Da qualche tempo, Alan Moore, noto sceneggiatore di cult a fumetti come The Killing Joke, Miracleman, Watchmen, From Hell, V per Vendetta e altri) ormai ritiratosi quasi del tutto dalla vita pubblica, ha rilasciato un’interessante intervista per Slovobooks.
In questa intervista Moore ha più volte chiarito come per lui i supereroi siano diventati “una catastrofe culturale”.
La maggior parte delle critiche che il fumettista, scrittore, compositore, cantautore e occultista britannico muove non sono dirette nè al lavoro dei suoi colleghi, né al comportamento delle major del fumetto, ma più che altro a coloro che si relazionano al mondo delle nuvole parlanti in un modo per lui profondamente preoccupante “rifiutandosi di comprendere la realtà in cui vivono, pensando che invece sarebbe più facile per loro comprendere il tentacolare, senza significato, ma-pur-sempre-limitato ‘universo’ presentato dalla DC o dalla Marvel Comics.”
Questo tipo di approccio “che mi sembra una significativa parte del pubblico utilizzi”, secondo Moore, non solo è dannoso per la cultura e rende i fumetti “con i personaggi appartenenti ai bambini della metà del 20o secolo, un rifugio dalla certamente schiacciante complessità dell’esistenza moderna” ma anche per il lavoro dei fumettisti, com’era per esempio accaduto a lui e a Kevin O’Neill, quando, durante la scelta dei personaggi da coinvolgere ne La Lega degli Straordinari Gentleman si erano trovati a dover respingere i ‘consigli’ di chi credeva che due bianchi non fossero nella condizione di “poter reclamare” un personaggio come Golliwog (bambola di colore, protagonista di alcuni libri per bambini, creata da Florence Upton). Un’obiezione che secondo Moore metteva “qualsiasi scrittore fin dai tempi di Shakespeare” nell’impossibilità di usare personaggi o affrontare problematiche che riguardassero persone appartenti a classi sociali o etnie diverse dalle loro.
Sempre a proposito di questo, nella stessa intervista Moore, parla delle critiche mosse proprio contro di lui verso la “prevalenza di violenza sessuale verso le donne, con un certo numero di stupri o tentativi di stupro che ci sarebbe nelle sue storie” soffermandosi solo un istante a chiarire che nelle sue opere c’è molto più sessualità consesuale che violenza, Moore vede in queste critiche solo un altro sintomo di come si voglia vedere il mondo del fumetto in un’ottica sbagliata. Nei suoi lavori, secondo le sue dichiarazioni, “la violenza sessuale, includendo stupri o abusi domestici, dovrebbe comparire quando necessaria o appropriata ad una data narrazione, l’alternativa implicherebbe che queste cose non esistono, o non sono accadute.”
Secondo Moore nel mondo reale gli stupri sono molti più che gli omicidi o a agli altri crimini legati al genere “ma questo è l’esatto opposto di quanto viene rapprensentato nei film, negli show televisivi, nella letteratura nel mondo dei fumetti.” Visioni sbagliate come questa portano, sempre secondo il bardo, al paradosso che vada bene, nei fumetti, rappresentare omicidi e morti violente, fosse anche nei dettagli, ma non un esempio di violenza sessuale, quasi che questo fosse diversamente grave o un argomento da non trattare assolutamente.
La conseguenza di questo sarebbe che mentre gli altri possono passare il proprio tempo con la propria famiglia e i propri amici, gli autori come lui devono passare il proprio tempo a rispondere a lettere di critiche, accuse di razzismo e quant’altro.
In questo genere di risposte da parte del pubblico, Moore trova la chiave di lettura per la sua critica all’odierno mondo del fumetto e il motivo del suo rinnovato isolamento e della sua decisione di una maggiore selettività nelle apparizioni pubbliche, cosìcchè, alla fine, “sia il mio lavoro a parlare per me, così come ho sempre voluto che fosse.”
Queste dichiarazioni danno molto da pensare e non solo perchè provengono da un grande nome del mondo del fumetto, ma perchè si parla di argomenti abbastanza spinosi e importanti. Il punto principale è però un altro: è davvero al mondo del fumetto che Moore muove le sue critiche o esclusivamente a chi, per così dire, ne frequenta i vari multiversi? Per essere più chiari… alla fine dell’intervista Moore dice che “forse la verità non ci renderà liberi ma la sua scomunica e la totale indifferenza, lo farà in qualche modo” ma quello che ha detto riguardo gli eroi come “catastrofe culturale” (o potenziale tale) è davvero la verità oggettiva o solamente la scusa di un autore che, come ci ricorda lui stesso, è ormai entrato “nella settima decade della (sua) vita” ed è semoplicemente arrabbiato?
Perciò, quando uno con la storia e la carriera di Alan Moore – uno che tanto ha dato al mondo dei supereroi – dice che che questi ultimi sono gli ostacoli che impediscono al nostro secolo di costruirsi una propria cultura, è questa la verità o solo una mancanza di coerenza, dettata da un impeto di orgoglio, anche se più che giustificabile, che ha voluto far ‘dimenticare’ ad uno dei maggiori autori contemporanei di fumetti di aver contribuito egli stesso a ringiovanire quei personaggi tanto effimeri che adesso critica?
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