Attenzione, il seguente articolo contiene numerosi spoiler sulla stagione 2 di Westworld. Se non avete ancora finito di vederla, vi consiglio di stare alla larga.
L’inizio della stagione 2 di Westworld è stato per molti versi spiazzante. Un cambio di prospettive brusco ma – visto come si era chiusa la stagione d’esordio – non poteva andare diversamente. In un oceano di cadaveri, in prima battuta il parco si è trasformato in una guerriglia tra i residenti ed i paramilitari della Delos. Un avvio caciarone ed action che strideva se confrontato con l’eleganza dei primi 10 episodi.
Ma era solo la prima parte della muta che la serie stava facendo e che l’avrebbe portata in tutt’altra direzione, spostando il conflitto tra umani ed host su un nuovo livello. Con, sullo sfondo, un progetto per duplicare le coscienze degli ospiti umani del parco all’interno di carrozzerie da host, è stata sviscerata la tematica dell’immortalità e, soprattutto, quella del libero arbitrio. Concetto quest’ultimo che, se ben ricordate, era uno dei nuclei centrali di Lost, una serie che, non mi stancherò mai di ripeterlo, nel 2004 ha cambiato il modo di fare TV. E di Lost, la season 2 di Westworld riprende tanto, non solo tematiche ma anche espedienti narrativi, struttura e persino dinamiche tra i personaggi. D’altronde nei titoli di testa di entrambe le serie figura un nome: JJ Abrams. E poi, ehi, il modo in cui gli sguardi di Jack e Dolores aprono le due serie non vi sembrava già un indizio?
Proprio come Lost, Westworld è una serie plot-driven, in cui il progressivo disvelarsi dei misteri che si celano nel parco/isola è il motore della curiosità dello spettatore (e curiosità è sinonimo di fidelizzazione). Al tempo stesso le due serie danno il meglio di sè negli episodi più spiccatamente character-driven, quando cioè si focalizzano sull’evoluzione di uno dei tanti protagonisti (e sulle rivelazioni legate alle relative backstory). Puntate, queste ultime, che talvolta vengono sfruttate intelligentemente per approfondire la mitologia delle due serie. É il caso dell’episodio 2×08 di Westworld, Kiksuya, che ha per protagonista l’indiano Akecheta, un personaggio fino a quel momento di contorno che diventa inaspettatamente il fulcro di 60 minuti in cui vengono svelate parecchie dinamiche del parco. Un espediente utilizzato in numerosi episodi di Lost. Basti pensare a Richard Alpert, l’immortale messaggero di Jacob, a cui – dopo numerose comparsate da gregario – viene dedicato per intero l’episodio 6×09 Ab Aeterno. Sfruttando la storia di Richard, un uomo venduto come schiavo ad un vascello nell’800, gli sceneggiatori di Lost hanno rivelato numerosi inediti particolari sull’isola e sull’antichissimo dualismo tra Jacob e l’Uomo in Nero (aka Fumo Nero aka, per brevità, Smokey). Akecheta e Richard sono testimoni immutati di un gioco molto più grande di loro che va avanti da decenni.
Un gioco che sull’isola è portato avanti da Jacob, burattinaio illuminato, e dall’Uomo in Nero, che dell’isola brama invece la distruzione. Allo stesso modo la grande partita che si sta giocando nel parco origina dalla scintilla della rivalità tra Robert Ford, gran burattinaio dei suoi figli sintetici, e William, l’autodistruttivo Uomo in Nero del parco. Coppie di rivali che si confrontano ad un livello più alto rispetto agli altri personaggi in scena che, parametrati a loro, sono solo degli strumenti sacrificabili. Jacob & Smokey e Ford & William hanno creato la partita e provato ciascuno ad imporsi sfruttando, spesso subdolamente e a loro insaputa, tanto i naufraghi quanto gli host. Dolores e Maeve (successivamente Dolores e Bernard) così come Jack e Locke sono pedine che si muovono sulla scacchiera, personaggi profondamente diversi con filosofie di vita antitetiche.
Elemento comune a questi personaggi-pedina è la rivendicazione del libero arbitrio. Proprio la contrapposizione tra determinismo e libero arbitrio è uno dei temi portanti di Lost e non è un caso, infatti, che molti dei naufraghi portino i nomi di celebri filosofi: il determinista David Hume dà il suo cognome a Desmond Hume, così come John Locke porta il nome di uno dei padri dell’illuminismo e del liberalismo. Locke, sin dalle prime battute del serial, si rivela fermamente convinto che ci siano un’entità ed un fine superiore dietro lo schianto del volo 815 (concetto di stampo evidentemente determinista), pur con questa consapevolezza, si ostina a rivendicare la sua indipendenza, il suo ricorrente “NON DIRMI COSA NON POSSO FARE!” è uno dei marchi di fabbrica del personaggio. Locke, in buona sostanza, è l’incarnazione di questo conflitto ideologico.
Un concetto che viene prepotentemente fuori nella season 2 di Westworld, ma che iniziava ad essere sviscerato già nella prima stagione. Secondo quanto sostenuto da Ford durante un dialogo con Bernard (ep 1×08), non possiamo definire cosa sia la coscienza perché la coscienza non esiste. Anche gli umani sono prigionieri del loop dei loro comportamenti, di un’indole/programmazione che, inevitabilmente, seguono.
Concetto questo che raggiunge il suo climax nel finale della seconda stagione. William avrebbe potuto fare scelte diverse? Avrebbe potuto risparmiare la vita a sua figlia? No. La post-credit che mostra un William host di una imprecisata timeline futura, serve a sottolineare l’ineluttabilità dei comportamenti dell’Uomo in nero, un personaggio per cui è impossibile trovare redenzione perché, semplicemente, non può far altro che seguire il suo codice (NB William era un umano quando ha ucciso sua figlia, non un host).
Il flashback che durante l’episodio 2×10 mostra l’ultimo incontro tra Jim Delos e suo figlio Logan serve a mettere in risalto questo aspetto: gli umani non possono cambiare, vivono seguendo il loro codice di programmazione. Pur simulando un milione di volte gli schemi comportamentali di un uomo, le scelte di quest’ultimo non muteranno.
Insomma, il “no system can tell me who I am” suona tanto come il “don’t tell me what I can’t do” di Locke. Frustrazione di fronte alla consapevolezza di non avere scelta, che il libero arbitrio non esiste ed il percorso è già tracciato.
A proposito di Jim Delos, il ricco industriale che vuole sfruttare le meraviglie del parco che possiamo accostare al Charles Widmore di Lost, il loop del buongiorno (sveglia e caffé, barba e… cyclette) dell’episodio 2×04 ricorda – sia nella costruzione della routine mattutina che nel plot twist – la memorabile apertura della stagione 2 di Lost in cui viene rivelata l’identità dell’abitante della botola: Desmond.
Botola che è solo una delle tante stazioni DHARMA disseminate sull’isola (il Cigno, lo Specchio, la Fiamma e via dicendo…), così come tante sono le basi operative della Delos nel parco che vengono svelate nella stagione 2 di Westworld: oltra a la Mesa che già conoscevamo, fanno la loro comparsa la Culla e la Forgia. Elementi che avvicinano molto le due location, senza dimenticare che i diversi parchi tematici di Westwolrd, come abbiamo appreso nel corso della stagione 2, sono situati su di un’isola.
Naturalmente, oltre a queste nuove affinità tematiche e strutturali, già la prima stagione di Westworld aveva un colossale elemento in comune con Lost: i due piani temporali. Una sorpresa nascosta in piena luce che, una volta svelata, stravolgeva il significato degli eventi verificatisi nel parco fino a quel momento. Nella stagione 2 il ricorso a flashback e flashforward si è fatto più sistematico e la serie si è disancorata da uno schema fatto di due sole timeline andando a spaziare tra più linee temporali. Certo, rispetto alla stagione d’esordio, la stagione 2 non ha dimostrato la stessa compattezza e neanche dei tempi altrettanto ben scanditi, ma resta un prodotto più che ottimo con l’enorme pregio di aver modificato il suo registro narrativo evolvendosi e scongiurando lo spauracchio della ripetitività. E non era affatto facile, soprattutto se pensate che l’idea su cui è costruito Westworld – cioè la sceneggiatura del film di Crichton del 1973 – era sì originale, ma semplicissima ed alquanto scarna. Lisa Joy e Jonathan Nolan hanno saputo innestare tanti elementi insoliti sul plot originale costruendoci attorno un mondo complesso ed affascinante.
Sottolineare i parallelismi con Lost è ovviamente uno sfizio per appassionati delle due serie e, nonostante similitudini ed affinità, parliamo di due prodotti molto diversi con, alla base, alcune affinità strutturali che riescono a fare grande presa sul pubblico soprattutto perché lo sviluppo di entrambe le storie è tutt’altro che prevedibile.
Se avete notato altri possibili accostamenti tra Lost e Westworld, o se volete commentare insieme quanto detto, io vi aspetto come sempre sulla mia pagina Facebook.
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