Dato il successo dello scorso anno per l’articolo Chi vincerà l’oscar per l’animazione? ho pensato di replicare, seppur con il titolo modificato, visto che la lunga notte degli Oscar 2015 è già passata e tutti conoscono il vincitore del miglior lungometraggio d’animazione che è: Big Hero 6.
Attenzione: l’articolo contiene spoiler
Iniziamo col valutare, a grandi linee, i candidati, perché in effetti siamo di fronte ad una buona selezione, non tanto per l’alta qualità dei tioli in gioco (anche perché non avendo visto quelli scartati non posso giudicare appieno), ma piuttosto perché ognuno porta con sé un bagaglio tecnico e culturale totalmente diverso. Proprio per questo motivo ritengo che la scelta complessiva sia stata abbastanza giusta eccetto per un titolo: Dragon Trainer 2, che ritengono più o meno alla pari di Big Hero 6, con la differenza che, essendo un sequel, non porta a grandi novità come il film dei WDAS (Walt Disney Animation Studios).
Al posto del ritorno del draghetto nero avrei preferito l’inserimento di The Lego Movie, che avrebbe realmente reso questa scaletta di titoli una completa visione del mondo dell’animazione.
Avremmo avuto due tipologie di stop motion: una fatta in modo classico (BoxTrolls) ed una riprodotta al computer (The Lego Movie) con, in più, l’aggiunta della tecnica mista. A questi si sarebbero aggiunti i restanti titoli che mostravano: il classico CGI disneyano con Big Hero 6, che porta avanti il discorso grafico iniziato con Rapunzel e applaudito dall’Academy con Frozen; la tecnica del disegno a mano portata a nuovi livelli importanti, con la fusione totale fra personaggi e fondali, in una dinamica e gradevole unione fra disegni a carboncino e colori in acquarello (La storia della Principessa Splendente) e, infine, un 2D, sempre realizzato a mano (forse saltuariamente coadiuvato dalla computer grafica), che mostra disegni marcatamente bidimensionali, ma comunque particolari nei colori e in alcuni dettagli stilistici (Song of sea). Senza consideare il vincitore del cortometraggio d’animazione, Feast (sempre di casa Disney), che usa una tecnica nuova chiamata Meander, già utilizzata nel premio oscar Paperman e qui riproposta con l’aggiunta dei colori.
Di fronte a questo miscuglio di tecniche e di regie e di registri diversi, uno studioso o amante del cinema d’animazione non poteva che applaudire l’Academy per la selezione fatta.
Ma andiamo ai film in gara, lasciando le utopie leggermente distanti.
BoxTrolls
La LAIKA, specializzata in stop motion, ci regala un ennesimo film innovativo e dalla storia tanto bizzarra quanto bella. Viaggiando sempre su un registro cupo, a volte di grande impatto emotivo, la LAIKA ci presenta un mondo steampunk contornato da una sagace sceneggiatura, ricca di battute veramente argute. Il film offre molte tematiche allo spettatore, dalle più leggere e facilmente captabili dai bambini, a quelle più discusse nel mondo degli adulti, mettendo in scena una storia completa e vivace, tenuta in piedi dalle ambientazioni, dalla simpatia dei protagonisti e dal feroce desiderio di potere dell’antagonista, il tutto accompagnato da deliziose musiche composte dal premio oscar Dario Marianelli, che sfociano nell’ironica canzone scritta da Eric Idle dei Monty Python.
La prima delle tante tematiche che emergono dal film è quella più evidente, quella che mette in moto tutta la vicenda: il desiderio di Archibald Arraffa di aggraziarsi la simpatia dei cittadini e riuscire ad indossare la tuba bianca (simbolo di prestigio e potere). Per fare ciò, come ogni “buon” politico, s’inventa un nemico pubblico, i BoxTrolls. Questi sono diversi dagli uomini, vivono sotto terra, nelle fogne, parlano una lingua diversa, insomma, il classico nemico che viene da una razza differnte. Ovviamente così non è, lo spettatore scoprirà presto che i BoxTrolls non sono così cattivi come li dipinge Archibald, ma i cittadini non lo sanno, poiché la loro paura è continuamente alimentata da quest’ultimo ed il diverso ha sempre fatto paura all’uomo. Dunque, come storia principale troviamo una vicenda di giochi di poteri politici, tutt’oggi utilizzati per accaparrarsi il plauso del popolo.
Come abbiamo visto, ciò che è non è, nel caso dei BoxTrolls. Ed infatti l’ambiguità dell’identità è l’altro tema centrale del film. A partire dal personaggio principale, il bambino cresciuto con i BoxTrolls e chiamato Uovo, fino all’antagonista, si ci interroga, per tutto il film suinquadrare e catalogare i personaggi. Chi è Uovo, in realtà? È un umano nell’aspetto, ma nel comportamento è un BoxTrolls; e che dire di Archibald Arraffa? Che si traveste da donna “seducente” per imbonire ancor di più il popolo, mettendo in scena rappresentazioni teatrali in cui si sottolinea la natura brutale dei BoxTrolls, e per ingraziarsi i favori del sindaco di Ponte Cacio?
Gli stessi BoxTrolls dalla natura paurosa e mite, dovranno cambiare se stessi, non più nascondendosi nelle scatole che usano come vestiti, ma lasciando (letteralmente) queste per diventare più attivi e reattivi.
Anche tutta la questione delle tube bianche, non è altro che una categoria vuota, poiché non è e non sarà mai una tuba bianca a fare di Archibald Arraffa un raffinato uomo d’alto borgo, poiché la sua natura è corrotta, maligna e dunque non potrà mai rappresentare il meglio della società. Gli stessi detentori delle tube bianche non danno alcun esempio di giustizia di fronte ai loro cittadini. Anch’essi sono una figura che fa critica a un sistema politico corrotto, che imbonisce il volgo con inutili opere grandiose, ma inutili per migliorare la vita dei cittadini.
C’è, infine, un esaltazione dello status infantile, costantemente ignorato dagli adulti. Si sottolinea il rapporto padre-figlio e le conseguenze dell’assenza di questo.
BoxTrolls è un film molto bello che, come abbiamo potuto constatare, affronta tematiche molto importanti e pesanti, come quella dell’identità di sesso e di appartenenza a un gruppo o ceto sociale. Tematiche che oggi giorno viaggiano sulla bocca di tutti e mettono in seria difficoltà gli Stati. Alla fine, questo lungometraggio d’animazione ci dice semplicemente che noi siamo noi, non importa la categoria a cui siamo accostati, perché chi vive sotto una tuba bianca non è sempre migliore di chi vive nelle fogne; ed in noi possono convivere anche appartenenze diverse per formarne una nuova, tant’è che Uovo, non è né BoxTrolls né uomo, ma un incrocio fra queste due razze.
La pecca di questo film è sicuramente l’appeal della grafica che difficilmente può attirare un grosso pubblico o un pubblico più infantile, mettendola a confronto con i tipi di grafica ed anche di luci e colori utilizzati negli altri lungometraggi è quello più diverso e distante.
La storia della principessa splendente
Di questo film sen’è discusso già in due articoli cui rimando, così da non ripetere ancora i dettagli sulla bellezza di questo film.
La Storia della Principessa Splendente – Recensione (No Spoiler)
La Storia della Principessa Splendente – La divinità al servizio dell’umanità
In breve: è un film che sorprende innanzitutto per la verità della storia. Siamo abituati a vedere trasposizioni modificate delle favole o dei miti, siano questi occidentali o orientali (basti pensare a ciò che fece la Toei Animation con Le tredici fatiche di Ercolino che altro non doveva essere che la leggenda di Son Goku), ma in questo caso la Ghibli è rimasta, se non in toto, in gran parte fedele all’originale storia della principessa Kaguya, in tal modo conservand quelle idee fantasiose e un po’ assurde che hanno le storie del mito, evitando quegli aspetti che, nelle revisioni, siamo abituati e vedere.
Alla veridicità della storia si affianca un lavoro grafico immenso, in cui i fondali non sono più staccati dai personaggi in azione, ma sono perfettamente legati ad essi, dando così un’idea visiva ed emotiva di uniformità raramente visibile nel disegno a mano. Anche la scelta del carboncino e dei colori ad acquarelli ha dato i suoi frutti per quanto riguarda la restituzione delle emozioni.
Dragon Trainer 2
Era necessario un sequel? È una delle domande che mi attanagliano sempre quando si parla di primi film così ben riusciti. La scelta del sequel o prequel, è sempre una scommessa e, come tutte le scommesse, difficilmente si vince. Dragon Trainer 2 ha sicuramente vinto sul piano dell’incasso, del vociare della rete e, sicuramente, su larga scala è stato apprezzato da molti fan del primo film. Ma, in realtà, ciò che andremo a vedere, tenta solo di esaudire alcuni aspetti commerciali del brand: vedere più draghi, più fiamme, Sdentato e le sue caratteristiche da cagnolino, ecc. Si tenta addirittura di restituire quel lato più malinconico del primo film, caratterizzato dalla perdita della gamba da parte di Hiccup, con la perdita del padre, ma proprio tutto l’innesto familiare che ruota attorno al protagonista, a mio parere, è il punto debole del film. Ci sono troppe forzature a livello di sceneggiatura ed anche il comparto grafico non riesce a restituire una totale bellezza nell’uso del CGI, seppur molti aspetti sono veramente gradevoli.
Ciò che più manca nel film, è una tematica nuova e forte. Ciò a cui assistiamo, infatti, non si distacca molto da quanto visto nel primo film, ovvero, la necessità per l’uomo di collaborare con le creature animali; che non è la forza bruta a delineare il profilo di un vero eroe e, specialmente, ciò che s’era più apprezzato nel film precedente, era l’amicizia fra i due protagonisti che diventano l’uno necessario all’altro, l’uno il sostegno dell’altro. L’innesto dei draghi nell’animazione, una bella grafica e personaggi molto caratterizzati e ben delineati, fecero del primo film, un film completo e molto coinvolgente, sia a livello visivo sia a livello emotivo. Il secondo non propone niente di nuovo, anzi, manca alcuni obbiettivi che il primo era riuscito a centrare. Nel complesso è un film che può risultare gradevole. Ha di buono che non rovina il primo, ma nemmeno ne è il degno testimone.
Big Hero 6
È il primo Marvel-Disney per l’animazione.
Sicuramente non è stato semplicissimo trovare un accordo fra due mondi abbastanza differenti e che sul campo dell’animazione richiedeva caratteristiche differenti da quelle dei live-action.
Innanzitutto, premio la scelta del brand da sfruttare: Big Hero 6. Uno dei titoli più sconosciuti della Marvel, a meno di non essere dei veri intenditori del settore. Scegliendo una storia così sconosciuta, la Disney aveva pressoché carta bianca nel modificare e adattare storia e personaggi ai propri bisogni di pubblico; cosa che difficilmente sarebbe potuta accadere se avessero preso in considerazione una storia o un super eroe più noto o, peggio ancora, già sfruttato a livello di live-action. Infatti, in quel caso, sarebbero dovuto andare incontro a due tipi di pubblico: i grandi appassionati di fumetti, che conoscono le storie nella loro versione originale, e quelli che si sono avvicinati all’universo Marvel grazie al successo degli ultimi film usciti al cinema.
L’adattamento è stato abbastanza buono, si percepisce sia la tipica storia “alla Marvel”, che le caratteristiche prettamente Disney, il tutto immerso in una città (Sanfransokyo) che mischia la cultura occidentale con quella orientale, regalandoci dei panorami veramente emozionanti. Questa fusione, però, dà il risultato di una storia abbastanza scontata e lineare, con tanto di finale che ricorda tanto quello di Avengers, con Iron Man che si sacrifica oltre un portale e l’apparente dipartita di quest’ultimo.
Certamente, la cosa più riuscita del film è Baymax e, in particolare, il suo rapporto con Hiro, che ha regalatoo i migliori momenti del film, spaziando dal sentimentale, all’azione, fino alla migliore comicità. Baymax è ciò che ha sbilanciato il film verso un risultato più positivo. Dona dinamica e forza alla storia con il suo modo d’essere estremamente gentile e ingenuo. Definirlo il Totoro occidentale non è, a mio parere, un’affermazione che scredita il personaggio, anzi, tende a evidenziarlo, specie se si pone in un discorso parallelistico con quello che dovrebbe essere il suo contraltare orientale.
L’esaltazione di Baymax non salva il film, perchè resta comunque il problema di sei personaggi che non sono totalmente valorizzati, né come gruppo, né singolarmente. Ci sono forzature a livello di sceneggiatura che non spiegano o giustificano al meglio alcune scelte dei personaggi secondari, i quali restano unicamente dei tipi sullo sfondo di una grande crescita psicologica che è quella di Hiro.
Quello che potrebbe essere definito il “buonismo Disney” ha contaminato anche lo stesso nemico, che, dalle immagini del trailer, doveva essere all’altezza di nemici come il Mandarino (il primo nome che mi viene in mente se penso ad un villan legato all’oriente); alla fine, invece, resta l’ennesimo personaggio sprecato nel suo ruolo o che, comunque, non soddisfa le aspettative.
Dal punto di vista grafico, Big Hero 6 porta avanti il lavoro applaudito con Frozen. E’ uno dei CGI che riesce a restituire realtà e finzione allo stesso tempo. Evitando i miei rammarichi sulla mancanza del disegno a mano da parte della Disney, posso dire che l’animazione è veramente buona.
Nel complesso è un bel film, ma non l’ho ritenuto mai un film da premio Oscar per i problemi sopraelencati.
Purtroppo non ho potuto visionare Song of Sea, ma non penso che sarebbe stato in grado di sovvertire il mio primo posto.
Ecco la classifica:
4) Dragon Trainer 2
3) Big Hero 6
2) BoxTrolls
1) La storia della principessa splendente
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