Introduzione
Capitan America è uno dei pochi personaggi Marvel che non proviene dalla mente di Stan Lee. Nasce negli anni ‘40, creato da Joe Simon e Jack Kirby (probabilmente sulla scia di Superman nato nel ’38) per propaganda fumettistica dei valori americani durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni ’60, il personaggio, caduto in disuso, viene “resuscitato” da Stan Lee, dandogli un’umanità e facendolo diventare un personaggio di punta dell’universo fumettistico Marvel. Da allora Capitan America è stato capo dei Vendicatori, modello di una generazione di supereroi, capo dei ribelli della Guerra Civile, è morto, è risorto e ha avuto pure un film suo, ma che tralascerei per ovvi motivi (è vecchio e fatto alla cazzo di cane).
Il film di cui volevo parlare è del 2011, distribuito dai Marvel Studios, presentato al pubblico come Captain America: The First Avenger (Il Primo Vendicatore).
Trama
Steve Rogers è un giovane che desidera con tutto il cuore prestare servizio militare per gli Stati Uniti durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Però, a causa del suo fisico gracilino, Steve non viene ammesso nell’esercito.
Dopo vari tentativi vani gli viene data un’occasione: il dottor Erskine riconosce in lui la bontà e la conoscenza del valore della forza che spesso a un soldato mancano e lo seleziona per il progetto Super Soldato, un’operazione segreta che punta a fornire a un uomo un corpo fisicamente perfetto per scatenarlo contro i nazisti. L’operazione ha successo, è da lì Rogers inizierà il suo percorso di ascesa come combattente, come soldato e come simbolo.
Recensione
Prima di questo film i Marvel Studios avevano avuto parecchie cadute. Dal mezzo passo falso de L’Incredibile Hulk, al crollo con un Iron Man 2 vuoto di significato e un Thor fatto male. In effetti, si potrebbe dire che l’unico film riuscito pienamente sia stato il primo Iron Man, almeno fino ad ora: perché con questo ultimo film prima del crossover The Avengers gli Studios riprendono in mano il timone di questa barca gigantesca e fanno centro.
Partiamo, dunque, da questo felice presupposto: Captain America è un buon film di supereroi.
In particolare possiamo dire che la parte iniziale è davvero bella: dai vari tentativi di Rogers per inserirsi nell’esercito all’arruolamento di Erskine, dall’addestramento al progetto Supersoldato. In questa prima mezz’ora ci viene presentato in maniera esaustiva l’uomo Steve Rogers, le sue debolezze, la sua umanità, le sue aspirazioni, e tutto fatto in maniera fluida, con scene sorrette da dialoghi ben fatti e a volte commoventi.
Quando Steve diventa un SuperSoldato il film non peggiora, ma cambia decisamente tono: dal piccolo gracilino diventa un uomo fisicamente perfetto che non aspetta altro che avere nazisti tra le mani per picchiarli, e sinceramente l’introspezione va un po’ a farsi benedire nei momenti di botte, com’è logico e giusto che sia. Eccezion fatta per i minuti immediatamente successivi alla trasformazione, quando Steve Rogers pur essendo un Supersoldato non è ancora entrato in azione. Insomma, quando la sua immagine viene usata a scopo di propaganda militare ma non viene usato nell’esercito. E lì di nuovo si ricade nei discorsi dei primi minuti, sulla sua voglia di agire costantemente bloccata da un mondo che non sembra accettarlo in nessun modo. Quando però viene snobbato anche come propaganda, ecco che si accenna alla prima crescita interiore di Rogers: non più aspetta un colpo di fortuna come è stato quello di incontrare Erskine per agire, ma si ribella e si muove da solo per andare a salvare Bucky e altri prigionieri.
Questi sono gli ultimi, lodevoli, minuti di introspezione che il film ci dà prima di lanciare il protagonista contro l’esercito tedesco e il villain.
A proposito: il villain. Questo film riprende la tradizione del Marvel Cinematic Universe di proporre un villain che sia la visione distorta dell’eroe:
– Iron Man / Genio miliardario in armatura contro miliardario che ha rubato l’idea dell’armatura
– L’Incredibile Hulk / Grande mostro verde che alla fine impara a usare la sua forza per il bene contro grande mostro verde che alla fine vuole usare la sua forza per il male
– Iron Man 2 / Figlio di uno degli inventori del reattore Arc che ha usato quella tecnologia per il bene contro figlio dell’altro inventore del reattore Arc che vuole usare quella tecnologia per il male
– Thor / Potente figlio di Odino che, dopo una vita di arroganza, conosce la bontà contro potente figliastro di Odino che, dopo una vita di pazienza, conosce la crudeltà
Sorvolando sul fatto che nei film precedenti questa cosa non fosse sviluppata poi così bene, in questo film il villain è un altro Supersoldato, riuscito male e sfigurato, che ha sviluppato un senso di onnipotenza e di certo che non conosce il valore della forza. Il Teschio Rosso, celebre nemico di Rogers nei fumetti (come Spider-Man/Goblin o Superman/Lex Luthor), è il Capitan America dei nazisti, ed è mosso da ideali, cosa abbastanza nuova, che ritiene giusti. È un cattivo, che, giustamente, pensa di essere il buono della storia, e conduce la guerra quasi sostituendo Hitler seguendo il detto “il fine giustifica i mezzi”. Purtroppo, nonostante queste buone premesse, non viene sfruttato al massimo e non mette davvero in crisi il supereroe con sé stesso, non gli dà da pensare se la sua strada sia quella giusta, ma, come al solito, funge da pretesto per la battaglia finale. Ovviamente i dialoghi tra i due ci sono, ma a parte qualche frase ad effetto e la riconferma della distanza tra i due diversi ideali, niente di che.
Peccato perché era davvero interpretato bene e poteva essere al livello di Loki.
Per ritornare sugli aspetti positivi, anche il protagonista è interpretato bene: Chris Evans riesce a dar vita a una Torcia Umana un Capitan America umano, profondo, generoso e a volte ingenuo, sia prima che dopo la trasformazione (sì, è sempre lui a interpretarlo, magie degli effetti speciali). Ancora, non un’immedesimazione ai livelli di Robert Downey Jr. / Tony Stark, ma abbastanza perché il personaggio sia empatico e entri nei nostri cuori; per lo più nella prima parte, dove non è impegnato a scazzottare con il primo che gli capita sotto mano (o sotto scudo).
Parlando della seconda parte, dove diventa un cinecomic vero e proprio, non posso non fare una lode alle scene d’azione, fluide, divertenti (nel senso che intrattengono), e ben dirette da Joe Johnston.
Il tutto è sorretto da una colonna sonora a dir poco perfetta: oltre quelle di Doyle per Thor, qui la musica si fonde interamente con il personaggio e i suoi ideali, sintetizza in modo mai visto il tono generale del film e il movimento per le scene d’azione.
Se dobbiamo andare a trovare dei difetti però, perché ce ne sono, dobbiamo andare a vedere la sceneggiatura: tralasciando il villain in sé e per sé, i nemici sono davvero, esteticamente parlando, qualcosa di irreale da vedere negli anni ’40. Abbiamo già concordato che un Supersoldato nella Seconda Guerra Mondiale possa esistere, ma non si può passare oltre luci sparafleshose blu che escono da fucili futuristici dei nazisti. Un conto era se il Cubo Cosmico di Odino, strumento utilizzato dal Teschio per la guerra, fosse servito a potenziare la tecnologia preesistente, ma qui se ne crea una totalmente nuova e questo mi fa storcere il naso (per non parlare dell’aereo finale).
Per fortuna, si sono evitati gli scivoloni avuti con Thor (che sto citando troppe volte): la storia d’amore non è forzata ma anzi ben gestita e lo SHIELD non viene mai nominato se non nei minuti finali. È un film sulle origini come dovrebbe essere, con un cattivo molto cattivo, un’aiutante e dei superpoteri che ti fanno emergere.
Note: ultimo film prima del crossover, giusto in tempo per non far perdere le speranze del pubblico sulla qualità dei film Marvel…
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