TWR la (psico)analisi di Westworld 1×01: C'era una volta il cyber-west

Westworld è arrivato in TV tra squilli di trombe ed aspettative stellari, un po’ come quando un fuoriclasse da 100 milioni di euro arriva in una squadra di calcio. E non potrebbe essere altrimenti, visto il pedigree che il nuovo serial HBO si porta dietro. Basato sul film del 1973 di Michael Crichton – regista che sarebbe diventato celebre 20 anni dopo per aver creato Jurassic Park, di cui ha scritto il romanzo e sceneggiato il film – Westworld è prodotto da Jonathan Nolan (fratello del più celebre Christopher) e JJ Abrams. A questo aggiungete un cast di primissimo livello con Evan Rachel Wood, Ed Harris, James Marsden (che fu il volto di Ciclope nella prima trilogia degli X-Men al cinema) e, soprattutto, sir Anthony Hopkins ed un budget stellare, ben 25 milioni di dollari solo per l’episodio pilota (tanto per fare paragoni: il pilota di Game of Thrones costò circa 10 milioni). Ovvio, dunque, che nelle intenzioni del network ci sia quello di bissare con Westworld il successo interplanetario del fratello maggiore Game of Thrones.
‘Abbiamo fatto il botto col fantasy, proviamoci con la fantascienza!’ devono essersi detti alla HBO.

Il plot è quello del film di Crichton: nel duemilaemai è possibile creare cyborg con atteggiamenti e movenze umane; per puro sollazzo questi replicanti divengono i principali attori di un parco a tema far west in cui i visitatori possono fare quello che gli pare: bere nei saloon, avere dei vigorosi coiti con cyberprostitute ed uccidere banditi al grido di “con la diligenza in tangenziale, andiamo a comandare!”


Il cattivone del film del 1973

Non avete mai visto il film? Vi ricordate l’episodio dei Simpson in cui i robot del parco giochi di Grattachecca e Fichetto si ribellano ed aggrediscono i visitatori? Ecco, è la stessa cosa.  

Il tema portante, dunque, è uno dei più ricorrenti topos del genere sci-fi: lo sviluppo di una coscienza da parte delle I.A. (e la loro successiva, inevitabile, ribellione all’uomo-creatore). Una tematica sviscerata a più riprese a partire da 2001: Odissea nello Spazio, passando per Blade Runner, Terminator, Io Robot  e, per andare anche in ambiti extra-celluloide, basti pensare ai cyloni di Battlestar Galactica o al recente fumetto di Jeff Lemire Descender. A differenza dei suddetti esempi, però, Westworld si distingue per il contesto: il far west.

Nel film di Crichton, come già detto, il plot era semplice semplice: i visitatori del parco erano gi eroi che combattevano i cyborg impazziti (su tutti il pistolero nero interpretato da Yul Brynner), nel serial la situazione è sensibilmente diversa e, nel primo episodio, gli showrunner hanno fatto una classica “mossa Lost”, ovvero gettare sul tavolo misteri misteriosamente misteriosi e personaggi cripticamente criptici. A sembrar destinata a vestire i panni dell’eroina è la cyborg campagnola Dolores (Evan Rachel Wood), afflitta da un fastidioso caso di ‘sogni dentro i sogni dentro la programmazione dentro gli incubi dei robot’ (ehi, è sempre il fratello di Nolan: it’s Inception time, baby!). 

La realizzazione tecnica della serie – o quantomeno del pilota – è sbalorditiva. A cavalcate, campi larghi sui canyon e panorami suggestivi si alternano scene ambientate nel dietro le quinte: una fabbrica di replicanti che vengono modellati in perfetto stile uomo vitruviano in degli ambienti enormi ed asettici che sembrano quelli di un gigantesco Apple Store. Ed ho molto apprezzato anche le chicche musicali: se ci avete fatto caso, il pianoforte nel saloon suona Black Hole Sun dei Soundgarden e, durante l’assalto dei banditi, il tema musicale è Paint It Black dei Rolling Stones. 

Un limite dell’episodio d’esordio di Westworld, però, è che nonostante la ragguardevole durata di 69 minuti, non è ancora stato svelato l’asse narrativo principale. É ovvia e scontata la presa di coscienza dei robot (ed è stupendo l’espediente della mosca che apre e chiude la puntata), ma non ci sono indicazioni precise sulla strada che prenderà la serie per i restanti 9 episodi.


– Mi è saltata la mosca al naso all’occhio! –

Proprio per questo – nonostante il pilota offra un ottimo world building, una realizzazione tecnica impeccabile e delle interpretazioni eccellenti (su tutti quella di Evan Rachel Wood) – è molto difficile sbilanciarsi dando un giudizio immediato sulla serie. Westworld è progettato a tavolino per diventare un cult, aspettiamo la fine della stagione per dire se avrà le carte in regola per marchiarsi a fuoco nell’immaginario collettivo degli spettatori. 

Io vi saluto ricordandovi che, se volete evitare che il vostro televisore 4K sviluppi una coscienza propria impedendovi di guardare la TV, vi conviene seguire la pagina facebook più autorevolmente incompetente dell’internerd. La mia:

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