La fantascienza ha ancora qualcosa da dire sull’inflazionato tema del primo contatto con gli alieni?
Sì. Arrival ne è la conferma.
Basato sul racconto Storia della Tua Vita di Ted Chiang premiato con il prestigioso premio Nebula, il film diretto da Denis Villeneuve è uno splendido gioiello dello sci-fi moderno ed è una gioia poter finalmente andare al cinema a vedere un film che, pur basandosi su uno dei topoi più abusati della fantascienza, riesce ad essere totalmente inedito per situazioni e sviluppo della trama. Il plot su cui si basa Arrival, infatti, non è il solito ‘è arrivato l’alieno arraffone, fate fare un pomposo discorso al presidente e chiamate un esercito di patrioti ‘mmerigani. Prendiamoli a calci in culo, oh yeah!’.
Il tema del primo contatto (a parte che in Contact con Jodie Foster) è sempre sfociato nell’invasione aliena e conseguenti mazzate, un canovaccio che negli ultimi due decenni ha avuto alterne fortune ad Hollywood: da Indipendence Day (molto bene) a Mars Attacks (benino), da Ultimatum alla Terra (male) a La Guerra dei Mondi (malissimo), da World Invasion (che praticamente te lo scordi 5 minuti dopo che è finito) a Edge of Tomorrow (bene) per finire con Indipendence Day 2 (mi sono rifiutato di vederlo).
Vi domanderete: se non sganciano l’atomica in faccia agli alieni e non gli danno nemmeno un paio di ceffoni ben assestati, cosa fanno i protagonisti di Arrival per tutto il film? La risposta è: gli interpreti. Sì, avete letto bene. L’ottima Amy Adams, non a caso candidata al Golden Globe proprio per Arrival, interpreta una linguista che, assieme al buon gregario Jeremy Renner nei panni di un fisico teorico, cerca di trovare un modo per comunicare con i visitatori giunti sulla Terra con delle navi a forma di lente a contatto.
– Occhio di Falco e Lois Lane. Speriamo che Superman non la prenda male. –
A loro si affianca Forest Whitaker, un attore che, nonostante abbia nel suo pedigree persino un premio Oscar per la sua monumentale interpretazione ne L’Ultimo Re di Scozia, negli ultimi tempi viene spesso e volentieri scritturato solo per dare un pizzico di presenza scenica a personaggi di secondo/terzo piano altrimenti del tutto dimenticabili (vedi anche il ruolo di Saw Gerrera in Star Wars: Rogue One).
– Date più spazio a quest’uomo! –
I primi due terzi di Arrival scorrono via piacevolmente ovattati e non ci si può non interrogare su come diavolo possa andare a finire una storia che ha preso questa strada mai battuta finora. Si arriva così al terzo atto ed è qui che la meraviglia esplode in faccia allo spettatore in modo tanto inatteso quanto semplice.
Villeneuve è riuscito a trovare la quadratura del cerchio e, per certi versi, ha raggiunto il risultato che Christopher Nolan aveva sfiorato con Interstellar, un film ancor più ambizioso di Arrival, a tratti magnifico e potente. Nolan, però, proprio all’ultima curva prima del traguardo era arrivato largo ed il suo finale non aveva colto perfettamente nel segno. Il film di Villeneuve, invece, parte piano ma arriva in fondo alla corsa in modo a dir poco spettacolare e, grazie ad una regia ispirata ed evocativa, riesce ad entrare in empatia con lo spettatore amplificando le emozioni suscitate dalla vicenda umana della protagonista.
– Piacere, sono Denis Villeneuve. –
Arrival è una perfetta sinfonia, un film ben bilanciato, ambizioso ed elegante nella sua semplicità, oltre che zeppo di soluzioni inedite per un genere che faticava a trovare cose nuove da dire. Una pellicola sugli affetti, sull’incomunicabilità e sull’utopia della pace, destinata a diventare una pietra miliare della fantascienza. Denis Villeneuve è riuscito a strabiliare il pubblico ed ora – nel fisiologico scetticismo generale – lo aspetta un’impresa ancor più ardua: il suo prossimo film, infatti, sarà Blade Runner 2049. Realizzare un degno sequel del capolavoro di Ridley Scott, a rigor di logica, è praticamente impossibile ma, dopo aver visto cosa è stato in grado di fare con Arrival, non si può non aver fiducia in questo regista canadese davvero in gamba.
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