Cari Marvel Studios, finalmente avete tirato giù un film con pathos a pacchi ed un’epica bella solida in cui scompaiono metà dei protagonisti e subito dopo portate al cinema una commedia per famiglie? Sapete che vi dico?
[pausa a effetto…]
Avete fatto bene, che queste due ore con quel cazzone di Scott Lang, strampalato eroe per caso, sono proprio piacevoli.
Prima di tutto, però, togliamoci il dente dell’inevitabile paragone con il primo Ant-Man e no, non siamo a quel livello. Non lo siamo perché l’effetto sorpresa si è inevitabilmente affievolito – vedi alla voce: trenini giocattolo, palazzine che diventano trolley e scontro con il villain dentro una valigetta – e anche perché il primo script di quel film lì lo aveva realizzato Edgar Wright che ha un’impronta molto riconoscibile ed una sensibilità per la commedia che pochi hanno.
Fatta questa dovuta premessa, bisogna però sottolineare che Ant-Man and The Wasp ha un grande pregio, quello di non cadere nella trappola della ripetitività e del riciclo di espedienti narrativi (cosa, questa, tristemente frequente nei sequel di commedie che amano auto-omaggiarsi) e, anzi, riutilizza le potenzialità del personaggio per catapultare lui e tutta la sua improbabile cricca in viaggioni lisergici alla ricerca di nuovi e strani mondi pieni di tardigradi e roba colorata, abbracci di gruppo, inseguimenti in auto fichissimi a metà tra Fast and Furious e Wacky Racers, e dialoghi tra genuini imbecilli in cui il Luis di Michael Pena si rivela nuovamente in grandissima forma come spalla comica di Paul Rudd.
Dal canto suo Rudd – che è anche uno degli sceneggiatori dl film – si conferma scelta felice per un personaggio come Scott Lang. Dai ruoli comici come quello ricorrente in Parks and Recreation, a cose più spiccatamente demenziali come i due film di Anchorman o gli sketch del Saturday Night Live, Rudd ha sempre dimostrato di sapersi destreggiare benissimo con la risata. E le situazioni inedite in cui si ritrova in Ant-Man and The Wasp – in cui cambia taglia da piccolissimo, all’inedito ‘piccoletto’, fino al Giant Man già visto in Civil War in vari, inopportuni, momenti – lo vedono perfettamente a suo agio.
La storia la sapete tutti: Scott, Michael ‘Pym’ Douglas – a proposito: gli anni passano ma lui lo schermo se lo mangia ancora – e la turbopatata Hope (Evangeline Lilly) dotata di tuta d’ordinanza da supereroina sin dall’inizio del film, usano tecnologia quantica per salvare mamma Janet (Michelle Pfeiffer) dal regno quantico dove è intrappolata da 30 anni a vedere le repliche di Quantico. Come avrete capito i quanti permeano tutto il film e giustificano qualunque bim bum bam scientifico: c’è l’evanescente (in tutti i sensi) villain Ghost alla ricerca di una terapia tapioco quantica, ci sono sedute di pranoterapia quantica ed il forte sospetto che l’uso dei quanti esenti persino dal pagamento del bollo auto. Ma tutto sommato chi se ne frega, perché il film scorre via che è una bellezza riuscendo a coniugare nel migliore dei modi un’anima comedy con delle sequenze action davvero godibili e ben girate.
Come nel primo Ant-Man, anche stavolta c’è una sequenza flashback con annesso ringiovanimento, cosa che sta diventando molto frequente nei film Marvel Studios, oltre che dannatamente ben riuscita. Dopo l’extreme makeover CGI edition di Michael Douglas nel prologo di Ant-Man, lo sbalorditivo Robert Downey Jr teenager di Civil War ed il Kurt Russell capellone di Guardiani della Galassia vol.2, stavolta Michelle Pfeiffer torna bella fresca come ai tempi di Batman Il Ritorno (e pure un prezzemolino come Laurence Fishburne si dà una, temporanea, bella svecchiata).
Oltre a loro, nel film c’è anche Walton Goggins, quell’indimenticabile pezzo di merda di Shane Vendrell di The Shield, che, dopo aver raggiunto probabilmente il climax della sua carriera cinematografica con The Hateful 8 di Tarantino, viene ancora una volta inspiegabilmente derubricato al ruolo di villainuncolo da strapazzo.
– ehm… –
Goggins e la sua crew criminale sono assonanti con il tono generale del film e, come una sorta di banda Fratelli, scadono ben presto nel parodistico (vedi alla voce interrogatorio con confessione di Chunk/interrogatorio con confessione di Luis). Elemento che, come dicevo più su, non stona affatto con l’impostazione generale di Ant-Man and The Wasp che sa esattamente che tipo di film vuole essere: un’action comedy fresca e leggera con dei buonissimi tempi comici ed un’atipica famiglia disfunzionale per protagonista.
Piacevole cinema d’estate, magari non memorabile ma di certo estremamente godibile.
Io vi aspetto come sempre sulla mia pagina Facebook per commentare insieme Ant-Man and The Wasp.
PS la scena mid-credit del film è, vado a memoria, la prima ad avere un vero e proprio cliffhanger. Non perdetevela.
La scena post-credit invece è una presa per i fondelli peggio del video educativo di Cap in Spider-Man: Homecoming.
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