante i dialoghi. Mentre l’altro personaggio in CGI che compare in un cameo (di cui non rivelo l’identità per evitare spoiler, ma se avete visto il film capirete a chi io mi riferisca), ha una mimica facciale da Playstation 3. Ok, sono piccolezze, ma in una produzione del genere fanno storcere il naso. Così come  il tema musicale di John Williams che il premio Oscar Michael Giacchino ha modificato per Rogue One quel tanto che bastava per distaccarsi dai primi 6 film, sembra una versione leggermente depotenziata e de-epicizzata della classica ed iconica colonna sonora. 

In ogni caso, tralasciando le note sul registro, ben vengano gli spin-off se poi il risultato è come questo e, visto quello che alla Disney sono riusciti a fare con Rogue One, magari in futuro tireranno fuori uno spin-off persino sui tristemente famosi Bothan che sono morti per procurare ai ribelli le informazioni sulla seconda Morte Nera.

Io vi saluto ricordandovi di piazzare un bel like alla mia pagina facebook, molti bothan sono morti per realizzarla.

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1 commento su “TWR la (psico)analisi di Star Wars: Rogue One, quella sporca mezza dozzina ribelle

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