ZERO DARK THIRTY – recensione

Non è solo la ex moglie di James Cameron.
Perchè prima che la Bigelow avesse maggiore risonanza mediatica fu la donna che diresse Point Break: un muscolare e belloccio film d’azione passato alla storia per i famosi rapinatori con indosso le maschere di alcuni presidenti degli Stati Uniti.
Sì, Aldo, Giovanni e Giacomo ne sanno qualcosa.
Per non parlare della notte degli oscar del 2010, che gli rese sei statuine per il suo The Hurt Locker e tante maledizioni dell’ex uscito a mani vuote con Avatar.
Un trattamento quasi da Veronica Lario, insomma.
Ma messo da parte il gossip, Kathryn Bigelow è una donna intelligente, bella e preziosa. Il suo ultimo Zero Dark Thirty (da ora in poi abbreviato in ZDT) non è solo “il film sulla cattura di Bin Laden”: è la doppia faccia di un America ambigua e poco determinata, che si affida ancora una volta alla lungimiranza dei singoli per compiere le scelte più difficili.

Maya, giovane e brillante agente dei servizi segreti, dopo il 911 ha il solo scopo di trovare e assassinare Bin Laden: viene così assegnata in Pakistan a lavorare con Dan, agente della CIA presso l’ambasciata americana. Nei primi mesi il suo incarico è quello di assistere il collega durante gli interrogatori in Siti neri, prigioni non localizzate dove si fa uso di tortura, per trovare le tracce del nemico #1. Ma tra escamotage, attentati e cambi di piani politici, la situazione muta quando l’operazione complessa è portata a termine. Nella notte del maggio 2011 il Team 6 dei Navy Seal statunitensi irrompe nell’anonima residenza di Abbottabad, in Pakistan, dove il terrorista super ricercato risiede e dove troverà la morte.

Anzitutto partiamo dal titolo: che cosa vuol dire?
“Si tratta di un termine militare che indica i 30 minuti dopo la mezzanotte e si riferisce anche al mistero e alla segretezza che caratterizzarono l’intero decennio della missione” spiega la Bigelow al termine del primo teaser trailer.
Ora, quando una pellicola desta scalpore e scatena una bufera politico–mediatica due sono le cose: o fa paura o è una scelta di marketing.
A dire il vero a volte può essere entrambe ma non è questo il caso.
ZDT è un film drammatico potente che scorre, come fosse un’inchiesta giornalistica, senza moralismi, paternalismi o donne con il mestruo.
È in un perfetto equilibrio tra intrattenimento e esigenza di raccontare la verità. Ed è forse questo lo snodo centrale: il fatto che la sceneggiatura fosse colma di informazioni segrete portò alcuni senatori ad avviare una vera e propria indagine per capire se ci fosse stata una collaborazione tra il presidente Obama e la troupe, se avesse dunque messo a repentaglio la sicurezza nazionale.
Addirittura, ci aggiungerei.
Ma Kathryn Bigelow e Mark Boal (sceneggiatore), che negarono qualsiasi coinvolgimento, sanno molto bene come raccontare una guerra. Con The Hurt Locker, pellicola al cardiopalma, sopravvalutata ma ben fatta, assottigliarono il confine tra la dipendenza da adrenalina e la scelta di fare il militare: l’esaltazione celata da patriottismo.
In ZDT invece è tra vendetta e giustizia che scompare la linea di demarcazione, lasciando lo spettatore più volte in bilico e quasi disincantato.
I due impostando uno script complesso ma snello, con una leggera apologia dell’uso di metodi brutali in stato di necessità, completano un film coraggioso, coinciso e ben diretto.
Ma per far funzionare il tutto serve anche un ottimo cast: con la strafottenza di Joel Edgerton e la fragilità emotiva di Jessica Chastain si ha quel tocco distaccato e mai romanzato. Si può dire che si tratta di un Homeland (serie televisiva) senza ingenuità.
Fotografia realistica di Greig Fraser, montaggio ben scandito arricchiscono poi un film che funziona, ripeto.

Insomma, a meno che non siate parenti di Bin Laden, andatelo a vedere.

                                                                                                                                        marcodemitri ®

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