Doomsday Clock #1 di Geoff Johns e Gary Frank

25 Maggio 2016: l’universo fumettistico DC Comics si trasforma. La controversa parte di se stesso chiamata New 52 viene abbandonata, uccisa in modo simbolico tramite la scomparsa di Pandora, per far spazio alla miscela di tutto ciò che ha reso grande la storia di questi mondi. DC Universe Rebirth, un fondamentale punto di svolta per l’industria di Burbank, una rinascita letterale che ha riportato in auge con estrema forza tutto quello che nei precedenti anni era rimasto fuori dai giochi.

 

Ed era tutta colpa del Dr. Manhattan.

L’opera seminale di Alan Moore e Dave Gibbons si è per la prima volta intersecata con il classico universo DC, lasciando intendere quanto la recente timeline di Superman & Co sia stata alterata dal fisico nucleare più blu di tutti i multiversi. La marionetta in grado di vedere i fili ha giocato con lo spazio-tempo del DC Universe e abbiamo ricevuto indizi del suo operato lungo tutto questo anno e mezzo di storie. La presenza costante di OZ nella vita di Clark Kent e la recente avventura nel microverso della Justice League of America sono solo alcune delle le tracce più vistose. Nella lunga strada che ha portato ad oggi, il crossover The Button è stato il tassello più importante, Seconda Parte di un’ipotetica trilogia la cui fine comincia adesso.

 

22 Novembre 2017: Geoff Johns, l’architetto del Rebirth, impugna nuovamente la penna per Doomsday Clock #1. L’impatto del suo ritorno alla scrittura dopo un lunghissimo lasso di tempo pesa in ogni singola pagina del primo numero di questa miniserie, in grado di introdurre una nuova catena di eventi all’interno di un universo già esistente e dallo stile perfettamente riconoscibile. 

Doomsday Clock è un sequel di Watchmen e l’autore non si perde troppo in chiacchiere nell’affermarlo: il mondo creato da Alan Moore sta vivendo le conseguenze delle azioni compiute da Ozymandias. Quello che sin da subito evidenzia il distacco dalla fonte originale è il modo di narrare di Johns. Il capolavoro del 1986 era un raffinato lavoro di brutale decostruzione che doveva decretare la morte del supereroismo, una cospirazione il cui scopo era sconfiggere i vigilanti perché nessuno aveva più bisogno di loro. In Doomsday Clock #1 Johns mutua il linguaggio che ha reso Watchmen una pietra miliare e lo adatta alla sua penna, da sempre in grado di creare grande spettacolo su carta, per una storia supereroistica diretta, sfrontata e d’impatto immediato. Non ci sono sottigliezze nell’intreccio iniziale, tutto procede in maniera lineare.

 

Tutto perfettamente lineare.

Il risultato di questa commistione, frutto di uno studio attento e dettagliatissimo da parte del team creativo, è una piacevole dissonanza. L’attinenza alla fonte originale è maniacale, rintracciabile in ogni vignetta di questo primo capitolo, ma l’incursione di una mano d’azione come quella di Johns porta la narrazione su un piano differente. Dove Watchmen era riflessivo e guardava verso l’interno per smontare pezzo dopo pezzo il puzzle composto da maschere e mantelli, Doomsday Clock punta verso il cielo e dichiara di voler andare oltre, facendo presagire eventi dalla portata sempre più ampia, dove si può arrivare solo volando. Dove Watchmen richiedeva e premiava l’investigatore dalla lettura lenta e meticolosa, Doomsday Clock è da divorare voracemente perché lo sguardo punta molto lontano. In definitiva, Geoff Johns sta facendo ciò che gli riesce meglio: sta scrivendo puro supereroismo.

Il complesso registro stilistico di Watchmen funge da filtro per l’avventura imbastita dall’autore statunitense, donando al Primo Capitolo un peso ed una forza tale da non rendere la linearità della narrazione sinonimo di povertà creativa. Gary Frank sfrutta la simmetria ossessiva delle nove vignette per catturare la gravità della situazione e creare un ambiente dinamico, vivo e vibrante oltre i limiti della griglia. Nei pochissimi momenti in cui l’ordine della pagina viene spezzato, Frank e Johns dipingono campi più ampi che donano a DC#1 una fotografia degna di un blockbuster cinematografico.

 

E se Watchmen si tingesse di simpatia, colore e pailette?

Del tutto privo di recap, la trama di Doomsday Clock #1 riprende la grande menzogna di Adrian Veidt, smascherata dal Diario di Rorschach, e la porta in un mondo che sembra condividere una grossa parte di storia con il nostro. Come precedentemente dichiarato da Johns, sono stati gli eventi politici e sociali degli ultimi anni a riportare in vita un progetto che sembrava pronto alla cancellazione. Dall’infusione di elementi reali in un mondo oscuro e anacronistico come quello di Watchmen, si parte verso un processo di lento cambio umorale che culmina con le ultime pagine di questo primo numero. La graduale introduzione di nuovi frammenti ed indizi cambia progressivamente il colore della narrazione, quasi come se si stesse rimarcando quanto Doomsday Clock sia, nelle sue tematiche e nei suoi intenti, una storia supereroistica.

L’introduzione di due nuovi personaggi nella mitologia di Watchmen lascia addirittura spazio ad una manciata di brevissimi siparietti umoristici perfettamente inseriti nel contesto narrativo. Questi personaggi vengono recuperati in una prigione da quella che sembra essere una vecchia conoscenza: Rorscharch. Le preview avevano già anticipato il suo ritorno ma le apparenze ci stavano ingannando: Walter Kovacs non è magicamente tornato in vita, il nuovo vigilante è un misterioso individuo di colore di cui non vediamo mai il volto. Ci accorgiamo del cambiamento immediatamente: mentre il vecchio Rorscharch era un uomo instabile, malato e dalle dichiarate tendenze politiche destrorse, il nuovo uomo sotto la maschera non svela simpatie per nessuna ideologia e si comporta sin da subito come un eroe fatto e finito.

 

Ecco dov’è realmente finito Walter Kovacs. 

Doomsday Clock #1 si rivela essere un ponte tra due mondi completamente diversi e tra due autori agli antipodi. Nonostante queste divergenze, l’apertura di Johns e Frank cattura l’essenza e il respiro del classico imperdibile e si annovera immediatamente come un punto fondamentale per l’epoca fumettistica moderna.

L’atto finale del Rebirth è appena cominciato.

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