Gravity [Recensione]

Nello spazio non c’è suono e la vita è impossibile, ce lo ricorda Cuàron, con un cartello, pochi istanti prima di lanciarci nel vuoto a circa trecentomila chilometri dalla terra. La prima sensazione è quella di una salita, lenta e graduale, ma dalla quale ti aspetti una discesa, ripida e palpitante.
Che arriva subito senza mai fermarsi.

Gravity è un film sulla vita e la morte, costruito come un indomito coraggio. Dopo alcune produzioni in patria, l’acclamato regista de I Figli degli Uomini, che lo ha consacrato regista di talento, ritorna con una pellicola minimalista retta su due personaggi che recitano in uno scambio di battute quasi teatrale in un ambiente completamente asettico. Liberando la scena da qualsiasi artificio narrativo, flashback ad esempio, allestisce uno spettacolo dall’incredibile bellezza visiva. Non solo: in un film di circa cento minuti, scenograficamente vuoto, è un continuo tendere il filo della tensione senza mai spezzarlo.

È solo formalmente e non sostanzialmente un film di fantascienza. Non ci sono alieni e robot e fattore indispensabile: non esiste una nuova scienza a scontrarsi con la realtà. Sono i detriti di un satellite e non meteoriti gli antagonisti: il nemico è lo stesso uomo, se vi divertite con i messaggi subliminali. O ad essere precisi è un film esistenzialistico condito abilmente da un contorno spiritualistico. I due concetti, agli antipodi, si scontrano in un dualismo metaforicamente retto dai due protagonisti. Se non fosse forzato, survival horror potrebbe essere una definizione esatta; perchè ha molto più con l’orrore più che con lo sci – fi da spartire. Ed infatti i limiti fisici ci sono. Ma non è sulla scienza che verte il perno della pellicola.

È diretta con un abile mano e una grande sensibilità artistica: lunghi piani sequenza con inquadrature mozzafiato e scene di tensione vere e propri. Non c’è nessun movimento della macchina da presa che non sia stato studiato.

Ma se il film è riuscito lo si deve anche alla straordinaria prova dei due protagonisti, George Clooney e Sandra Bullock. Le loro personalità non tolgono spazio alla sceneggiatura e alla scena, anzi, enfatizzano l’impatto emotivo. Una Bullock che ricorda Sidney Weaver di Alien e un Clooney ironico e rassicurante. L’intimità dei loro personaggi è costruita attraverso le loro parole. “È una straordinaria avventura” recita Clooney.
Infatti.

marcodemitri®

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