Nel lontano novembre 2013 Marvel annunciò che avrebbe realizzato 4 serie TV, ciascuna con protagonista un diverso eroe street level Marvel – Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage ed Iron Fist – serie che sarebbero culminate con una miniserie crossover: The Defenders.
Oggi, quattro anni dopo, ci siamo fatti un’idea di quello che – nel bene e nel male – Netflix può fare con le sue licenze Marvel e, dopo esserci spellati le mani per Daredevil e Jessica Jones, le nostre certezze sugli elevati standard Marvel/Netflix hanno iniziato a vacillare nella 2a metà di Luke Cage, per poi crollare con Iron Fist.
L’approccio con The Defenders, dopo le ultime mezze delusioni, non poteva che essere cauto. A conti fatti, i timori erano giustificati.
Intendiamoci, The Defenders resta un godibile passatempo in cui 4 supereroi si azzuffano con dei ninja per le vie di New York. Punto. I suoi pregi finiscono qui. Niente a che vedere con quanto fatto in precedenza, vedi i tormenti etici di Matt Murdock, Kingpin che si mangia la scena o l’ inquietante modus operandi di Killgrave. Dopo che proprio Netflix ci ha aperto gli occhi mostrandoci – con la stagione 1 di Daredevil – che i serial di tutine in TV possono avere un ottimo livello qualitativo e delle tematiche adatte ad un pubblico maturo, ci siamo fatti la bocca buona e, alla luce di quanto detto, è inevitabile non poter essere del tutto soddisfatti di un prodotto così lontano da quegli standard. Sì, perché The Defenders è molto più vicino ad una stagione di Arrow di quanto non lo sia alla succitata prima stagione di Daredevil.
A maggio 2015, parlando dell’esordio del cornetto di Hell’s Kitchen scrivevo: “Daredevil rappresenta il nuovo gold standard della serializzazione televisiva dei supereroi per interpretazione, realizzazione tecnica, formato e rispetto del materiale originale. Un serial che fa ben sperare sulle prossime produzioni Marvel-Netlfix: Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist ed il crossover televisivo I Difensori. Incrociando le dita per vedere altri eroi più crudi come il Punitore o Moon Knight sottoposti alla cura Netflix.”
Lungo il percorso, però, qualcosa è andato storto. E quel qualcosa si chiama Iron Fist, il punto più basso raggiunto finora da un serial Marvel/Netflix.
Un flop che non è un caso: la verità, infatti, è che per fare una buona serie ci vuole un bravo showrunner e non un mestierante. Il successo di Daredevil è tutto merito di Steven S. DeKnight che, purtroppo, ha lasciato mamma Netflix perché investito del ruolo di sceneggiatore e regista del sequel di Pacific Rim. Iron Fist, invece, porta la firma di Scott Buck che può “vantare” nel suo curriculum le ultime, disastrose, stagioni di Dexter e a cui, nonostante il flop con Danny Rand, è stato affidato The Inhumans (un serial che desta molte, moltissime preoccupazioni). Il lavoraccio di Buck sul personaggio è stato ereditato da Ramirez & Petrie, un duo che aveva fatto un discreto lavoro con Daredevil 2, grazie al retaggio lasciato da DeKnight, ma che è ha perso la bussola nel dover assemblare i quattro eroi in una mini da 8 puntate. Uno dei motivi di questa sbandata è la sciagurata centralità rivestita proprio da Danny Rand nel plot di The Defenders. Per utilizzare un parallelismo calcistico: sarebbe stata meglio una difesa a 3
Daredevil continua ad essere il personaggio più riuscito della batteria, per quanto il suo rapporto con Elektra sviluppi situazioni già viste e riviste nella stagione 2 del serial a lui dedicato (Elektra è cattiva E INVECE NO è buona E INVECE NO è cattiva e via così fino all’infinito degli sbalzi ormonali e oltre…). Dal canto loro, per quanto le storyline di Jessica e Luke entrino in maniera un po’ forzata nella battaglia contro la Mano, si tratta comunque di due personaggi ben caratterizzati dalle rispettive serie e che mantengono un’apprezzabile coerenza narrativa con quanto visto in precedenza. Vedi ad esempio Luke Cage, il supereroe altresì noto come Trapano d’Ebano, che dopo appena 5 minuti dall’inizio della serie ha già messo la palla 8 in buca d’angolo, timbrando così il cartellino in tutte e tre le serie Netflix in cui è presente.
Eroe vero.
Danny, invece, è il Mattia De Sciglio del quartetto, il terzino un po’ svogliato e supponente che fa pure un errore marchiano al 90esimo facendo perdere la partita alla sua squadra.
‘Ma era già un coglione nella serie a lui dedicata’ direte voi. Ed è vero, ma qui risulta, se possibile, un personaggio ancor più sbagliato e disprezzabile che in passato. Ripete ossessivamente che lui è l’Iron Fist, protettore di K’un Lun che ha ottenuto i suoi poteri dopo aver strappato il cuore del drago Shou Lao, una presentazione pomposa degna di Daenerys nata dalla minestra, madre dei draghi in CGI, regina dei sandali e dei primi uomini e bla bla bla.
Peraltro questo non fa che accentuare lo stridente nonsense del suo status: il campione di una città mistica dove pure la portinaia fa arti marziali che le busca sistematicamente da tutti e, oltretutto, fa i capricci come un bambino di 2a elementare a cui abbiano rubato la borraccia. Viene allora spontaneo chiedersi: i tanto strombazzati maestri di k’un Lun sono in realtà bambini di 8 anni cintura nera di baci e carezze?
Certo, un personaggio mal riuscito su quattro, da solo, non può affossare del tutto la serie. Ed i problemi, infatti, sono anche altri: su tutti il fatto che The Defenders avrebbe dovuto essere il climax di un world building imponente – fatto di 5 serie Marvel /Netflix da 13 episodi ciascuna, per un totale di ben 65 ore di televisione – e sarebbe stato dunque lecito aspettarsi pathos, una buona dose di epica e, perché no, anche una discreta spettacolarità. Elementi, questi tre, che mancano del tutto nella serie.
E, a proposito di spettacolarità, le sequenze di menare – i Pugni™ e I Calci™ che dovrebbero essere il cuore pulsante di un serial come questo – sono coreografati in maniera sufficiente sì, ma mai entusiasmante: la scena del corridoio di Daredevil, il Punitore in divisa bianca che massacra una dozzina di detenuti, Luke che sopravvive ad un lanciamissili, scordateveli. Qui non c’è una battaglia memorabile, né una scena iconica ed è una mancanza mica da poco per un serial action supereroistico. Se cercate in TV i ceffoni quelli fatti bene, è meglio li cerchiate altrove, vedi alla voce Into The Badlands.
A questo vanno aggiunte anche scelte narrative parecchio stupide. Alcuni esempi:
– La Mano tortura Stick perché vuol sapere dove sia Danny Rand. Danny nel frattempo è a casa della sua ragazza Colleen, il cui indirizzo, essendo Colleen ex affiliata della Mano, dovrebbe essere ben noto all’organizzazione.
– Danny scopre il nome dell’azienda dietro cui si cela la Mano, fa irruzione durante un consiglio di amministrazione e che fa? Gli fa una cazziata (una cazziata, vi rendete conto?).
– La prima scazzottata dei 4 difensori uniti avviene perché passavano casualmente tutti quanti nello stesso posto alla stessa ora.
– L’epilogo della serie non ha alcun senso.
Il livello di scrittura, in certi frangenti, è così infantile che un piano ben congegnato dai nostri eroi – di quelli che ‘Hannibal Smith, spostati’ – consiste in uno che parla per distrarre gli avversari mentre i suoi due compari si nascondono per 10 secondi e poi saltano “a sorpresa” da dietro un ascensore. BUBUSETTETE!
Insomma The Defenders è un more of the same abbastanza ordinario, senza guizzi né soluzioni narrative particolarmente interessanti ma con delle atmosfere ingenue e scanzonate da serial supererostico “canonico”. Una storia un po’ scialba come scialbo è l’antagonista della serie: le cinque dita della mano in cui dovrebbe spiccare (e invece no) la misteriosa Alexandra interpretata da Sigourney Weaver.
Il finale di serie, peraltro, non presenta conseguenze, così che ognuno possa tornare a fare il protagonista nei 13 episodi della propria serie. L’unico abbocco interessante riguarda ciò che sarà di Matt Murdock, anche se il fatto che la terza stagione di Daredevil sarebbe stata un adattamento di Born Again appariva scontato già da un bel pezzo.
Riuscirà Frank Castle a risollevare le storia degli eroi Marvel su Netflix? Lo scopriremo tra pochi mesi.
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2 commenti su “TWR la (psico)analisi di The Defenders: è meglio la difesa a 3?”
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