L’impressionante ed inatteso successo di Stranger Things ha creato enormi aspettative per la 2a stagione, arrivata su Netflix poco prima di Halloween. Scelta non casuale, essendo gli eventi narrati ambientati proprio nei giorni a cavallo della notte delle streghe.
L’accoglienza per il bis concesso dai Duffer Brothers, i due showrunner della serie, è stata molto favorevole ed è stata accompagnata da un impressionante buzz che ha travolto l’internerd di tutto il mondo. Amplificato, qui da noi nell’italico stivale, anche dalla presenza di alcuni membri del cast al Lucca Comics and Games.
Però, ehi, non è che stavolta sia filato proprio tutto liscio.
Non voglio sembrare uno di quei supersnob che criticano prodotti mainstream per andare contro corrente. Anche perché, complessivamente, sono soddisfatto di ciò che ho visto. Sono però rimasto stupito dal fatto che ben pochi critici e siti di settore si siano soffermati su alcuni, a mio avviso evidenti, punti deboli di questo sequel.
Attenzione: segue qualche spoiler.
Innanzitutto i primi 3-4 episodi ben poco aggiungono allo sviluppo dei personaggi e gli espedienti narrativi utilizzati sanno tanto di già visto: a casa Byers le lucine di Natale vengono sostiuite con il puzzle di scarabocchi dei tunnel; la prigionia forzata di Undici si sposta dalla cantina dei Wheeler alla casa nei boschi di Hopper; Steve ormai è diventato buono quindi viene sostituito dal nuovo bullo Billy. Ok, c’è il ‘dolcetto o scherzetto’ coi ragazzi vestiti da Ghostbusters ma quella è solo una trovata buona per vendere Funko POP!.
Dal quinto episodio in poi, con la discesa di Hopper nei tunnel sotto le campagne di Hawkins, finalmente la stagione ingrana e tira fuori il meglio, come l’inaspettata alchimia tra Dustin e Steve e la caccia ai democani. Il tutto, come sempre, riutilizzando dei grandi classici anni ’80/primi anni ’90. Stessa operazione portata avanti con la prima stagione e che, anche se dichiaratamente e spiccatamente citazionista, se fatta con intelligenza porta un ottimo risultato. E così la passeggiata di Dustin e Steve sulle rotaie riporta alla mente Stand By Me; la curiosità di Dustin nei confronti di Dart, il suo mostruoso cucciolo di demogorgone, è quella di Rick Moranis ne La Piccola Bottega degli Orrori; i democani (versioni quadrupedi del demogorgone) sono l’equivalente dei runner, i cani xenomorfo di Aliens³ (vedi anche alla voce: corse nei cunicoli) e, infine, l’omaggio più grosso di tutti: l’episodio 8 di Stranger Things 2 è puro Jurassic Park. Ripeto: un riciclo di idee fatto bene perfettamente armonico con il sottogenere a cui Stranger Things appartiene, l’AFBB (Avventura di Formazione coi Bambini in Bici). Un aspetto, questo, di cui ho parlato estesamente nell’analisi del capitolo 1 di IT (che, se vi va, trovate qui).
I Duffer, poi, hanno un’altra scaltra prerogativa: quella di creare personaggi con cui il pubblico empatizzi al punto da renderli trend topic sui social. É il caso di Bob Newby che, per furbissima scelta di casting, ha il volto di Sean Astin: che era Mickey de I Goonies e Samwise Gamgee nella Trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson.
T-shirt e tazze ‘Bob Newby superhero’ in 3,2,1…
Stavolta, però, i Duffer bros hanno commesso un errore. Mi riferisco a “La Sorella Perduta” (ep.2×07), un episodio spotlight incentrato sulla gita fuori porta di Undici con la sua “sorella di superpoteri” Otto. Il subplot raccontato in questa puntata non riesce mai ad essere interessante e, oltretutto, è talmente mal amalgamato col resto della stagione da farlo percepire come un filler deconteastualizzato. E la banda di Otto, composta da un gruppetto di personaggi macchiettistici – il punk, l’omone di colore calvo con la treccia, la tipa vestita come il teppista di Breakfast Club e la cosplayer di Cindy Lauper – che nell’intenzione degli showrunner sarebbero dovuti diventare anche loro fonte di post sui social e merchandising, è stata invece un bel buco nell’acqua. A conferma di quanto detto, proprio i Duffer hanno dichiarato a Vulture che questa puntata nasce dalla loro esigenza di sperimentare qualcosa di nuovo, creando una sorta di episodio pilota a serie in corso (per quanto non sia mai stato nei loro piani l’idea di uno spin-off).
Nel complesso, dunque, bene ma non benissimo. Il piccolo universo narrativo creato ad Hawkins e fatto di sci-fantasy mischiata con quell’inconfondibile gusto anni ’80 continua a funzionare ma attenzione a non ripetersi ancora: è necessario uscire dalla comfort zone di quanto fatto finora evitando, però, pericolosi salti tripli come il sopracitato episodio 2×07. D’altronde le fondamenta gettate dai Duffer Brothers – tra sottosopra, mostri dimensionali con echi di D&D, bambini, bulletti e biciclette – offrono innumerevoli possibilità narrative e ora, con la stagione 3, toccherà ampliare la mitologia di questo affascinante microcosmo, facendo però tesoro dei passaggi a vuoto della stagione 2.
PS una domanda per chi, come me, era bambino negli anni ’80 ed ha avuto il (dis)piacere di giocare a Dragon’s Lair, il videogioco più frustrante mai realizzato (altro che Dark Souls). Vorrei sapere se qualcuno di voi, pur con soluzione alla mano, è arrivato al punto in cui era Dustin in sala giochi. Secondo me la risposta è: nessuno.
E allora sapete che vi dico? Ehi, Duffer Brothers, non siete stati poi così accurati nel raffiguare gli anni ’80!
Io vi saluto e, come sempre, vi ricordo che vi aspetto su Facebook:
1 commento su “TWR la (psico)analisi di Stranger Things 2: sotto o sopra le aspettative?”
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