Scegliere Benedict Cumberbatch come protagonista di Doctor Strange, diciamocelo, è stata una mossa molto furba da parte dei Marvel Studios. Innanzitutto perché parliamo di un attore eccellente (The Imitation Game), versatile (Star Trek: Into Darkness) ed all’occorrenza divertente (Zoolander 2) ma anche perché parliamo di uno che, soprattutto grazie al ruolo di Sherlock Holmes nella serie TV della BBC, ha una fanbase granitica.
Un aspetto fondamentale per l’esordio standalone di Doctor Strange perché, parliamoci chiaro, qui Marvel non stava lanciando Cap, Thor o rebootando Spider-Man, qui si doveva fare la stessa operazione andata in porto con Guardiani della Galassia: spedire nell’olimpo mainstream un personaggio di 2a fascia dei fumetti.
Sì, di seconda fascia. Perché in barba a coloro i quali ora sono dei fan dell’ultim’ora del buon dottore, la sua storia editoriale, a parte i primi psichedelici vagiti con Lee e Ditko, la definizione della sua mitologia con Roy Thomas e Steve Englehart, il ruolo di “coordinatore” attribuitogli da Starlin ne Il Guanto dell’Infinito, negli ultimi 20 anni, oltre ad essere una presenza fissa negli Illuminati e nei New Avengers, non è che Strange abbia goduto di chissà quale popolarità editoriale.
Il vero punto di forza del Doc dei fumetti, sono proprio gli anni ’60, ovvero il periodo della scoperta di trip e funghetti, e così il misticismo che permea le prime storie di Strange si è indissolubilmente legato con la psichedelia. Un aspetto la cui eco, per fortuna, risuona eccome nel film di Scott Derrickson.
A questo proposito, va assolutamente menzionato uno dei tanti easter egg del film: quando l’arroganterrimo dottor Stephen Strange, ignorando i dettami della guida sicura di Andrea De Adamich, fa un sorpasso in curva con la sua Lamborghini mentre guarda una risonanza magnetica sullo smartphone, sta ascoltando Interstellar Overdrive dei Pink Floyd. Loro sì che coi viaggioni psichedelici avevano una certa dimestichezza…
E, coincidenza nella coincidenza, guardate bene la cover di A Saurceful of Secrets, album dei Pink Floyd del 1968:
Adesso guardate questa tavola di Strange Tales #158:
Per quelli di voi che non hanno proprio un occhio di falco: ecco come la tavola del Doc è nascosta nella cover dell’album!
Coincidenza nella coincidenza dentro un’altra coincidenza coincidente: sapete chi è il personaggio con cui combatte Strange in questa immagine? É il Tribunale Vivente che, guarda caso, viene menzionato da Mordo nel film. Una chicca, questa, senz’altro gradita se siete degli appassionati della cosmologia Marvel considerato anche il ruolo che il Tribunale Vivente ha rivestito nelle storie di Jim Starlin legate alle Gemme dell’Infinito ed alla Guardia dell’Infinito.
É il caso di dirlo:
Ma dopo questa iperbole di riferimenti ed easter egg, torniamo alla più stringente attualità: al film diretto Scott Derrickson, uno che è stato regista di tanti horror e di quella sesquipedale poottanata di Ultimatum alla Terra con Keanu Reeves. Derrickson se l’è cavata bene all’esordio nel Marvel Cinematic Universe, e gli effetti visivi à la Inception quando gli stregoni entrano nella dimensione specchio, così come il primo viaggione psichedelico di Strange sono davvero straordinari. Il consiglio che vi posso dare è di vederlo in un cinema che abbia un 3D degno di tal nome.
Cumberbatch è senz’altro uno dei punti di forza del film, riesce a tratteggiare un personaggio superbo e vanesio che, caduto in disgrazia, si reinventa da neurochirurgo di grido a stregone mistico. Ok, detto così è come se Umberto Veronesi si mettesse a fare Giucas Casella ma, comunque sia, lo Stephen Strange di Cumberbatch è ironico, altezzoso e decisamente credibile. Così come azzeccati sono anche gli altri casting: Wong interpretato da un tizio che si chiama davvero Wong (e che alcuni di voi ricorderanno per la serie Marco Polo su Netflix), Mordo intepretato da Chiwetel Ejiofor, che fu straordinario protagonista del meraviglioso 12 anni Schiavo, e, nei panni del villain Kaecilius, Mads Mikkelsen, un attore che dopo il successo di Hannibal nel giro di un paio di mesi sta entrando a far parte dei due più grossi franchise cinematografici: dopo Doctor Strange, infatti, sarà uno dei protagonisti di Star Wars: Rogue One.
– Avrei dovuto usare un mascara waterproof –
Anche la tanto contestata scelta di utilizzare Tilda Swinton, un’attrice britannica, per interpretare l’Antico, un anziano tibetano, si è rivelata vincente. La Swinton, grazie al suo viso androgino ed alla corporatura longilinea, è perfetta per la parte di questo essere quasi asessuato e fuori dal tempo. A conti fatti, è stata una bella mossa.
Insomma il rispetto del materiale sorgente c’è, ed alcuni aspetti come la cappa della levitazione dotata di una certa personalità (non vi ha ricordato il tappeto di Aladdin?) sono molto ben riusciti. Senza dimenticare anche riferimenti più stretti ad alcune situazioni dei fumetti, ad esempio questa scena della proiezione astrale di Strange che fa da consulente mentre il suo corpo viene operato (tratta da Doctor Strange: Il Giuramento di Brian K.Vaughan) non vi ricorda niente?
Il film, poi, scorre via piacevole e veloce, forse anche troppo veloce. Alla fine, infatti, si ha la sensazione che alcuni passaggi siano stati risolti in modo troppo svelto; un aspetto questo che è collegato ad un altro limite del film di Derrickson che fa storcere un po’ il naso: Doctor Strange ha lo stesso canovaccio da origin story supereroistica inflazionato ed abusato. C’è un tizio X a cui succede un incidente, in conseguenza della sua grossa sfiga acquisisce poteri pazzeschi ed impara a dominarli dopo un training di 15 minuti di film, alla fine si scontra col cattivone che ha poteri simili ai suoi ma li usa per Il Male™ e lo sconfigge. E beh, ‘che ti aspettavi?’ direte voi. Mi aspettavo che ci si discostasse un po’ di più da dei binari ormai troppo prevedibili nello sviluppo della trama. Intendiamoci, il film mi è piaciuto e me lo sono goduto, ma concetti come il multiverso, il misticismo e la magia avrebbero potuto e dovuto essere più radicati nella trama e non fungere da carrozzeria alla solita e già vista genesi di un superoe. Anche se, va detto, che il finale ha una gran bella trovata, degna di un buon episodio di Doctor Who, più che della solita scazzottata tra super tutine.
– E bravo Benedict! –
In chiusura divago un attimo: Ant-Man è riuscito a distinguersi dagli altri film di genere perché era per larghi tratti un heist movie, ed al suo interno c’erano chicce molto divertenti come lo strepitoso Luis. I Guardiani della Galassia, poi, li ho adorati, il film di James Gunn lo rivedo sempre con piacere (cosa che non mi capita con quasi nessun altro cinecomic) perché è un film di fantascienza con l’inconfondibile sapore di quelle avventure anni ’80, una roba radicalmente diversa da tuttto il resto della produzione Marvel Studios. Quindi in sintesi, con Strange il compito è stato portato a termine molto bene dal punto di visto tecnico, recitativo e della scorrevolezza narrativa, ma dal momento che la stessa Marvel ha una cadenza di uscite di 2-3 film all’anno, allora deve dare più personalità a ciascuno di essi diversificando maggiormente lo svolgimento narrativo dei suoi film.
Io vi saluto ricordandovi che, se volete evitare di finire in strane dimensioni in cui il colore dominante è il viola, vi conviene non mangiare strani funghetti e piazzare un bel like alla pagina Facebook di cui il mondo dell’internerd avrebbe fatto volentieri a meno. La mia:
Leave a Comment