Escape from Tomorrow – Recensione

Escape from tomorrow (2013); a mia insaputa (ma penso ad insaputa di molti data la sua inesistenza nel circuito italiano) è un film diventato di culto per il semplice – eppur complesso – motivo che è stato girato illegalmente a Disneyland, con l’inconsapevolezza della stessa Disney.

Cos’è Escape from tomorrow? E’ un film visto da molti come una sorta di denuncia verso i parchi Disney e le tematiche della stessa azienda. Personalmente, guardandolo, non ho avuto questa impressione. Il parco di divertimenti viene solo utilizzato come sfondo per l’intera trama, come contrasto forte con ciò che sta accadendo al protagonista Jim White, letteralmente in fuga dal suo domani.

Il film, infatti, si apre con la scena in cui Jim riceve la notizia del suo licenziamento e, da quel punto in poi, egli inizia a vedere la sua vita in modo diverso, come chi sa che una cosa terribile sta incombendo su di lui e torna a fare i calcoli sui prodotti della sua vita. Il risultato è tutto il film, ovvero la vita di un uomo filtrata dalla sua angoscia e da desideri incompiuti o repressi quali una moglie che ha perso qualsiasi senso di romanticismo e affettività nei suoi confronti, il desiderio (Jim è un uomo di mezz’età) di riscoprire un piacere carnale e giovanile con due ragazze straniere, la seduzione, l’impulso di fuggire altrove, il mondo della fantasia che si trasforma in incubo e infine il rapporto con i suoi due figli. Da una parte il maschio che vede un ostacolo fra se e la madre (una sorta di complesso edipico), colui che tenta di chiuderlo sempre fuori dal contatto con la famiglia, il piccolo demone che capisce le fantasie del padre e ne ride perché egli è giovane e lui, invece, è ormai sulla strada della vecchiaia. Dall’altra la femmina, la figlioletta che adora, l’unica con la quale riesce a stabilire un rapporto amorevole di padre, lei è la sua piccola principessa incontaminata ed è così preziosa che un piccolo incidente fa diventare (nella mente del padre) il colpevole, un uomo spregevole e crudele.

Infine, nella Epcot’s Spaceship Earth, viene fatto capire un altro aspetto della sua vita: la sua grande, sconfinata fantasia, paragonata addirittura a quella di Walt Disney, è stata addormentata, sopita dalla vita coniugale.

La storia si snoda sui binari della fantasia e della realtà che finiscono per intrecciarsi fino a diventare una cosa sola, un po’ alla Lynch (come molti hanno ricordato) seppur c’è un distacco notevole con il celebre regista visionario, non si può far a meno di accostarlo a lui. Ciò che non riesce a fare il regista di Escape from Tomorrow, Randy Moore, è trasferire nello spettatore quel senso pieno di inquietudine che Lynch magistralmente sa regalare. Le statuette meccaniche della Disney che assumono volti malefici, il volto di una delle giovani ragazze che si trasforma e tanti altri espedienti, non riescono a trasmettere la paura e l’inquietudine necessaria per aumentare la tensione che questa specie di film deve avere, altrimenti pochi riuscirebbero a non annoiarsi.

Mediamente riuscito è il personaggio che è complice della caduta della figlia, un signore che muovendosi su uno scooter per disabili, rende la sua presenza lievemente angosciante e sinistra.

Quasi pienamente riuscito, invece, è il personaggio della donna con il ciondolo, una specie di talismano che ipnotizza il protagonista per condurlo nelle sue grinfie lussuriose. L’espediente è riuscito non solo grazie alla recitazione di Roy Abramsohn (Jim) e dall’avvenenza di Alison Lee-Taylor (la donna), ma anche grazie alla trovata di rendere questa donna un parallelo della regina di Biancaneve, che (come ella stessa dice) un tempo era una principessa, sorrideva, era sempre allegra, tutto era chiaro e bello finché in questo turbine di bellezza e felicità, non ha incontrato una bambina, una bambina bellissima che l’ha messa dinanzi al suo declino fisico, portandola a diventare la regina cattiva.

Quest’ultimo esempio può essere l’unico appiglio, a mio avviso, per trovare una critica alla Disney. Il discorso sulle principesse, la domanda che parafrasata chiedeva: «Chissà fin quando continueranno a fare le principesse?»; è un discorso che si insinua molto nella politica Disney degli ultimi tempi, in cui ha portato al successo vari teenager e questi, raggiunti una certa età, hanno abbandonato la parte attoriale che la Disney gli aveva costruito attorno. L’esempio più lampante è quello di Miley Cyrus che, dopo aver raggiunto un successo pressoché globale con il personaggio di Hannah Montana, ha abbandonato la figura da principessa per diventare una bad-girl. Parafrasando: la regina cattiva.

Tutta la storia viene raccontata sullo sfondo di una Disneyland in bianco e nero, scelta probabilmente fatta per monitorare meglio i colori e le luci delle riprese clandestine e non per altro, non si può interpretare nemmeno come contrasto con il tripudio di colori del parco a tema, perché, in tal caso, sarebbe stato più ovvio far precipitare tutto nel bianco e nero quando Jim scopre di essere stato licenziato. Dunque, a mio avviso, è solo una scelta tecnica.

Escape from Tomorrow è questo: un film sufficientemente riuscito, con una bella e scaltra idea di fondo (quella di utilizzare Disneyland come set è stata una mossa pubblicitaria da oscar) ma con una realizzazione finale che manca di… probabilmente esperienza.
Come al solito, girando sul web, ho trovato commenti entusiasti e commenti denigratori nei confronti dell’opera prima di Randy Moore, ma, come spesso accade, la realtà sta nel mezzo.

Consiglio: da vedere se si è curiosi.

P.S.: e la Disney come ha reagito? A quanto ho appreso ha preferito tacere e ignorare la pellicola, facendola passare il più inosservato possibile. La scelta migliore.

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