Bentornati! Siamo al sesto appuntamento con Thank God Is Wednesday e questo è stato il Mercoledì del debutto di Chrononauts, nuova serie di Mark Millar e del favoloso Sean Gordon Murphy. Leggere la nuova opera dello scrittore scozzese ha provocato in me una serie di pensieri di matrice Wordsworthiana, una riflessione sull’industrializzazione del fumetto mainstream e principalmente sul ruolo di Millar in questo fenomeno. Cominciamo con le recensioni e partiamo subito con quella di Chrononauts!
Chrononauts #1 – Millar/Murphy
Let’s Do The Time Warp Again
Il topic “Science Is The New Rock’n’Roll”, già utilizzato nel capolavoro Nowhere Men e nel mediocre Black Science attualmente in corso, viene riproposto in Chrononauts: Corbin Quinn e Danny Reilly sono i protagonisti della serie e il loro compito è quello di portare lo stereotipato concetto della Rockstar-Glam anni ’80 in ambito scientifico, compresi tutti i suoi cliché da amante della telecamera ed emblema della mascolinità. Ah già, a tempo perso vorrebbero anche viaggiare nel tempo.
Sean Gordon Murphy, uno degli artisti più popolari nel mondo dei comics, si adegua all’atmosfera che circonda Chrononauts: il suo tratto è sempre una miscela perfetta tra dettaglio maniacale e stilizzazione ma in questo primo numero non c’è creatività, non è presente una singola idea originale a livello grafico. Il portale utilizzato per viaggiare nel tempo è una copia perfetta dello Stargate, i due protagonisti sono esteticamente anonimi e spesso nelle loro movenze ed espressioni hanno sin troppo da spartire con quel feeling da manga di bassa lega, quelli in cui i personaggi ammiccano e ghignano in continuazione per ostentare il loro essere incredibilmente “cool”. Detto ciò, il lavoro grafico generale è di ottima qualità e Chrononauts dà le sue soddisfazioni a livello visivo grazie anche ad un ottimo lavoro di Matt Hollingsworth ai colori.
Perché cominciare a parlare di questo fumetto dal comparto artistico quando in ogni recensione l’ho sempre trattato poco prima del commento finale? Semplice, volevo subito liberarmi di tutto ciò che c’è di positivo in questo primo numero, volevo parlarne “bene” prima di spalare m***a sul fumetto in sé e su Mark Millar.
Chrononauts #1 è una schifezza, la dimostrazione finale di quanto Millar abbia un solo interesse: riempire il suo già enorme portafogli, fregandosene altamente dei suoi lettori. Quando voi vi chiederete “Perché se ne frega?” io vi risponderò dicendovi “Perché Chrononauts #1 non è un fumetto, è solo la prima parte dello storyboard del futuro film su licenza da cui lui guadagnerà una vagonata d’oro tale da sistemare voi e tutte le vostre famiglie per sette vite”. Vi ricorda qualcosa, per caso?
Ma se in qualcuno dei suoi precedenti lavori creator-owned c’era qualcosa di decente (dove? Boh), Chrononauts #1 non ha niente che lo salvi dall’inceneritore. Il problema principale di questo primissimo numero sono i due detestabili protagonisti: pensate a quei tipi-da-party-playboy che si credono ‘stoc***o, che credono sia tremendamente figo e ribelle stendere le gambe per poggiare i piedi sul sedile vuoto di fronte a loro mentre sono in treno, quei fenomeni in bromance che ghignano e si battono il pugno quando scambiano battute come: “I swear to God I’m going to marry that girl when I get back” “You’ve known her precisely five days” “I didn’t say it was going to last”. Pensate a questi soggetti, inseriteli nel contesto da Scienziato-Rockstar di Chrononauts e, dopo aver letto del loro essersi persi nel tempo, chiedetevi se DAVVERO siete preoccupati per la loro incolumità. A completare questo irritante quadro è presente una trama talmente banale da risultare noiosa e al limite del ridicolo. Ecco cos’è Chrononauts #1: una storia sui viaggi nel tempo pietosa, con protagonisti terrificanti e dialoghi di qualità infima tendenti al machismo.
E, ovviamente, anche Chrononauts si avvicina rapidamente al mondo del cinema a solo un giorno dalla sua pubblicazione nelle fumetterie statunitensi. Mark Millar non ha più nessun interesse nel mondo dei comics perché non è quello il modo giusto per far soldi. È questa la motivazione per cui, dai tempi di Kick-Ass e Wanted, Millar si è dedicato solo a piccole miniserie con trame facilmente adattabili su pellicola. Nonostante la costante ode al machismo, alla misoginia, al razzismo e alla rozza violenza inutile della maggior parte dei suoi lavori indipendenti (sì, i fumetti li leggono anche i grandi, bravissimo Millar), il vero problema dell’autore scozzese è rappresentato dalla possibile futura morte del creator-owned. Il mondo cinematografico negli ultimi anni sta attingendo a piene mani dal mondo del fumetto: le Big Two rappresentano il principale esempio di quanto questa moda sia imperante e anche il mondo del fumetto non supereroistico sta diventando una continua fonte d’ispirazione.
Se Marvel e DC sono solo due Multinazionali che cedono i diritti per un film su un personaggio di loro appartenenza, per i fumetti targati Image come quelli di Mark Millar le cose cambiano: è l’autore stesso a possedere diritti e licenze su tutto ciò che ha creato ed è lui stesso in prima persona a ricevere compensi dalla vendita di queste proprietà al mercato cinematografico. Quanto tempo ci vorrà prima che le case editrici che fanno del creator-owned il loro punto di forza si accorgano quanto sia facile guadagnare in questa maniera, come fanno i due mostruosi colossi supereroistici?
Moon Knight #13 – Bunn/Ackins
Supernatural
Dopo Brian Wood e Warren Ellis tocca a Cullen Bunn esser la penna che scriverà la terza saga di Moon Knight. È un ritorno alle issue stand-alone tipicamente Ellisiane ma purtroppo a questo Moon Knight #13 manca l’elevata qualità che ha caratterizzato quelle prime sei issue della serie. Bunn e Ackins portano il personaggio verso lidi sovrannaturali, proponendoci una ghost-story pura e modificando, almeno in parte, il background di Marc Spector. La nuova base operativa di Moon Knight è infestata da fantasmi che non vogliono allontanarsi dal luogo e Khonshu gli suggerisce di guidare questi “viaggiatori notturni” verso la liberazione dalla sofferenza. La trama di Moon Knight #13 non aggiunge altre frecce al suo arco e risulta abbastanza lineare e priva di particolari colpi di scena. Piacevole da leggere ma totalmente inconsistente.
La presenza di reali fantasmi rappresenta un cambiamento totale nella personalità e nell’insanità mentale che da sempre ha caratterizzato Marc Spector: tipiche della sua psicosi sono sempre state le numerosi allucinazioni, ma in MK#13 Bunn pare togliere ogni dubbio sulla presenza reale o meno dei fantasmi, contraddicendo la natura del personaggio. Questo cambiamento è inutile ed irritante, un colpo secco e gratuito alla continuity di Moon Knight. L’anti-eroe notturno scritto da Bunn è inoltre poco caratterizzato, senza particolare spessore: sin troppo silenzioso, passa la maggior parte della issue in combattimento senza dar la possibilità al lettore di inquadrarlo in maniera precisa.
Ron Ackins definisce bene le ambientazioni, cupe e calme così come riesce a delineare in maniera semplice ed efficace la figura di Moon Knight. Le sequenze d’azione rendono bene l’idea del movimento e le pagine finali riescono anche ad essere piuttosto intense, sia nel comparto artistico che nella sceneggiatura. I personaggi secondari della tendono tutti ad avere un buon character-design, nonostante siano poco più che comparse.
Moon Knight #13 è un deludente tentativo di riportare il personaggio ai fasti targati Warren Ellis. Cullen Bunn ce la mette tutta ma la storia raggiunge livelli appena sufficienti ed è resa godibile soltanto dall’ottimo comparto grafico di Ron Ackins. L’autore ha inoltre demolito gran parte del fascino che rende Moon Knight un personaggio interessantissimo, alterandone in parte la personalità e lasciando tanti interrogativi. Questa terza serie non parte al meglio, il futuro del custode dei viandanti notturni è in bilico.
Black Widow #16 – Edmondson/Noto
Atonement
Il pregio della testata Black Widow di Edmondson e Noto è sempre stato quello di riuscire a far convivere la lentezza e la decompressione disarmante tipica del fumetto moderno e un’elevata qualità di scrittura e disegno. A partire dalle prime issue sino a questo #16, Black Widow ha giocato bene le sue carte ed è migliorata pian piano sempre di più, prendendo lentamente una direzione decisa nella sceneggiatura e approfondendo il personaggio di Natasha come non era mai stato fatto prima.
In Black Widow #16 veniamo trasportati nel passato della protagonista e comprendiamo appieno la personalità di Natasha, molto più di quanto fosse stato possibile comprenderla nelle precedenti issue della serie. Il tragico viaggio nell’infanzia della Vedova Nera e nella fortezza del KGB in cui è stata allenata ci mostra una persona che ha sempre avuto una naturale propensione per la giustizia, nonostante gli indottrinamenti dei servizi segreti Russi. Il tema centrale di BW#16, così come di tutta la serie, è la personale battaglia di Natasha Romanova contro se stessa, il suo costante sforzo nell’espiare i peccati del suo passato e la possibilità di un fallimento in questo cammino di espiazione. Il presente la porta davanti ad un confronto verbale con un misterioso membro dell’organizzazione Chaos e la chiusura della issue è un interessante Cliffhanger che pone la Vedova Nera di fronte ad un’importante scelta per il suo futuro.
La narrazione è così intensa e toccante grazie anche al fenomenale Phil Noto: il suo tocco delicato e i suoi morbidi acquerelli donano a questa issue, e in generale all’intera serie, una grazia ed un’eleganza senza pari. Le emozioni sui volti dei personaggi, in particolare quelle della Natasha bambina, sono palpabili e gli sfondi perfettamente delineati contribuiscono ad impostare l’atmosfera nostalgica e malinconica della issue.
Black Widow #16 è forse il capitolo migliore della serie targata Edmondson e Noto: scrittura e arte sono al top della qualità e l’approfondimento del drammatico passato della protagonista è una svolta narrativa di spessore che porta il lettore ad osservare Natasha sotto una nuova luce. Le prossime issue promettono grossi cambiamenti ed un interessante sviluppo nel rapporto tra Black Widow e l’organizzazione Chaos.
The Amazing Spider-Man #16.1 – Conway/Barberi
The Night Gerry Conway Came Back
Questo nuovo numero di The Amazing Spider-Man segna il gradito ritorno del leggendario Gerry Conway su Spider-Man per l’inizio di una nuova saga chiamata “Spiral“. Il risultato è un numero incredibilmente soddisfacente che riesce ad essere denso a livello narrativo nonostante la naturale serialità di una saga a più numeri. Rileggendo questa prima parte di Spiral mi è sembrato di tornare bambino: niente Villain che scambiano cervelli, niente universi paralleli, niente Peter Parker strabico, soltanto una storia con i piedi ben piantati per terra in cui sono coinvolti Boss Mafiosi ed intrighi tra personaggi ben caratterizzati.
Conway riesce a distinguersi per il suo inimitabile Peter Parker, allontanandosi dal trend imperante che dipinge spesso Spider-Man come un clown di bassa lega e tornando invece ad un personaggio più cinico e sarcastico. Le riflessioni nei suoi soliloqui hanno quel tono riflessivo tipico delle vecchie saghe degli anni ’70 e anche l’introduzione che funge da breve recap, un po’ più distaccata, è coerente con il personaggio. La sensazione nel riuscire ad osservare il mondo attraverso gli occhi di Peter mancava da troppo tempo ed è fomentata dalla vera protagonista di questo AMS#16.1: il Capitano Yuri Watanabe a.k.a. la vigilantes Wraith. Tramite la narrazione di Peter, osserviamo la poliziotta indossare nuovamente i panni dell’antieroina mascherata dopo aver perso il partner/mentore a causa di una scagnozzo di Tombstone.
Carlo Barberi mescola un lavoro stilizzato sui personaggi ed un dettaglio non indifferente sugli sfondi in cui questi si muovono. Nonostante non ci siano grossi difetti tecnici nell’esecuzione dell’artista messicano, il tratto spesso esagerato nella rappresentazione delle espressioni facciali non è adatto ad una sceneggiatura realistica come quella di Conway. Lo script, molto lontano dalle Slottate a cui siamo abituati, è considerabile quasi come un’avventura Gothamita dell’arrampicamuri e, per questo motivo, delle matite meno cartoonesche avrebbero giovato a questa storia.
ASM#16 ci propone anche due differenti visioni del vigilantismo: da una parte Peter Parker e il suo imperativo categorico e dall’altra Yuri Watanabe, poliziotta limitata dalle regole del suo lavoro, che veste i panni di Wraith per poter raggiungere i suoi obiettivi infrangendole. Gerry Conway torna in splendida forma su Amazing Spider-Man e ci riporta sulla terra, ricordandoci che non c’è bisogno di una battle royale tra centinaia di ragni umani per scrivere una buona storia.
Giant Days #1 (of 6) – Allison/Tremain
Bechdel Test
Boom!Studios porta alle stampe il webcomic targato John Allison, già autore dell’ottimo Bad Machinery, ed è uno splendido lavoro. Esther de Groot, Susan Ptolemy e Daisy Wooton sono tre giovani studentesse e questo primo numero ci porta ad esplorare parte della loro vita nel college e la loro amicizia. Le tre protagoniste hanno caratteri divergenti, differenti personalità che hanno creato un forte legame in poco tempo e che si stanno cementando l’una accanto all’altra. È una prima issue che fa comprendere al lettore la natura character-driven della narrazione e che pone l’accento sulle interazioni tra i personaggi, vero motore della trama. Allison compie un ottimo lavoro nel caratterizzare le tre protagoniste: l’ingenua Daisy, Esther la drama-queen e Susan la portatrice di buon senso, mostrano tutte sin da subito numerose sfaccettature, saggezza ed insicurezza, una peculiarità che lascia spazio ad una crescita e sviluppo dei personaggi molto interessante.
Il maggior pregio nella scrittura di Allison è il suo riuscire a rendere Daisy, Esther e Susan incredibilmente piacevoli, personaggi con cui è facile empatizzare ed entrare in contatto. Un grosso merito va anche a Lissa Treiman: il suo lavoro estroso e dinamico sembra mescolare l’eccentricità di Skottie Young con la freschezza e la delicatezza di Babs Tarr, caratterizzando con precisione e stravaganza le tre protagoniste senza cadere nel cartoon. Nonostante il suo passato e presente nella Disney, la Treiman riesce comunque a mantenere un’impronta realistica, soprattutto nella rappresentazione del campus in cui le fantastiche tre si muovono.
La miscela tra l’equilibrata idiosincrasia che caratterizza le protagoniste e un comparto artistico particolare e di qualità, porta Giant Days #1 ad esser una nuova perla nel panorama Boom!Studios. Il motore dell’azione, proveniente da avvenimenti normali come incomprensioni e fraintendimenti, fa ben sperare per uno slice-of-life di elevata qualità. La line-up della Boom! diventa sempre più interessante.
Invisible Republic #1 – Hardman/Bechko
Brace Yourselves, A Masterpiece Is Coming
Anno 2843, Avalon: il Regime Malory è stato deposto, la libertà che ne consegue lascia la Luna vulnerabile. Coloro che hanno potuto hanno lasciato Avalon lo hanno fatto e adesso i meno abbienti, senza speranza, si ritrovano ad affrontare una società che sta collassando su se stessa. In questo tetro quadro generale incontriamo Croger Brabb, un giornalista investigativo che sta indagando sulla storia di Avalon e sulla caduta del Regime. Durante l’indagine, Brabb si imbatterà casualmente in documenti del passato appartenenti ad una donna chiamata Maia, parente del reggente deposto Arthur McBride.
Non fatevi ingannare dalla sinossi, a dispetto dell’apparente impronta Distopica/Sci-Fi, Invisible Republic è in realtà la nuova frontiera dello storytelling: il reporter Croger Crab è il tramite che il lettore utilizza per conoscere gli avvenimenti riguardanti Maia e McBride e, a sua volta, lo stesso giornalista si serve dei documenti ritrovati su Avalon per essere al corrente di queste shockanti rivelazioni. A differenza della maggior parte dei racconti che si svolgono tra presente e flashback, in Invisible Republic il giornalista Crab è, esattamente come il lettore, totalmente ignaro di quello che il passato di Arthur McBride gli riserverà. Le reazioni del reporter sono interessanti tanto quanto i documenti che sta leggendo e questo metodo narrativo ci promette una storia che si svolgerà su più livelli.
I personaggi che Hardman e Bechko muovono su tutti questi livelli sono stimolanti: nonostante siano stati appena presentati, è già presente una evidente capacità nello studio della loro personalità e dei loro comportamenti. La varietà di espressioni e reazioni è intrigante tanto quanto lo storytelling e il tutto è combinato con dialoghi secchi e privi di fronzoli, da cui trasudano cui le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi. L’aura oscura, amara e brutale che circonda Avalon è uno sfondo perfetto.
Il comparto artistico targato Gabriel Hardman è realistico e dettagliato e, combinato con i colori neutri di Jordan Boyd, imposta il tono della narrazione verso lidi di intimità che preannunciano una forte introspezione. Il setting è perfetto, sporco e deprimente, in grado di definire perfettamente l’atmosfera.
Invisible Republic promette di essere una storia intensa, una strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni, un racconto sull’illusione dell’eroismo in pieno stile Breaking Bad.
Batman Eternal #50 – Snyder/Tynion/Fawkes/Higgins: La corsa per la scoperta del Villain dietro le catastrofi che hanno colpito Gotham e la Bat-Family è terminata nel modo più imprevedibile. In BE#50 seguiamo il pipistrello che freneticamente si porta da un angolo della città all’altro, da un componente della BatFamiglia all’altro, per buttare giù i colossi che stanno gettando Gotham City nel caos. È una corsa disperata e rabbiosa quella del Cavaliere Oscuro, quasi dolorosa a causa dell’impotenza e della tensione dovuta all’ignota identità dello psicopatico che sta distruggendo la città. Questo cammino fatto di tensione ed angoscia inizia dalle prime pagine della issue sino ad arrivare alle ultime, shockanti e sorprendenti pagine: un Batman a terra, alla mercé della mente diabolica che ha architettato la sua caduta. Martinez compie un buon lavoro nel rappresentare il Caos, la rabbia e la frenesia che caratterizzano questo numero. Siamo a -2, come si concluderà l’epopea di Batman Eternal?
Superman #39 – Johns/Romita Jr/Janson: Dopo una saga disastrosa al limite del ridicolo, Johns e Romita Jr tornano su Superman #39 con un interludio: dopo aver rivelato a Jimmy Olsen la sua identità segreta, Clark Kent deve vivere una giornata da essere umano per ricaricare il suo corpo dopo la megaeplosione solare dell’ultimo numero. Seguiremo dunque i due dipendenti del Daily Planet in un dialogo noioso e successivamente saranno coinvolti in una rapina a mano armata. L’evento non sarà nient’altro che una scusa per mostrare, per l’ennesima volta, un Clark Kent che ci dimostra quanto siano importanti la forza di volontà, il coraggio e tante altre bellissime cose per esser Superman piuttosto che l’essere a prova di proiettile, sparare raggi laser dagli occhi e aver la forza per sradicare l‘Empire State Building e giocarci a freccette. Non c’è molto altro in quest’ultima mediocre issue di Johns sul Kryptoniano, a parte un Romita Jr in un periodo incredibilmente sotto i suoi standard, periodo che dura da troppo tempo. Siamo comunque di fronte ad un lieve miglioramento rispetto alle disgustose issue precedenti.
Batgirl Medley!
Si conclude il primo story-arc del nuovo team creativo con Batgirl #40 ed ogni punto della saga cominciato con il numero #35 raggiunge la sua risoluzione, senza lasciar nessun vuoto nella sceneggiatura. L’Algoritmo creato da Barbara è impazzito e vuole impossessarsi del corpo che dovrebbe appartenergli di diritto, quello di Batgirl. Oltre a questo folle intento del programma corrotto, il bersaglio principale è Gotham stessa e i suoi criminali. La nostra Babs riesce a liberarsi del nemico a lei speculare e si rafforza il concetto di rinnovamento del personaggio. La storyline ha segnato un grosso cambiamento, sia nella gestione della testata che in Batgirl stessa, una vigilantes che si è scrollata di dosso l’oscurità tipicamente Batmaniana e ha intrapreso un nuovo, splendido percorso.
Batgirl: Endgame #1 è una issue totalmente silenziosa, tie-in del maxi-evento Endgame, che vede Barbara alle prese con una massa di Gothamiti infettati. Stewart e Fletcher ci ricordano quanto importante sia per Batgirl l’incolumità delle persone della sua città e quanto sia questo il motore principale che la spinge ad agire. La leggerezza nei suoi movimenti e nelle sue azioni è simbolica tanto quanto l’interazione principale che ha con una ragazzina intrappolata tra i minacciosi abitanti di Gotham. Bengal, l’artista di questa issue, mantiene il tono cartoonesco della testata principale ma aggiunge ad esso una maggior tendenza al dinamismo e all’azione, coerente con l’atmosfera frenetica della issue.
Thank God Is Wednesday 6 termina qui e ringrazia coloro che hanno scelto alcune fra le recensioni di questa settimana. Al prossimo Mercoledì, Hasta la Vista!