Il seguente articolo è una continuazione di Walt Disney, il nuovo poeta dell’animazione facente parte della serie Da Walt Disney a Hayao Miyazaki.
Quando Walt Disney ottenne il successo con Stemboat Willie, avrebbe potuto puntare su quella stessa formula adattandola ad altri cartoni animati ed altri personaggi del bestiario Disney, ma
non era nello stile di Walt replicarsi, anzi, egli amava affrontare nuovi stili e diversi generi, pur andando contro la regola del mercato per cui, se un prodotto sperimentato va bene, si continua a puntare su quello. Fortunatamente la voglia di crescere di Walt Disney era grande e, come affrontò la maggior parte dei produttori hollywoodiani per creare la “follia di Disney”, questa volta diede ascolto ai suggerimenti del suo direttore musicale Carl Stalling, realizzando un cartone animato molto diverso: senza un personaggio riconoscibile. Un cartone animato basato essenzialmente sulla musica; così nacque la serie di Silly Symphonies, realizzata nei vecchi studi Hyperion oggi ricostruiti a Burbank.
La serie consiste in una vasta gamma di storie a sfondo morale, in cui sono riconoscibili favole note a tutto il mondo come: I tre porcellini, La lepre e la tartaruga, La cavalletta e le formiche, Il brutto anatroccolo ecc. favole che hanno segnato l’infanzia di numerose generazioni, raggiungendo il vasto pubblico cinematografico e televisivo.
– I tre porcellini (1933) ebbe un successo di pubblico straordinario, specie per il suo messaggio ottimista per gli spettatori: persone che stavano vivendo in pieno la Depressione di quegli anni e la canzone “Siam tre piccoli porcellin” divenne un inno per chi si rifiutava di piegarsi alle difficoltà economiche.
I tre protagonisti della storia, graficamente uguali, vennero creati con abbigliamento e caratteristiche comportamentali differenti, in modo da presentarsi come singoli individui. Caratteristica particolare del lupo, successivamente censurata, era il suo travestimento da venditore ambulante ebreo, secondo i cliché dell’epoca; ma qualcuno ne approfittò immediatamente per accusare Walt Disney di antisemitismo, cosa che venne assolutamente negata dagli stessi suoi collaboratori di origine ebrea. E’ importante capire che questi stereotipi razziali erano usuali nei film hollywoodiani dell’epoca (tutt’oggi sono utilizzati da cartoni animati satirici), compresi i film prodotti dagli ebrei, ma questo non li rende meno gradevoli, ma aiuta a vederli in un contesto in cui questo umorismo era accettato per ciò che vuole essere la satira e non un’accusa razziale verso un determinato popolo, religione o sesso; si prendano in esempio i film di Woody Allen, il regista americano, di origini ebree che ha sempre introdotto nei suoi film quella pungente satira verso la religione dei suoi genitori, mettendone in luce stereotipi e difetti.
Il successo de I tre porcellini fu tale da stabilire un precedente e fu difficile superarne il successo, ma questo non scoraggiò di certo Walt Disney .
– La lepre e la tartaruga (1934) è una trascrizione di una favola di Esopo e rappresenta un passo gigante per lo sviluppo dell’animazione degli anni ’30. Gli animatori lavorarono duramente per riuscire a trovare uno stile più raffinato e idee innovative da inserire nella fiaba animata. Per la prima volta, infatti, si lavora sul concetto della velocità (su cui è basata l’intera storia) incarnata dal personaggio di Max la lepre.
Essendo, l’accelerazione dell’azione, una novità nel campo dell’animazione, il concetto di come potesse essere resa non passò inosservato agli altri studi d’animazione rivali, infatti le “linee di velocità” divennero subito comuni in molti altri cartoni animati. L’idea base del realizzare la velocità e darne prova tangibile alla vista degli spettatori era derivata dal concetto base dei cartoni animati di stampo americano, ovvero: i cartoni animati non devono riprodurre la realtà, ma esagerarla; per questo diventa molto divertente vedere la scia blu di linee quando Max corre. Inoltre i caratteristi riuscirono, come sempre, ad imprimere due tipologie di comportamento e d’espressione visiva e vocale ai due protagonisti: la lepre burlona, che si vanta della propria velocità, ama gingillarsi con i propri fan (specie le conigliette) e non perde occasione di fare scherzi alla tartaruga; quest’ultima viene descritta come un personaggio molto umile, credulone ma tenace, capace di credere nelle sue capacità e quindi in una possibile vittoria, nonostante sia chiaro che la lepre è nettamente più veloce di lei.
Un aneddoto molto curioso racconta come Tex Avery in persona (di cui parleremo presto) dichiarò che Max la lepre fu una delle ispirazioni che portarono alla realizzazione del coniglio Bugs Bunny, sia per quanto riguarda l’aspetto comportamentale, sia per il suo primo tratto grafico
– La cavalletta e le formiche (1934) è l’esempio perfetto per far capire come Walt e i suoi sceneggiatori sapevano riesumare una vecchia favola, darle nuova vita, adattarla al loro stile per farne, infine, un cartone animato di successo. Il punto di forza di questo cartone sono le canzoni con le quali si diletta la cavalletta, prima schernendo le formiche e dopo traendo la morale finale della storia, e il loro interprete Pinto Colvig un vecchio clown che prestò la voce anche a Pippo.
L’idea che un personaggio divenisse blu per il forte freddo era completamente inedita nel 1934, quanto il processo della Technicolor era ancora nuovo.
– Il brutto anatroccolo (1931 – 1939) è il solo film delle Silly Symphonies a godere di un remake. E’ interessante vedere la versione del 1939, subito dopo quella del 1931,
il quale risulta un buon cartone animato ma é anche evidente che alla fine del decennio l’equipe Disney aveva fatto enormi progressi con i personaggi; tuttavia sono entrambi godibili da vedere, in quanto, sia nel primo che nel secondo, lo staff Disney ha saputo trasportare le stesse emozioni.
– La danza degli scheletri (1929) è uno dei veri capolavori della Silly Simphonies, poiché racchiude tutto ciò che ha fatto grande la Disney come vera fabbrica di sogni e poesia. L’intensità del cartone animato e la sua bellezza sono rimasti intatti in ottantadue anni dalla sua produzione, si può quindi immaginare che grande effetto ebbe per il pubblico di fine anni ’20, quando il sonoro era appena approdato nel cinema e quindi era una novità assoluta.
A differenza di molti altri episodi, la storia non si incentra su di un dialogo, ma su di un gruppo di personaggi che si muovono in sincronia con la musica. La semplicità dell’esecuzione è disarmante, come illustra la sequenza in cui uno degli scheletri avanza verso l’ipotetica cinepresa, battendo la mandibola a ritmo di musica, per poi indietreggiare e riavanzare, creando uno strano gioco ipnotico.
Qui si va a dimostrare come Disney era in grado di realizzare cartoni animati molto oscuri (per meglio intenderci: dark), con aspetti gotici che richiamavano certe poesie campestri del periodo gotico inglese, inculcando quella giusta dose di paura mista alla bellezza delle immagini. Sin dalla prima scena (un fulmine e l’apertura nel buio di due occhi) si inculca nello spettatore una certa dose di terrore, come il successivo emergere dalle tombe dei vari scheletri ballerini, ma il tutto non sfocia mai in una dimensione non adatta ai bambini (come invece accade molto spesso nell’animazione nipponica) ma resta in bilico fra la paura di un incubo e la bellezza ritmica d’un musical.
Voto finale: 10