Il 22 settembre 2004, durante la tratta da Sidney a Los Angeles, il volo 815 della Oceanic Airlines precipita su una misteriosa isola apparentemente deserta. Così inizia Lost e, con questo fragoroso schianto, il culto della serializzazione televisiva viene improvvisamente portato a velocità di curvatura.
Lost rappresenta una svolta nel mondo delle serie TV per vari motivi: tematiche, coralità, budget e, soprattutto, la morbosa affezione del pubblico, una vera rarità nell’era pre-social network. É una serie ricchissima di spunti ed è una delle poche (assieme a Twin Peaks o Breaking Bad) a potersi definire un capolavoro di genere, non fosse altro che per l’impatto devastante che ha sulla successiva produzione televisiva che lo ha reso, inevitabilmente, oggetto di culto.
Nel 2004 JJ Abrams è un giovane sceneggiatore che può vantare nel suo curriculum lo script, realizzato a soli 24 anni di età, di A Proposito di Henry (film di buon successo con Harrison Ford diretto da Mike Nichols), una collaborazione con Michael Bay su Armageddon ed il successo di Alias, serie televisiva di stampo sci-fi spionistico con Jennifer Garner. Insomma nel 2004 JJ è un enfant prodige, non è ancora il pezzo grosso che dirigerà Mission Impossible III e che avrà l’onore e l’onere di far ripartire al cinema i franchise di Star Trek e Star Wars.
La ABC, che nel 2000 viene acquistata dalla Disney, non attraversa un buon periodo in termini di ascolti, ma decide coraggiosamente di investire su Lost, temeraria idea proprio di Abrams (coadiuvato da Damon Lindelof e Jeffrey Lieber), facendo uno sforzo produttivo notevole: il doppio episodio pilota di Lost – che viene diretto dallo stesso JJ – costa più di 10 milioni di dollari e diventa, nell’attesa dei colossi HBO degli anni a venire, il più costoso della storia della televisione.
Il progetto Lost è talmente ambizioso che, in un’epoca in cui le star di Hollywood non si prestano a passare sul piccolo schermo, viene contattato Michael Keaton per il ruolo del dottor Jack Shepard. L’idea iniziale è di far credere agli spettatori che Jack sia il protagonista, salvo poi ucciderlo proprio nell’episodio pilota. I piani, però, cambiano in corsa ed il personaggio di Jack diventa, assieme a Locke, una delle due colonne portanti della serie. Il ruolo, alla fine, va a Matthew Fox.
Keaton molti anni dopo svelerà all’Hollywood Reporter: “JJ ed io abbiamo avuto una conversazione, avevo letto alcune delle cose che aveva scritto e mi sottopose la sua idea per Lost. Mi disse che questo personaggio, che tutti avrebbero pensato sarebbe stato il protagonista, sarebbe morto nei primi 10 minuti. Mi piaceva l’idea di essere solo in un’ora di uno show televisivo. Sono troppo pigro e così era perfetto, non avrei dovuto essere nella serie a lungo termine! Poi penso che lui o gli studios abbiano ripensato meglio a questo plot twist, abbiamo avuto una mezza conversazione in cui mi è stato chiesto se avessi ancora interesse nella parte. L’offerta era cambiata e non mi interessava più.”
A rendere Lost un culto morboso è proprio la sua struttura narrativa. Innanzitutto trattandosi di una serie corale – la prima stagione ha ben 14 regular nel cast – le soluzioni narrative si moltiplicano, svelando, di volta in volta, le backstory dei personaggi in episodi tematici incentrati per lo più su singoli protagonisti (o su coppie di essi, come Sun e Jin o i decisamente meno fortunati Nikki e Paulo) grazie a quello che è uno degli elementi caratterizzanti della serie: i flashback. Inoltre è diabolica l’idea degli showrunner di sbattere in faccia agli spettatori, sin da subito, un numero incalcolabile di misteri misteriosamente misteriosi, easter egg e collegamenti sotto traccia.
I numerosi segreti dell’isola scatenano le ipotesi più disparate sui forum online dedicati alla serie. Già nella prima stagione gli orsi polari, il messaggio radio in loop della donna francese, la sequenza di numeri (4 8 15 16 23 42), il fumo nero, l’inspiegabile guarigione di Locke che dopo esser precipitato non è più paraplegico e gli oscuri dettagli del passato di molti protagonisti riescono a calamitare l’attenzione dei fan. Fan il cui sistema nervoso riceve la definitiva mazzata con la lacerante attesa generata dal cliffhanger che chiude la prima stagione: cosa si nasconde in quella maledettissima botola?
In Italia, in particolare, l’interminabile pausa prima della messa in onda della stagione 2 mette a repentaglio la salute mentale di molti…
Sì, perché la seconda stagione di Lost giunge in Italia addirittura un anno dopo la messa in onda statunitense! L’episodio 1×24 che chiude la prima stagione va in onda in Italia a luglio 2005 su Fox (con soli due mesi di ritardo rispetto alla release USA). Ma, mentre la stagione 2 debutta negli States quattro mesi dopo, a settembre 2005, in Italia Fox la manda in onda a settembre 2006. Un totale di 14 mesi per scoprire cosa, o meglio “chi”, si cela nella botola della DHARMA Initiative.
E no, nel 2005 non hanno ancora preso piede lo streaming illegale ed i forum di sottotitoli che, probabilmente, iniziano a proliferare anche grazie all’impulso dei fan in astinenza da Lost. A partire dalla terza stagione, infatti, complice il perdurante ritardo nella messa in onda italiana, le puntate iniziano ad essere “spacciate” in rete.
Istantanea di uno spettatore in crisi d’astinenza.
Nel corso degli anni, Fox impara che la fame di Lost ha spinto gli spettatori a trovare alte vie per vedere gli episodi negli oscuri meandri dell’internet e si adegua, arrivando a trasmettere la sesta stagione pochi giorni dopo gli Stati Uniti e il finale di serie – un evento mediatico globale di cui parlano anche quotidiani generalisti – va in onda, per la prima volta nella storia della televisione nostrana, alle 5 del mattino del 24 maggio 2010 in contemporanea con gli Stati Uniti (e con altri 56 paesi del mondo).
Gli spettatori rimangono per 6 anni invischiati nell’intricata rete dei enigmi legati all’isola. Isola la cui mitologia si espande gradualmente trasformando la serie dal mistery che sembrava all’inizio, in sci-fi vera e propria con tanto di viaggi nel tempo, esseri millenari, scienziati vintage ed una spruzzata di elettromagnetismo.
E, dietro questa facciata da serie avventurosa/soprannaturale, la vicenda dei sopravvissuti mette in scena numerose dicotomie: ad un, se volete scontato, scontro tra bene e male, tra bianco (Jacob) e nero (Smokey), si affianca lo scontro tra scienza e fede, o meglio tra l’uomo di scienza (Jack) e quello di fede (Locke), tra libero arbitrio e determinismo. Una dichiarazione d’intenti chiara sin dall’episodio pilota, quando Locke con due pedine del backgammon in mano, una bianca ed una nera, dice al piccolo Walt.
I due giocatori, Jacob e l’Uomo in Nero, hanno già iniziato a fare le loro mosse. Un concetto di stampo evidentemente determinista: i sopravvissuti sono le pedine dell’atavico scontro tra la personificazione del bene e quella del male. Scontro che avviene sull’isola, un luogo quasi metafisico in cui, periodicamente, va ristabilito un equilibrio.
E la filosofia è un altro dei sottotesti di Lost: uno tra i rappresentanti del determinismo è lo scozzese David Hume che, non a caso, ha in comune il cognome e la patria di uno dei più affascinanti personaggi di Lost: Desmond Hume. Anche John Locke deve il suo nome all’omonimo filosofo vissuto nel ‘600 e considerato uno dei padri del liberismo e dell’illuminismo, concetti che non vanno molto d’accordo con il modus operandi del Locke dell’isola che invece, sin dalle prime battute del serial, si rivela fermamente convinto che ci siano un’entità ed un fine superiore dietro lo schianto del volo 815.
Ma, a rendere così attraente per il pubblico la disavventura dei sopravvissuti dell’815, è anche il modo in cui viene raccontata: i flashback, finora saltuariamente utilizzati al cinema ed in TV come semplice espediente narrativo, diventano parte integrante della struttura della serie. Dopo 3 stagioni, questa impostazione così schematica rischia di stufare lo spettatore e così – visto che uno dei concetti base di Lost è proprio il Tempo – Carlton Cuse e Damon Lindelof, a cui Abrams nel frattempo ha lasciato il timone della serie, tirano fuori dal cilindro prima i flashforward, poi i flashpresent (alternanza di situazioni che si verificano sull’isola e sulla terraferma nella stagione 5) ed infine i flashsideways (frammenti di un’altra realtà) della stagione 6.
I flashsideways della stagione finale fanno storcere il naso a molti e inducono un colossale fraintendimento in una fetta di spettatori distratti e sempliciotti i quali, nel corso degli anni, continueranno a sostenere che i protagonisti di Lost siano tutti morti al momento dello schianto del volo 815…
Ok, ho usato bonariamente il termine “spettatori distratti e sempliciotti” quando, per onestà intellettuale, sarebbe stato più opportuno definirli orfani di cervello ©.
A proposito di flashback e flashforward (che in italiano si chiamano ‘analessi’ e ‘prolessi’ anche se non lo sa nessuno…), questi sono espedienti molto cari a Stephen King e, in particolare, fanno parte del tessuto narrativo di una della sue opere più apprezzate: la saga in 7 romanzi de La Torre Nera. In perfetto stile Lost, il collegamento tra la serie di Abrams ed il re del brivido è ricorrente e non casuale.
Abrams, Cuse e Lindelof, a più riprese, si sono professati grandi fan dei lavori di King, soprattutto de L’ombra dello Scorpione e della saga della Torre Nera. I collegamenti tematici tra queste due opere e Lost sono palesi. Primo fra tutti è l’eterogeneo gruppo di sopravvissuti le cui vite si intrecciano irrimediabilmente dopo una catastrofe (L’ombra dello Scorpione) suddividendosi in seguaci del bene e del male. Concetto affine a quello di ka-tet (La Torre Nera), ovvero l’uno fatto di molti, cioè un gruppo tenuto insieme dal “ka”, una misteriosa forza che unisce i destini di alcuni individui. E se l’unione dei sopravvissuti dell’isola rappresenta un ka-tet, possiamo tranquillamente dire che Jacob sia la personificazione del ka nell’universo di Lost.
Probabilmente, però, il parallelismo più evidente tra l’isola ed il kingverso è quello tra il misterioso Fumo Nero/Uomo in Nero di Lost e l’Uomo In Nero (alias Randall Flagg alias Walter o’Dim alias Marten), il villain dai molti nomi comune alle due sopracitate opere di King, L’ombra dello Scorpione e La Torre Nera.
– true love –
L’amore che la writer’s room di Lost prova per i romanzi del re del brivido è assolutamente ricambiato. King, infatti, ribadisce a più riprese di non perdere mai un episodio Lost: secondo lui “non c’è niente di meglio in TV”. Vista la sua passione per l’isola, King si ritrova spesso a parlarne anche nella sua rubrica mensile su Entertainment Weekly, “The Pop of King”.
Proprio in uno dei suoi editoriali su EW, a settembre 2005, suggerisce agli sceneggiatori di Lost di programmare quando chiudere la serie: “Quando un piatto è cotto a puntino, è il momento di toglierlo dal fuoco. E quando una storia è raccontata in modo impeccabile, è tempo di una dissolvenza a nero. Non mi interessa se Jack, Kate e tutti gli altri scoprono di essere morti e scendono al cielo di un raggio di luce bianca di Kubler-Ross, o se decidono di scontrarsi brutalmente l’un l’altro come ne Il Signore delle Mosche. Possono scoprire di essere parte di un esperimento (umano o alieno). Jack può anche svegliarsi – yawn! – e scoprire che è tutto un sogno (anche se lo odierei). Ma, per favore ragazzi, non mungete questa dolce mucca fino allo sfinimento imbottendola con anni di flashback. Chiudetela quando volete, ma quando sarà tempo di finirla, fatelo.”
Il consiglio di Stephen King non passa inascoltato e, al termine delle terza stagione, Cuse e Lindelof discutono con il network del futuro della serie per poter scandire nel migliore dei modi la storia e programmare il finale. I due showrunner vogliono chiuderla con la quinta stagione con il 100esimo episodio mentre la ABC punta, ovviamente, ad allungare. Alla fine si arriva al compromesso: si decide che Lost durerà altri tre anni e terminerà, dopo 116 episodi, con la sesta stagione.
E, in effetti, a dispetto delle critiche – più o meno giustificate – che si possono muovere all’impianto narrativo dell’ultima stagione ed ai flashsideways che la caratterizzano, la scena finale di Lost è la perfetta chiusura del cerchio di una serie che, dietro una facciata sci-fi avventurosa, ha messo su un impianto narrativo unico nel suo genere, ricco di sottotesto e poggiato su dei personaggi scritti dannatamente bene.
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