TWR la (psico)analisi di It: la paura fa anni '80

Esiste un genere cinematografico da poco sbarcato anche in TV che, nonostante sia rigidamente canonizzato, nessuno si è preso la briga di battezzare. Quindi lo farò io. Si tratta del Film di Formazione/Avventura con Bambini in Bicicletta (per comodità FFABB).
Capostipite di questo filone è naturalmente E.T., poi sono arrivati I Goonies Stand By Me (ok, lì camminavano ma il concetto non cambia). In tempi più recenti, questo filone fortemente radicato negli anni ’80 ha avuto prima una timida resurrezione con Super 8 di JJ Abrams – che, guarda caso, era prodotto da Spielberg che di E.T. era il regista e de I Goonies aveva scritto il soggetto – e poi una ritrovata poplarità grazie successo della serie TV Netflix Stranger Things.
Oltre a dei protagonisti di 10-12 anni ed alle biciclette, il FFABB ha altri elementi peculiari: la presenza di un bullo generalmente di un paio d’anni più grande e dal cervello non troppo fino, l’ambientazione in una sonnacchiosa cittadina della provincia americana zeppa di villette monofamiliari con cantina e garage, numerosi easter egg e riferimenti alla cultura pop dell’epoca (poster di film, giocattoli e gadget in genere).
Sono film di formazione in cui, dunque, i piccoli protagonisti giungeranno alla consapevolezza dell’età adulta attraverso la scoperta. Scoperta che può essere di un tesoro (I Goonies), di un cadavere (Stand By Me) o, il più delle volte, di qualcosa di soprannaturale/alieno (tutti gli altri esempi di cui sopra).

It, o meglio il capitolo 1 di It che è nelle sale in questi giorni, è un classico FFABB. Ed è un esponente anche ben riuscito di questo genere e no, non è proprio un horror. O meglio, vista la tematica portante, possiamo incasellarlo anche nella categoria film dell’orrore ma è bene sapere che non fa poi così paura (se avete 14-15 anni forse – e sottolineo forse – potrebbe minimamente turbarvi). C’è qualche jumpscare qua e là ed un’ottima interpretazione di Bill Skarsgard nei panni di Pennywise (voto altissimo per lui, per il trucco ed anche per la CGI), ma quell’opprimente e costante filo di tensione che dovrebbe essere la base di un film dell’orrore latita. Insomma, se proprio vogliamo definirlo tale, non è certo un horror cerebrale ma piuttosto un horror commerciale. E, per carità, non è necessariamente un male.

– vedere sotto la voce: jumpscare – 

Poche righe più su, precisavo “il capitolo 1” perché il gargantuesco romanzo di King a cui il film è ispirato aveva un costruzione ben diversa. Il librone di oltre mille pagine, infatti, era ambientato su due piani temporali: nel 1958 i piccoli membri del club dei perdenti sprofondavano nell’orrore facendo la conoscenza di It, e successivamente nel 1985, diventati adulti, tornavano a Derry per affrontare gli incubi del passato e chiudere i conti in sospeso con It. I due archi temporali non si sviluppavano in maniera cronologica ed erano – che ve lo dico a fare? – perfettamente amalgamati ed interconnessi dalla penna di King. La miniserie TV del 1990 con Tim Curry seguì questa stessa filosofia. Il nuovo progetto cinematografico, invece, racconta solo la parte con protagonisti i bambini, mentre il sequel (in uscita tra 2 anni) racconterà le vicende degli adulti.
Ma c’è anche un’altra significativa differenza rispetto al materiale sorgente: le lancette dell’orologio sono state spostate 30 anni avanti. La prima parte del nuovo It è ambientata negli anni ’80, mentre la seconda si svolgerà ai giorni nostri. 

Entrambe sono soluzioni apprezzabili e, per certi versi, funzionali (ma con un grosso effetto collaterale di cui parleremo tra poco). In primo luogo suddividendo così i due capitoli si è dato un finale compiuto già al primo film – cosa pressoché impossibile se si fosse giocato sui due piani temporali – e, secondariamente, spostando la storia al 1988 si è attualizzata la vicenda traslocando il club dei perdenti nella comfort zone eighties con cui il pubblico ha grande familiarità.

La paternità di questa impostazione va attribuita, non tanto a Andrés Muschietti (il regista del film), quanto a Cary Fukunaga, che molti di voi ricorderanno per la sontuosa regia della stagione 1 di True Detective, il quale ha scritto la prima versione della sceneggiatura di “questo” It e che avrebbe dovuto anche dirigerlo prima di andarsene per divergenze creative con la casa di produzione, la New Line. Fukunaga nel 2014 dichiarava “il primo film sarà solo sui bambini. Sarà come i Goonies che finiscono in un horror”. Ed è andata proprio così.


– Nelle fogne c’è il tesoro di Willy l’orbo? Non proprio. –

Dicevo, però, di un effetto collaterale. Il romanzo gioca sulla dicotomia tra la versione 12enne di ognuno dei perdenti e la rispettiva controparte adulta, colmando via via i vuoti di memoria dei protagonisti e mostrando, sin da subito, chi erano diventati dopo quella tragica ed indimenticabile estate a Derry. Mettendo così in scena una continua contrapposizione tra le paure e le speranze dell’infanzia e la disillusione della maturità. I due piani narrativi consentivano inoltre a King di mettere in atto uno dei suoi “giochetti” preferiti: raccontare prima gli eventi futuri (o comunque darne dei cenni), per poi tornare indietro a far luce sul come si sia arrivati a determinate situazioni. Il re del brivido lo fa spesso, lo ha fatto con It, così come con i romanzi della Torre Nera. É un espediente narrativo che funziona in un romanzo, ma che è perfetto anche per il cinema e la TV. Vedi, ad esempio, i flashforward di Lost con protagoniti gli Oceanic Six (se vi va di approfondire, del rapporto tra King e Lost ne parlai qui). 

Il capitolo 1 di It è stato spogliato, dunque, di una delle principali peculiarità del romanzo trasformandosi in un FFABB puro. Considerando la difficoltà di adattare il materiale sorgente e considerando, soprattutto, che spesso i derivati dei lavori di King diventano dei colossali buchi nell’acqua – vedi l’insignificante primo (e forse ultimo) film de La Torre Nera – non mi sento di biasimare questa sorta di semplificazione. Anche perché, come dicevo più su, nel suo genere questo It è un film piacevole e ben bilanciato ed ha il suo punto di forza – oltre che nelle atmosfere nostalgiche ed acchiappone degli anni ’80 – nel club dei Perdenti. Ognuno dei bambini è ottimamente caratterizzato, sia grazie ad una buona presentazione delle rispettive backstory, sia per per merito di casting molto azzeccati in cui spiccano i piccoli interpreti di Beverly Marsh (Sophia Lillis) e Richie ‘boccaccia’ Tozier (Finn Wolfhard, il Mike di Stranger Things). 

Quindi, insomma, se avete letto il romanzo avrete senza dubbio la sensazione che qualcosa manchi all’appello, ma ciononostante questo primo capitolo di It è un buonissimo film à la Goonies con un mostro molto più fico (non me ne vorrà la mamma della banda Fratelli). Nell’attesa e nella speranza che, tra due anni, si possa tornare in una Derry più spaventosa di così con un sequel che, non trattando più della perdita dell’innocenza ma del disincanto di un gruppo di adulti, sia meno immediato e “di pancia” ma più cupo ed introspettivo.

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