Tra pochi giorni, dopo la pausa di mezza stagione, riparte negli Usa la serie sull’ultima figlia di Krypton prodotta dalla CBS, promossa in corsa da 16 a 20 episodi nei quali si rumoreggia, per risollevare le scarse quotazioni dello show, possa apparire, come guest, un certo velocista scarlatto della DC Comics.
La serie è scritta da Greg Berlanti, stesso autore di The Flash, che qui riprende ed amplifica le ambientazioni solari ed i temi da teen drama delle avventure di Central City riportando, volutamente, lo spettatore indietro nel tempo, ai toni del primo e bistrattato Smallville che riaprì, dopo anni di produzioni dallo scarso appeal commerciale, le porte del piccolo schermo ai supereroi.
Così come nel già citato The Flash con protagonista l’ex ballerino Grant Gustin, anche qui troviamo nel ruolo principale una ex star del canoro Glee: la dolce Melissa Benoist, molto più adatta al ruolo di “Kara Danvers: la stagista della porta accanto” che ad indossare il costume con la S della ragazza d’acciaio, compensando con l’abilità recitativa (contrariamente a quanto avviene in Arrow) la mancanza di una fisicità adatta alle sequenze d’azione.
Intorno a lei si muove un cast variegato e singolare che include l’ex Superman (in “Le avventure di Lois & Clark”) Dean Cain nel ruolo del padre adottivo della protagonista e la spumeggiante Calista Flockart-Ford (ex Ally McBeal ed attuale moglie di Harrison “Indiana Jones/Han Solo” Ford) nei panni della magnate dell’informazione Cat Grant. Pessima a mio avviso la scelta di affidare un Jimmy Olsen di colore ad un attore troppo espressivo e fisicamente potente rispetto all’insicura e gracile controparte fumettistica, scelta che finisce per ridicolizzare il personaggio con una dicotomia inverosimile nell’interpretazione di Mechad Brooks messo in ridicolo dalla propria ambiguità verso la protagonista tanto quanto dalla relazione complessa con la bellissima Lucy Lane, sorella minore della celebre Lois, interpretata da una sprecata Jenna Dewan-Tatum reduce dalla cancellazione di Witches of East End.
Sul versante tecnico, la qualità dell’immagine di Supergirl segue uno standard medio-alto con la classica regia invisibile accompagnata da effetti speciali decenti con apprezzabili interventi di grafica poco invasivi per un prodotto in cui i superpoteri sono un elemento preponderante. La fotografia e lo stile di ripresa riflettono bene l’impianto solare del personaggio trasmettendo in ogni episodio la natura positiva ed ottimistica dello show mantenendo il sense of wonder preponderante e fondamentale nelle storie a fumetti degli ultimi figli di Krypton.
La sceneggiatura segue uno standard abbastanza lineare mixando archi narrativi estesi per pochi episodi con le tre storyline di base, puntando contemporaneamente su diverse tematiche, che oltrepassano i banali e conclamati triangoli amorosi, addentrandosi in concetti come il potere dei media ed il ruolo delle donne nella società americana senza dimenticare la S alla base dello show. Forse proprio per quella “S” sul petto, Kara fatica ad entrare nel cuore dei fan del piccolo schermo mostrando ascolti non proprio brillanti nonostante il suo sia tra i dieci show più scaricati del 2015 insieme a giganti come Game of Thrones o The Walking Dead, questa dicotomia tra web e tv è apparsa strana agli occhi di chi scrive arrivando a meritare una serie di riflessioni che investono l’intero panorama supereroico del piccolo schermo.
Sappiamo che la “S” è il simbolo della casata di “El”, famiglia Kryptoniana dalla quale discendono sia Kara Zor-El che il suo famoso cugino Kal El, la cui presenza è accennata con piccole incursioni dietro le quinte nella vita della protagonista o con qualche occasionale scambio di e-mail o SMS. La “S” è anche la bandiera della serie che riesce, come Smallville non aveva mai voluto essere, una rappresentazione fedele dei valori e dei concetti originali intrinsechi del primo supereroe della storia, qui adattati alla femminilità della protagonista che, come ricordato più volte nella serie, fa propria l’immagine del cugino trasformandosi in quel faro di speranza assoluta che la versione cinematografica dell’Uomo d’Acciaio non potrà mai essere restando nelle mani di Zack Snyder.
Probabilmente, analizzando la serie da un punto di vista meno cinematografico e più sociologico, salta subito all’occhio come il vero handicap di Supergirl sia il forte bagaglio contenutistico connesso al personaggio di Kara ed alle tematiche forti dello show, troppo contrapposte ed inadatte al panorama televisivo attuale. Se la Marvel televisiva punta, con Jessica Jones, ad affrontare le problematiche “calde” di una donna sottoposta ad abusi fisici e mentali, al contrario la serie della ragazza d’acciaio parla più in grande affrontando di petto i tabù “freddi” e perbenisti della società occidentale. Negli USA, ancora oggi, è più facile parlare di stupro, omicidio o razzismo che dell’ipocrisia di un modello sociale nel quale la donna, soprattutto in ambito lavorativo, deve essere e restare sottomessa e subordinata all’uomo, tanto per la componente borghese quanto in quella proletaria della popolazione, americana e non solo.
Supergirl affrontava questa realtà in maniera graffiante e diretta, carattere andato a scemare mitigandosi nel corso degli episodi per venire incontro alle esigenze del pubblico, poiché parlare di maschilismo sociale, di blocco per le donne nel mondo del lavoro e disparità tra i sessi appare ancora un tabù intoccabile sul piccolo schermo. Riportando questa concezione in campo Aristotelico, potremmo affermare che l’omicidio, la violenza e la depravazione ascrivibile ai singoli individui, sviluppano una catarsi individuale ed un piacere pertinente verso lo spettacolo televisivo che un peccato inconfessabile quanto diffuso e socialmente accettato, come il sessismo, non riesce a generare trattandosi di una condizione sociale cui il pubblico, sia maschile che femminile, è assuefatto da generazioni. In seconda battuta, nel panorama televisivo odierno, senza violenza (più o meno gratuita), sesso e cospirazioni (tutti elementi considerati “realistici” da una grande fetta del pubblico) uno show viene spesso bollato come prodotto per ragazzini nonostante all’interno possano esserci più storia e contenuti più validi rispetto a molti altri prodotti di genere.
Questo non è il periodo dei buoni sentimenti, soprattutto se sei una ragazza del piccolo schermo, dopo anni di Gilmore Girls oggi se non sei stronza, violenta, possibilmente alcolizzata e certamente in conflitto con un mondo marcio, non sei nessuno, se sei ben contestualizzata come Jessica Jones ottieni un ottimo risultato, ma più spesso sprechi buone occasioni come nel caso della defunta Birds of Prey. Questo non solo per convalidare un assunto sociale, non per rendere più tridimensionale un personaggio televisivo ma per accontentare lo spettatore assettato di sudiciume, quel voyeur visuale che cerca nello show televisivo e nel prodotto artistico un supporto ed una conferma sullo stato attuale delle cose cristallizzandolo nelle realtà comune invece di astrarlo come componente astratta e futuribile dell’immaginario.
Kara è una ragazza troppo solare per questo periodo di eroi oscuri e tormentati, è una protagonista che affronta i propri demoni senza soccombere loro, senza permettergli di schiacciarla, esattamente come la natura positiva del personaggio richiede nel proprio concept originale, legato intrinsecamente alla rappresentazione vivente della speranza e delle potenzialità individuali. Quasi sempre educata, piena di fiducia negli altri, costantemente pronta a concedere seconde opportunità, modesta, talmente gentile e premurosa da ricorrere alla violenza solo quando il dialogo fallisce: Supergirl rappresenta un’eroina vecchio stile, una visione troppo “buona e positiva” del supereroe, vista oggi come infantile e semplicistica, incapace di affrontare a muso duro il mondo contemporaneo nonostante questo non sia nelle corde di questi personaggi.
È stato detto più volte la sequenza d’apertura del pilot ricordi, volutamente, il montage de Il Diavolo veste Prada ed è quello il centro del concept: una ragazza potenzialmente “super” come qualsiasi altra, che sceglie di vivere al di sotto delle proprie possibilità perché questo è quello che le viene richiesto dalla società, a partire dallo stesso nucleo primario della propria famiglia. Una donna tagliata fuori dall’essere se stessa per la paura ed il rischio delle etichette che i media le appiccicheranno addosso, una giovane costretta a nascondersi per essere accettata socialmente tanto quanto devono mentire ed indossare maschere sua sorella ed i suoi capi, seguendo un linea di pensiero nella quale nascondere la propria natura aliena equivale a nascondere il proprio essere donna in cerca di accettazione.
Seguendo questa linea di pensiero incentrata sul “realismo, a volte forzato, di personaggi irreali per renderli più realistici”, ormai i serial sui supereroi devono avere meno superpoteri possibili e questi ultimi devono essere ben mimetizzati o non apparire affatto, non solo per diminuire i costi di produzione, ma soprattutto per tenere gli show in linea con il mercato adulto che vede, nonostante i trionfi cinematografici, il mondo degli eroi in costume ancora come un mercato per i più piccoli. Segno questo di un problema generazionale, legato al desiderio dei produttori di poter veicolare il prodotto ad un pubblico ben più ampio rispetto a quello fumettistico. In Supergirl questo aspetto è assente ed incapace di adattarsi al format: non stiamo parlando di Daredevil i cui poteri sensoriali si prestano ad essere suggeriti in molti episodi della serie, tantomeno ci troviamo in Gotham o Agents of S.H.I.E.L.D. i cui protagonisti sono, in gran parte, umani. Ci troviamo davanti alla cugina di Superman, immersa in una storia piena di altri esuli intergalattici e dotata della stessa, vastissima, estensione di abilità superumane cui è legata la propria natura aliena con la componente messianica che questa porta con se.
Ultimo dei “difetti” di questa serie e punto debole del proprio rating è probabilmente l’assenza di veri cattivi, sia dal punto di vista di una vera minaccia tout court che da quello emotivo di empatia con il pubblico, non ci sono ancora (attendiamo tutti il previsto esordio del Cyborg Superman) antagonisti reali che possano interessare il pubblico e questo rende l’intera impalcatura della serie piuttosto fragile. Il messaggio ambientalista ed umanista portato avanti, fino ad ora, dagli antagonisti li relega nell’ordine dei cattivi di serie B, portatori di tematiche astratte, più ampie ed universali dei fini pratici ed immediati, siano essi personali o meno, di molti altri cattivi televisivi rendono più difficile l’immedesimazione da parte del pubblico. La stessa Astra ed il suo mentore Zod o il machiavellico Maxwell Lord, rappresentano più dei co protagonisti, delle ombre piuttosto che reali avversari, sono anche veicoli per gli spunti anti militaristici di una serie che fa del pacifismo esasperato una delle proprie bandiere mostrando apparati militari corrotti, fallaci ed incapaci senza sforare nel cospirazionismo di molti altri prodotti rivolti ad un target più adulto. Mi sento di concludere questa lunga e tediosa disamina riportando un pensiero personale.
Supergirl è una buona serie nata nel momento sbagliato, che speriamo sopravviva alla giungla televisiva senza perdere se stessa, mantenendo i valori legati alla “S” della propria eroina, purtroppo il momento d’oro delle Superchicche è passato da qualche anno e ci dispiace davvero questo Show sia arrivato così tardi.