Chiacchiere da Bar: Intervista a Claudio Castellini

Nel corso di quest’ultima edizione di Etnacomics abbiamo avuto modo di conoscere personalmente il maestro Claudio Castellini, un vero e proprio mito del fumetto moderno che è stato capace di portare grandi innovazioni nel mercato italiano e di esportare con enorme successo il suo stile inconfodibile nel mercato americano. Si ringrazia lo staff di Etnacomics (in particolare Francesco Lodato) e l’associazione Mad Collectors nelle persone di Maurizio Longo, Ivan Adornetto, Matteo Belfiore e Michele Mangano.

Claudio Castellini è un artista fondamentale del panorama fumettistico italiano, non solo perchè ha fatto da apripista a la c.d. italian ivasion, ma anche e soprattutto perché ha portato una ventata di innovazione, sotto il profilo stilistico, già nel fumetto italiano. Su Dylan Dog e Nathan Never ad esempio lei ha introdotto uno stile figurativo assai lontano rispetto ai canoni in voga all’epoca. Cosa ricorda di quel periodo?

Innanzitutto lo ricordo con grande piacere, perché ripensare alle proprie origini è sempre un momento gradevole, un ritorno nostalgico a quelle emozioni forti che si provano all’inizio quando si ha tanta voglia di emergere o comunque di dire qualcosa di significativo nel campo del fumetto. Ricordo che sin dall’inizio ho avuto una predilezione per il fumetto americano, ma la prima grande occasione di lavorare in questo settore è stata con la Sergio Bonelli Editore. Per forza di cose, dunque, ho dovuto confrontarmi con uno stile che non era esattamente quello che mi veniva più naturale e nel contempo adattarmi a degli schemi lontani dai miei. Il risultato è stata l’innovazione di cui parlavi che, tuttavia, in parte era voluta ed in parte la naturale conseguenza del mio stile di disegno. Per il pubblico bonelliano di quegli anni fu certamente qualcosa di nuovo, dal momento che quel modo di raffigurare i personaggi come anche di raccontare la storia e dirigere la regia, sebbene molto in voga negli Stati Uniti, non era ancora stato utilizzato nel mondo Bonelli.

Tendevo molto all’esaltazione dell’anatomia, ma i personaggi che dovevo disegnare non si prestavano al genere di lavoro che desideravo fare. Dylan Dog, in particolare, per nulla, mentre con Nathan Never ho avuto già più libertà, dal momento che mi fu dato modo di avere un ruolo importante nella creazione e caratterizzazione grafica del personaggio e dei suoi comprimari. Si trattava di agenti segreti, preparati e atletici, che ho potuto vestire con abiti futuristici attillati che mettevano ben in mostra quella componente anatomica che desideravo esprimere nel mio stile.

La totale liberazione stilistica venne però successivamente, quando nel ’93 iniziai a lavorare con la Marvel; sui supereroi potevo dare libero sfogo alla mia passione per l’anatomia.

Una passione, quella per le figure anatomiche possenti, che lei maestro non ha mai nascosto; anzi che è diventato un po’ il suo tratto distintivo.

Esattamente. Ogni artista vuole trasmettere qualcosa, al centro della mia personale ricerca grafica ho posto il corpo umano. In esso vedo, come credente, il meraviglioso progetto della sua creazione e ne rimango estasiato. Per poter riprodurre su carta figure eroiche dovevo però aggiungere una interpretazione personale non necessariamente mirata a rappresentare il modello umano comune, quanto l’utopia della forma anatomica.

A questo proposito e senza indebiti paragoni, vorrei fare un parallelismo con l’opera del grande Michelangelo. Studiando la storia dell’Arte sappiamo che nel tempo si sono alternate fasi soggettive e fasi oggettive della rappresentazione della figura umana. Nel corso delle fasi soggettive si dava espressione ad una sintesi personale della realtà mentre in quelle oggettive c’era uno studio analitico-scientifico dell’anatomia. Per cui, dallo stile assolutamente soggettivo delle prime incisioni rupestri, si è passati a quello fedele alla realtà dell’arte greca, soprattutto grazie alla scultura, per poi avere un ritorno alla stilizzazione in epoca post-romana, fino ad arrivare al Rinascimento italiano con l’accurata indagine anatomica da parte dei suoi grandi artisti, primo fra tutti Michelangelo. In quell’epoca la dissezione di cadaveri era lo strumento per indagare e comprendere ogni particolare della struttura del corpo umano. Nonostante la perfetta conoscenza anatomica che riuscì ad acquisire, l’uso che fece di tale sapere fu soggettivo. Egli voleva creare una visione ancora più iconica della figura umana che trasmettesse un senso di potenza ed esaltazione muscolare. Pensate ad esempio alla scultura del Giorno e della Notte sulla Tomba di Giuliano de’ Medici: la figura maschile, stesa di lato, presenta un muscolo sul dorso, il rotondo, con delle dimensioni assolutamente esagerate, ma nonostante ciò è reale, nessuno può dire che non esista. Le sue figure sono il risultato di uno studio oggettivo e di una interpretazione soggettiva; grazie alla sua conoscenza riusciva a rendere credibile l’impossibile! Ed è esattamente la lezione da applicare nel disegnare la figura straordinariamente ipertrofica di un supereroe, una lezione che ho cercato di fare mia. Facendo una battuta, potrei dire che Michelangelo se fosse in vita oggi disegnerebbe supereroi (ride).

Tornando al discorso iniziale sulla c.d. italian invasion, attualmente sono molti gli artisti italiani ad aver trovato spazio nel mercato del fumetto americano. Che idea si è fatto del mercato attuale e se c’è qualche artista italiano, tra quelli che lavorano negli USA, che l’ha colpita particolarmente?

Mi colpiscono molto i lavori di Simone Bianchi, Gabriele dell’Otto e Lucio Parrillo, i primi dell’ondata che mi ha seguito e che  lavorano da anni ormai con grande successo nel mercato americano. Le loro tecniche pittoriche, molto differenti, sono davvero incredibili ed hanno portato il fumetto verso nuove vette cromatiche. In particolare con Simone e Lucio posso dire di avere un rapporto speciale in quanto fecero parte di quella generazione che negli anni novanta si lasciò influenzare dai miei lavori nella fase iniziale di crescita artistica. Essendo dotati di grande talento, ognuno di loro ha preso poi la sua strada e trovato lo stile personale che ormai da anni lo contraddistingue. Sono molto orgoglioso del progresso di Simone e di Lucio, per essere diventati quei grandi autori che sono oggi.

Altri artisti emersi nelle varie ondate successive di invasione italica di cui apprezzo l’opera sono Marco Santucci ed Emanuela Lupacchino. Riguardo all’idea che mi sono fatto del mercato attuale, lo definirei troppo frenetico e cinicamente commerciale per i miei gusti, una delle ragioni per la quale ho deciso di allontanarmi dall’editoria e dedicarmi al mondo del collezionismo.

Spider man, Batman, Silver Surfer, Conan, solo per citare alcuni dei personaggi che lei ha avuto modo di disegnare nella sua prestigiosa carriera. Ad un’occhiata veloce salta subito all’occhio che si tratta di personaggi iconici, con un’importante fisicità. Nonostante questo lei è stato in grado di lasciare il suo indelebile segno grafico su queste icone. Com’è stato confrontarsi con loro?

Tutti i personaggi su cui ho lavorato sono stati una grande opportunità per la mia crescita artistica e la mia carriera. Fortunatamente molto spesso ho avuto la possibilità di scegliere i miei preferiti, alla Marvel mi hanno sempre messo a mio agio.  Confrontarsi con Silver Surfer in particolare ha rappresentato una prova molto importante per me. Da un lato era forte il desiderio di omaggiare l’opera del mio mentore John Buscema, dall’altro avevo il bisogno di ampliare la sua visione, pur rispettandola, con l’introduzione del mio personale bagaglio visivo fantascientifico, aggiornarla ai tempi, mi riferisco in particolare all’iconografia del mondo immaginifico di Silver Surfer. In quegli anni gli elementi tecnologici dello stile Marvel erano concettualmente e graficamente piuttosto semplici, dovevo provare ad andare oltre attingendo a tutto ciò che avevo appreso dalla scuola giapponese e dalla cultura cinematografica, fonti che già avevo metabolizzato e filtrato con il mio gusto personale attraverso l’esperienza di Nathan Never. Mi confrontai con Galactus cercando di rendere all’ennesima potenza la sua maestosità aliena e superiorità tecnologica. Il suo stesso casco è una “torre” iperdettagliata di piccoli elementi strutturali che si moltiplicano quanto più si avvicina la telecamera. Un oggetto appare più immenso quando ci si immerge visivamente nei suoi piccoli dettagli che si perdono prospetticamente all’orizzonte, come se la nostra vista non potesse contenere la sua intera immagine, come fossimo molto piccoli… Applicai questa filosofia anche nella rappresentazione dell’astronave madre di Galactus che era stata sempre visualizzata come una strana e semplice forma contorta di simbolo “infinito”. Rispettai il progetto originale ma aggiungendo una grande quantità di dettagli e con una prospettiva molto spinta per evidenziarne l’impossibile estensione: è grande quanto un sistema solare. L’occhio non riesce a cogliere la reale grandezza di un oggetto senza averne un altro vicino a paragone. Per questo era necessario porre dei pianeti davanti e vicino l’astronave perché la sua dimensione fosse esaltata. Anche solo rappresentare in modo degno il surfista d’argento è stata una sfida, perché significa metterne in luce la grazia e la nobiltà d’animo, prim’ancora della sua fisicità.  Il suo portamento e l’eleganza dei suoi movimenti devono comunicare la sua etica e la sua personalità di eroe “puro”. Senza considerare l’anatomia del personaggio unitamente ai riflessi della sua pelle cromata. Credo sia noto a tutti che Silver Surfer è certamente il personaggio che più amo disegnare e raccontare. Ma ce ne sono altri sui quali ho avuto il piacere di lasciare il mio segno, per esempio Conan, con un look molto più “fantasy” ed elaborato che in passato, o anche la Cosa dei Fantastici 4 che mi cimentai a visualizzare non più come un semplice ammasso informe di rocce ma con una anatomia ben definita formata da pietre.

Dal suo stile e dal suo tratto traspare una visione romantica dei supereroi, nella quale appaiono come eroi invincibili e senza macchia. Ultimi baluardi di una giustizia etica che si è andata un po’ perdendo in questo genere di prodotto nel corso degli anni ’90. Lei come ha vissuto quell’epoca del fumetto supereroistico? Che rapporto ha con l’antieroe milleriano o con le versioni proposte da Alan Moore?

Pur apprezzando e rispettando artisticamente l’opera di Miller, Moore e degli scrittori che ne hanno seguito la scia, devo dire di essere eticamente contrario all’idea di supereroe che hanno trasmesso in quegli anni stravolgendo i “vecchi” archetipi. E’ innegabile che abbiano introdotto un messaggio nuovo e diverso nel mercato fumettistico, che la loro visione sia stata molto più realistica nella disincantata indagine della natura umana imperfetta e cinica ma proprio per questo hanno innescato un meccanismo che negli anni è andato, dal mio punto di vista, degenerando. Come tu hai detto nella domanda, quella giustizia etica che negli anni precedenti ci faceva un po’sognare un mondo migliore si è andata perdendo, il fumetto ha smarrito la sua sana ingenuità. Ormai il confine tra eroe e “cattivo” è sempre più spesso indistinguibile. In quel periodo non la pensavo così e l’ho vissuto con grande entusiasmo per quei cambiamenti, ma negli ultimi anni ho maturato una differente opinione sull’argomento. Come vecchio lettore, ancor prima di essere un autore, rimango legato ad un archetipo supereroistico più classico e positivo, un eroe senza macchia, con un codice d’onore e rispetto per la vita umana che non arriva al punto di uccidere il suo nemico ma si limita a sconfiggerlo e neutralizzarlo.

Lungi dall’essere solo una semplice questione di sentimentalismo, sono contrario alla violenza gratuita ed esplicita e al messaggio distorto che si può trasmettere con questo genere di contenuti. E’ un aspetto del mio essere cristiano che applico anche nella sfera lavorativa. Evito di disegnare cose che siano contrarie al mio modo di pensare e alla mia coscienza.

Per questo, al là della grande opera di innovazione, resto dell’idea che il fumetto, come qualsiasi altra forma di intrattenimento, debba trasmettere dei messaggi positivi e che noi operatori del settore, avendo la possibilità di influenzare l’immaginario collettivo, abbiamo la responsabilità di non contribuire alla creazione e alla celebrazione di falsi modelli.

Si è detto tante volte di come il suo stile sia stato influenzato da artisti come Neal Adams e John Buscema. Con quest’ultimo è nato anche un rapporto d’amicizia. Cosa ci può dire di lui?

Si, sono stati i miei disegnatori preferiti negli anni della formazione artistica, mi hanno influenzato “a distanza” con le loro opere. Ho avuto l’onore di conoscere il grande John Buscema solo quando ero già un disegnatore noto al pubblico bonelliano per i miei lavori su Dylan Dog e Nathan Never, ma lui, senza saperlo, era stato sempre presente durante la mia crescita professionale. Fin dai miei primi passi l’avevo preso come modello di ispirazione, osservando e studiando il suo lavoro e cercando di apprenderne la lezione, e nel momento in cui lo conobbi ero felice di comunicarglielo. Fu lui stesso, dopo aver visto il mio lavoro su Nathan Never, a consigliarmi di lavorare alla Marvel, progetto che da sempre era già nei miei propositi, e indirizzarmi all’editor in chief Tom De Falco.
A livello personale fu un incontro indimenticabile, la sua simpatia ed affabilità era nota a tutti. Poi come tu dici nacque una grande amicizia, sono stato spesso ospite a casa sua e quando era in viaggio in Italia ci incontravamo per raccontarci le ultime cose davanti ad un bel piatto, amava la cucina italiana! Fu per me di grande incoraggiamento, sempre aveva delle lodi per il mio lavoro e qualche buon consiglio, si comportava quasi come un padre “artistico”. Ricordo ancora come si espresse quando vide nel mio studio le tavole della graphic novel di Silver Surfer. Mi disse ridendo: “ tu devi fare fumetti, non la cappella sistina..!“. Di lui posso dirti che al di là del grande maestro del fumetto che tutto il mondo apprezza, era una persona generosa , disponibile e dotata di un grande senso dell’umorismo, è stato un piacere godere della sua compagnia. Fu un duro colpo per me quando lo perdemmo, non solo mi manca l’artista ma soprattutto l’uomo e l’amico. Gli devo molto e conservo dei bellissimi ricordi.

Lei maestro si è attualmente ritirato dalla pubblicazione. Continua anche ora nella sua decisione di non voler disegnare fumetti?

In questi ultimi anni ho raggiunto una certa maturità, non solo artistica ma anche personale, e voglio che il lavoro sia una parte importante della mia vita senza che però domini tutto il mio tempo. Continuo ad amare questo lavoro ma con il giusto equilibrio, ritengo che ad ogni cosa si debba dare l’adeguata importanza. Lavorare per vivere e non vivere per lavorare. L’essermi dedicato al mercato del collezionismo mi dà la possibilità di avere dei tempi molto più rilassati e di potermi quindi occupare di altre cose importanti fuori dalla sfera professionale. Inoltre oggi le grandi case editrici come la Marvel impongono più che mai dei ritmi lavorativi serrati che non sono più disposto ad accettare.

Noi comunque non rinunciamo al sogno rivederla tra le pagine di qualche fumetto.

Questo mi onora molto, grazie. Naturalmente non rifiuto affatto l’idea in sé, quanto i meccanismi di oggi. Certamente se le condizioni fossero diverse ci penserei. Ma ci vorrebbero dei tempi più rilassati che permettessero di esprimere al meglio le mie necessità artistiche senza rinunciare alla vita personale e tematiche con contenuti non violenti, requisiti entrambi piuttosto difficili da incontrarsi in questi tempi.

Lei maestro ha una certa esperienza dell’universo fumettistico di Guerre Stellari, avendo realizzato in passato una storia di Darth Vader. Che idea si è fatto di questa nuova trilogia cinematografica in uscita e delle serie a fumetti da poco pubblicate da Marvel Comics?

E’ un po’ prematuro rispondere ora, non conosco niente di più rispetto ai trailers che hanno visto tutti.  Certo, rivedere Harrison Ford, il Millennium Falcon e Chewbacca mi ha regalato una grande emozione; inoltre, almeno da quello che ho potuto osservare finora, noto che c’è stata una rivisitazione si, ma rispettosa della precedente saga cinematografica, ed è questo l’aspetto più importante secondo me. Non seguo molto la serie a fumetti ma, ad essere sinceri, almeno al suo esordio non sono rimasto particolarmente colpito dal comparto grafico…

Un’ultima domanda, il nostro sito si chiama Il Bar del Fumetto, a questo proposito le domando: se dovesse andare a prendere una birra al bar con due suoi colleghi, chi inviterebbe?

Ti rispondo con i nomi degli stessi autori che ti ho indicato prima: Lucio Parrillo e Simone Bianchi. Come ti ho detto, si tratta di artisti che apprezzo, ma soprattutto amici personali, con i quali quindi ho grande piacere a passare del tempo ricordando episodi della nostra vita che abbiamo condiviso… Purtroppo hai ristretto il numero a due, altrimenti inviterei anche Marco Santucci ed altri. Inoltre nel corso della mia nuova residenza spagnola sto conoscendo altri artisti con i quali ho rapporti molto piacevoli, come ad esempio Sergio Sandoval, Bruno Redondo, Nacho Arranz per citarne alcuni. Una birra con loro mi farebbe proprio piacere, o meglio ancora…una sangrìa!

Condividi