I primi due capitoli della terza trilogia di Star Wars, la trilogia Disney, hanno parecchio diviso il pubblico. La buona riuscita o meno della resurrezione del franchise si giocava tutta sull’Episodio IX, un film in grado di riabilitare o affossare irrimediabilmente il giudizio sui nuovi film della saga. Prima di parlare de L’ascesa di Skywalker, però, ripercorriamo in meno di due parsec i punti salienti del percorso che ci ha portati qui.
L’Episodio VII, Il risveglio della Forza, era un bel giocattolone. Serviva ad introdurre la generazione 3.0 di eroi di quella galassia lontana lontana ed a Lawrence Kasdan per saldare i conti in sospeso con Han Solo che lui, sceneggiatore anche de L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, avrebbe voluto morisse sulla luna boscosa di Endor, ma la sua penna killer fu bloccata da Lucas.
Abrams e Kasdan se la sono giocata facile buttando giù un plot troppo simile al primo Guerre Stellari, come un tema per larga parte scopiazzato dal compagno di banco Georgino Lucas. All’epoca mi piacque molto questo ritorno alle atmosfere della trilogia classica, col tempo l’immagine di Episodio VII si è un po’ sbiadita nella mia mente per via della sua poca personalità.
Nel 2017 arriva Gli ultimi Jedi diretto da Rian Johnson, già regista di Looper e del più bell’episodio di Breaking Bad (5×14 Ozymandias). Johnson si prende molti rischi e manda letteralmente a fare in culo parecchie scelte di Abrams: via la maschera a Kylo-Ren perché non è un cosplayer emo, le spade laser non sono aggeggi mistici come nella narrativa sword and sorcery ma semplici armi e, soprattutto, Luke Skywalker non è infallibile. Apriti cielo.
L’old man Skywalker reinventato da Johnson – a mio personalissimo parere, non condiviso da gran parte dell’internet che invece lo odia – è la cosa migliore del film e il suo duello con Kylo Ren con dei camminatori imperiali del Primo Ordine sullo sfondo è il picco di maggior epica raggiunto dalla nuova trilogia. Altra piccola chicca dell’Episodio VIII è un breve ma significativo epilogo con protagonista un bambino che tradotto vuol dire che la Forza non è appannaggio esclusivo di parenti raccomandati manco fosse un dottorato all’Università.
Ma il film, molto lungo, non è esente da passaggi a vuoto. Uno su tutti: la storyline di Finn, per gran parte ambientata su un pianeta casinò, che occupa 1/3 della pellicola è insulsa.
Arriviamo così all’Episodio IX con la certezza che non ci sia stata alcuna pianificazione narrativa nella saga. Abrams ha fatto quel che ha voluto, Johnson ha fatto il dito medio ad Abrams e ora Abrams fa specchio riflesso con Johnson, fa inversione a U in autostrada e sconfessa tutte le scelte narrative de Gli ultimi Jedi ( Luke fa pace con la spada e ritornano l’elmetto di Kylo Ren, i cavalieri di Ren e la sensibilità alla Forza di Finn…).
Abrams ha fatto il furbo, lo ha fatto – a tratti – anche bene ed ha tirato fuori un film che ha dei momenti emozionanti ma che è totalmente privo di coraggio. In questa operazione ha parzialmente corretto alcuni errori ma ne ha commessi di nuovi.
Il primo errore da matita blu della trilogia Disney è l’ambientazione. Sostituire il conflitto Impero-Ribelli con la pallida fotocopia Primo Ordine-Resistenza, per di più senza fornire alcun background a queste due fazioni, ha creato un contesto di contorno piatto. L’Episodio IX getta un po’ di luce sulla natura del Primo Ordine e sull’identità di Snoke (che era morto come uno stronzo qualsiasi manco fosse il padre di Dawson’s Creek), resta però la sensazione che questo sbiadito remake dell’originale riabiliti persino il complottone dei prequel con l’insalata mista composta da droide armata, Federazione dei mercanti, Separatisti, Repubblica, Dooku, Grievous, maestro Sifo Dias, cloni in CGI, Jedi troppo impegnati a sniffare le proprie scoregge per accorgersi di Palpatine, Jar Jar Binks e anfibi rincoglioniti affini.
L’altro enorme problema della nuova saga made in Disney sono i (co)protagonisti. Tolto Kylo-Ren – che tante risate si è tirato dietro per le sue crisi adolescenziali, e invece si è rivelato l’unico personaggio interessante assieme a Rey (peraltro entrambi agevolati da due scelte di casting molto felici come Daisy Ridley e Adam Driver) – l’impatto degli altri sui fan è stato insignificante.
Basti pensare che fino a pochi giorni fa se cercavate la parola “Star Wars” su Google Immagini, o il relativo hashtag su Instagram, otto risultati su dieci erano incentrati su Baby Yoda o sul Mandaloriano. Con poche semplici mosse la serie TV The Mandalorian è diventata virale, al contrario personaggi come Poe o, ancor peggio, Finn che in tre film non ha uno straccio di arco narrativo degno di tal nome (e dire che l’idea dello stormtrooper redento non era male, poi il nulla). Due tipi che non si fila nessuno anche perché, se ci pensate, non hanno quasi mai interagito tra loro on screen, salvo darsi baci e abbracci ogni volta che si incontrano.
Nell’Episodio IX, se non altro, l’interazione tra i tre nuovi “buoni” è stata gestita meglio ed ha giovato a dare un minimo di senso alla presenza di questi due tizi nella saga. Ciononostante Finn sarà ricordato come un elemento di contorno meno rilevante dell’ammiraglio Ackbar o di Nien Numb (l’alieno con la faccia da vagina che fa da co-pilota a Lando).
Dove Abrams ha sbagliato, invece, è stato nel rinnegare in toto il lavoro di Johnson, che aveva – giustamente – provato a portare la saga in un’altra direzione. E così le spade laser dell’Episodio IX non sono più lame futuristiche caricate da cristalli kyber ma armi mistiche infuse di ricordi e dotate di poteri imperscrutabili, il film è zeppo di manufatti e visioni, e tutto quello che avviene sul pianeta Exegol non ha alcuna logica razionale se non un bim bum bam magico (ok, è sempre fantascienza però…) e, con buona pace di Endor e Scarif (il pianeta di Rogue One), in mano a JJ Abrams i pianeti continuano a saltare per aria con la disinvoltura con cui un bambino di tre anni scoppia palloncini ad una festa di compleanno. Nell’eterno e irrisolto dibattito “Star Wars è fantasy o fantascienza?” L’ascesa di Skywalker si pone come il film più fantasy dell’intera saga.
Dall’altro lato, di buono c’è che seppur con una narrativa frammentaria, Episodio IX tocca le corde tipiche di un film di Star Wars con momenti di epica genuina, pathos ed emozioni. Alcune figlie anche di scelte – come anticipavo più su – decisamente furbette che, però, in un film che chiude una saga lunga quarant’anni vendono bene il prodotto massimizzando l’effetto nostalgia (vedi il cameo di Wedge e quello di John Williams, l’utilizzo dei temi musicali di Williams non riarrangiati, o quella scena lì con la medaglia).
Insomma, per dirvi la mia in due parole, l’Episodio IX mi ha divertito e per larghi tratti ho avuto la sensazione che fosse un buon Star Wars. Ciononostante ne riconosco gli evidenti limiti, prima di tutto il fatto – ma questo è un problema di tutti i tre film Disney, soprattutto quelli di Abrams – di essere rimasto impantanato nella narrativa della trilogia classica.
Ora la saga degli Skywalker è conclusa e, prima di guardare verso i nuovi orizzonti, Star Wars dovrà reinventarsi, e tanto.
Prima di chiudere ci tengo a dire qualche parola su un argomento molto rilevante quando si parla di Star Wars: il fandom tossico.
Ogni prodotto legato alla saga suscita sempre una veemente risposta del web, reazioni altamente polarizzate, come tristemente avviene di routine nel dibattito politico e sociale. Perché nell’internet dei social non esistono le fottute vie di mezzo. C’è la chiassosa frangia di fan per i quali il film è offensivo, un vilipendio alla loro incolmabile fede nella Forza e l’estatica percentuale di coloro i quali lo trovano perfetto e hanno pianto lacrime di pura gioia.
Siamo arrivati ad assistere al paradosso postmoderno dell’internet: dopo che nel 2017 una massa informe di haters indemoniati si stracciava le vesti nel web frignando perché il Luke Skywalker dell’Episodio VIII gli aveva irrimediabilmente stuprato l’infanzia, da poche ore è trend su twitter l’hashtag #thankyouRianJohnson. Adesso il nemico pubblico numero 1 è Abrams e, nella retcon della memoria dei fan, Johnson è stato riabilitato a postumo salvatore della patria.
Atteggiamenti già di per sé demenziali impreziositi dal solito stupidissimo incipit “IO SONO UN FAN DELLA SAGA E TI DICO CHE…” (cosa che è di moda tanto nei commenti dell’utente qualunque che nelle recensioni di blog, siti e sitarelli). Sarebbe il caso di finirla.
Chiunque abbia visto, e continui a guardare, i film di Star Wars è un fan della saga e parliamo di decine di milioni di persone. Il borioso snobismo di presumere di avere un punto di vista più consapevole di altri perché all’ultimo emocoromo vi hanno trovato il colesterolo alto e tracce di midichlorian è un atteggiamento non solo presuntuoso ma anche ridicolo.
Come ridicole sono le classifiche di gradimento dei film di Star Wars, il 99,9% delle quali, iniziano tutte con L’Impero colpisce ancora. Non frega niente a nessuno se pensate che L’attacco dei cloni sia meglio de Il Ritorno dello Jedi perché gli Ewoks sono orsetti fatti per vendere pupazzetti pelosi nel 1983 e, più in generale, non frega a nessuno di quale sia il vostro preferito. A maggior ragione visto che parliamo di film nati in epoche diverse, realizzati da persone diverse, e per un pubblico via via sempre diverso.
La sublimazione di questo modo di porsi nella critica a Star Wars porta gli opinionisti 2.0 a vaneggiare persino su connessioni spirituali con i film di George Lucas. Mi sono imbattuto in un pezzo in cui, in premessa, l’autore si diceva particolarmente legato a Star Wars in quanto nato nel 1977, stesso anno di uscita del primo storico Guerre Stellari. Che magari nel nido dell’ospedale era arrivata una stella cometa che invece era un frammento di Alderaan e lo aveva benedetto. Il risultato di tutti questi comportamenti tossici è che di Star Wars in rete praticamente non si può più parlarne.
Beh, sapete che vi dico? Tutti voi, nessuno escluso, avete rotto il cazzo.
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