Fu così che cominciai a riconsiderare l’idea di sottoscrivere un abbonamento a Topolino, dopo quattro anni di astensione a causa di ripetute delusioni legate al livello qualitativo dei numeri.
Apparsa in quattro puntate su altrettanti numeri di Topolino (2985/2988), “Zio Paperone e l’ultima avventura” (Francesco Artibani/ Alessandro Perina) è una saga splendida, che restituisce dignità al personaggio del ricco magnate nato a Glasgow e che si erge a simbolo stesso della rapida ripresa che sta interessando il settimanale, testata ammiraglia della Disney italiana, in questi ultimi, stupefacenti mesi.
In questo periodo di (ottima, se chiedete a me) gestione De Poli, abbiamo visto campeggiare sulle pagine della rivista roba del calibro di Dracula di Bram Topker (Enna/Celoni), Zio Paperone e l’isola senza prezzo (Radice/Turconi) e Topolino e gli Ombronauti (Casty): “L’ultima avventura” paperoniana sembra proprio voler rappresentare la situazione del recente passato del Topo, caratterizzato dalla “caduta” e dalla “rinascita”, dal “crollo” e dalla “ripresa”, dal “capitombolo” e dalla “resurrezione”.
“Zio Paperone e l’ultima avventura” parla proprio di questo, ed è un compito decisamente semplice illustrarne la trama: i più grandi nemici di Paperon de’ Paperoni (John D. Rockerduck, la Banda Bassotti, Amelia e, con un magistrale e attesissimo ritorno sulle pagine di Topolino, il miliardario sudafricano privo di scrupoli Cuordipietra Famedoro) si coalizzano per far precipitare nel baratro della più assoluta miseria il povero Paperone e questa volta, inaspettatamente, ci riescono sul serio. Il fu Terrore del Transvaal dovrà quindi cercare di riappropriarsi delle sue sostanze, sconfiggendo la disperazione e potendo contare sull’affetto e sul sostegno dell’ormai mitologico clan dei Paperi e sugli amici di sempre. Riuscirà a risorgere dalle ceneri?
La trama, come si può notare, non è particolarmente complessa da riportare: decisamente più difficile, invece, è analizzare il titanico lavoro svolto da Artibani per dare quelle pennellate sufficienti a trasformare una storia che saprebbe di già visto (vedi alla donrosiana voce “Qualcosa di veramente speciale“) in un autentico gioiello, forse addirittura il più splendente nella recente produzione Disney italiana.
Innanzitutto, com’è intuibile dalla sinossi della saga, sono presenti numerose analogie concettuali con il capolavoro di Frank Miller “Devil: Rinascita” e con il capitolo conclusivo della trilogia cinematografica di Chris Nolan “The Dark Knight Rises“. Anche qui la parola, anzi, il grande significato su cui ruota tutto è proprio quel suggestivo “RISE” che compariva a caratteri cubitali sulle locandine del succitato film; quattro lettere che, messe assieme, restituiscono una forte connotazione evocativa. Paperone dovrà resuscitare, rialzarsi, sollevarsi, scalare l’abisso e tornare a vedere la luce del sole; e no, senza potersi avvalere di una manciata di detenuti che gli sbraita dietro slogan incoraggianti ma, bensì, della propria determinazione e del calore e della complicità della sua famiglia.
Palesemente, l’analisi non termina qui, o non si parlerebbe tanto bene di questa storia. Artibani è abilissimo, ma abilissimo sul serio, nel tratteggiare la città di Paperopoli come viva, tridimensionale, pulsante; raramente, prima d’ora, s’era vista interagire così bene e così realisticamente tutta la moltitudine di personaggi che affolla le strade della metropoli del Calisota, che si comporta (o meglio, che lo sceneggiatore romano fa comportare) esattamente come se esistesse sul serio. C’è spazio per Paperinik (Paperino è consapevole di avere una seconda identità e la sfrutta nel momento del bisogno, non come accade in altre storie in cui pare essersi completamente scordato di maschera e mantello), i personaggi formulano e vagliano ogni tipo di ipotesi, dialogano con piglio decisamente realistico e la caratterizzazione di tutti loro, di TUTTI (la triade Paperone, Cuordipietra e Rockerduck in primis) è superba, complessa e sfaccettata; ma ancora non mi produco nel plauso definitivo ad Artibani, perchè non è finita qui: lo sceneggiatore gestisce benissimo il ritmo della storia, si lancia in frecciatine che hanno del geniale alla nostra classe dirigente e dona un’incredibile connotazione d’attualità alla storia spiegando, brevemente e semplicemente, le dinamiche dell’alta finanza e di come si possa cadere nella crisi economica più facilmente di quel che si possa pensare.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che l’impero PdP crolli troppo rapidamente, ma ho da controbattere alcune argomentazioni in merito: innanzitutto, la licenza poetica su una cosa così iniqua ai fini degli sviluppi della saga è d’obbligo, soprattutto visto lo splendido lavoro effettuato da Artibani nella sua completezza e dato che si sta comunque parlando di una storia Disney; in secondo luogo, è palesemente ovvio come lo sceneggiatore non voglia tanto soffermarsi su come Paperone perda tutti i suoi averi, ma bensì intenda sottolineare come riuscirà a risalire il baratro della miseria e a sconfiggere i fautori della sua rovina.
Il tocco di classe che contribuisce a rendere, a mio avviso, “Zio Paperone e l’ultima avventura” tranquillamente equiparabile alle storie dei grandi autori del passato è proprio il fatto di richiamarne le invenzioni narrative e citarle finemente e senza alcuna forzatura. In primis, il più che gradito ritorno di Cuordipietra in Italia, che attendevo da molto, troppo tempo; poi, non si può non citare l’incursione dei Terrini e dei Fermini barksiani nella storia, il riferimento all’altrettanto barksiano Maraja del Verdestan, il mezzo ciminiano costruito prontamente dall’immancabile Archimede, la caratterizzazione di Paperone che rispecchia fedelmente le direttive del suo creatore poi fatte proprie e ampliate dal suo epigono più accorto, Don Rosa, e i camei di Barks e Cimino nella quadrupla conclusiva.
In questo fiume di citazioni e omaggi, non poteva essere da meno il disegnatore, Alessandro Perina, che si rifà fedelmente agli schemi barksiani per quanto riguarda Famedoro e lo sguardo famelico di Amelia. Perina, inoltre, si dimostra un valente illustratore che, con linee morbide ed espressioni particolarmente accattivanti, coadiuva bene una grande, grande sceneggiatura; peccato solo per alcune sbavature qui e lì, ma su cui si passa senza dubbio sopra. Io, per mio gusto personale, avrei gradito maggiormente un Cavazzano, un Pastrovicchio, uno Sciarrone, un De Vita; ma è fuor di dubbio come Perina sia stato decisamente all’altezza della situazione, dimostrando impegno e dedizione a quella che è un’opera da recuperare e leggere a ogni costo, che piacerà indubbiamente sia ai lettori veterani che ai neofiti.
Grazie, Francesco e Alessandro.
“Non m’importa dell’edificio, ma non permetterò loro di cancellare la Collina Ammazzamotori. E’ un simbolo per Paperopoli. E’ la prova che per arrivare in alto bisogna affrontare sempre una salita, perché non si ottengono risultati senza sacrifici…” (Paperone, 2° puntata)