Uno dei classici canoni della letteratura dell’orrore è che, spesso, i mostri non sono i veri “cattivi”, ma anzi, i mostri sono coloro i quali cercano di apparire dinanzi agli occhi della società migliori di quanto siano. Basti pensare ai grandi classici della letteratura che trattano questo tema, da Frankenstein allo Strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde, passando per interpretazioni recenti come Blade. Ma se la prerogativa di un narratore è quella di mandare un altro messaggio, come si può collocare American Monster, che di un mostro effettivamente parla?
Il punto di partenza di questa recensione deve essere chiaro fin dall’inizio: non sempre i mostri sono terrificanti, a volte sono creature sfortunate che subiscono un pregiudizio pesante da parte della società. Nel caso di American Monster di Brian Azzarello e Juan Doe il punto partenza diventa: “e se quello che sembra un mostro, fosse davvero una creatura malvagia?”. Ovviamente questo sarebbe un ragionamento lineare, in cui il mostro è mostro e c’è poco da fare. Eppure in American Monster tiferete comunque per la creatura sfigurata e malvista dalla società. Il motivo è presto detto: un mostro è prima di tutto umano e, come ogni umano, ha i suoi pregi e i suoi difetti. Quindi, malgrado il titolo, Azzarello e Doe ci stanno raccontando una normalissima storia, senza fenomeni paranormali, senza redenzione dell’eroe, ma anzi stanno svalutando la figura del loro protagonista. Perché quindi possiamo “tifare” per un mostro americano?
Tutto il ragionamento che andrebbe fatto su questa serie di debutto italiano Aftershock voluto da saldaPress, ruota attorno ad un termine: “americano”. Non è un mostro canadese, australiano o italiano. Azzarello deve raccontare una storia, una storia che è prima di tutto uno spaccato della vita americana, quella non edulcorata dalle luci dello show business, bensì la cruda realtà quotidiana che attraversa le due coste. Quelli che interessano agli autori di American Monster sono prima di tutto i “normali”. Ecco che il paradigma del “i veri mostri non sono i mostri” giunge a compimento, ma lo fa nel modo più originale possibile, mostrando sprazzi di razzismo, di sessismo, di amore per le armi da fuoco, di ultra-violenza da cinema di genere, di buoni propositi che vanno sprecati, di generazioni allo sbando, di incertezze e indecisioni in quel paese che dovrebbe rappresentare un sogno non solo per i suoi abitanti, ma anche per chi lo vive dall’esterno.
Soprattutto è significativo il fatto che il “sogno americano” si infranga, secondo Azzarello in quello che è il maggior vanto dei cittadini nati sotto la “stars and stripes”: le forze armate. Il nostro mostro (e i suoi compagni d’avventura, se così vogliamo definirli) provengono dalla realtà della guerra e fin da subito vengono chiariti due fattori fondamentali: la guerra è una grandissima stronza, ti chiede tutto, ti toglie tutto e si aspetta la massima dedizione; il secondo aspetto, più intimo, più affine allo scopo di Azzarello e della sua narrazione, è che la guerra non sempre viene combattuta da uomini innocenti contro uomini colpevoli. Col prosieguo della narrazione ci stiamo avvicinando sempre più al vero fulcro del messaggio di American Monster, non a caso nascosto molto in profondità nelle sue fibre. Non si sta raccontando una storia sui mostri dell’orrore, neppure una storia in cui il mostro è il vero eroe, neanche una storia in cui i mostri sono gli “altri” ma la storia di un paese che basa tutti i suoi conflitti interni sulla relatività del punto di vista, che sembra non voler accettare alcuni assoluti imprescindibili.
Con American Monster possiamo leggere una storia che è una raccolta di storie, perché racconta un paese profondamente segnato dal suo stesso modo di pensare, una popolazione piena di contraddizioni dove gli eroi possono essere dei demoni e i santi sono i nemici della società. Ogni difficoltà che ne consegue, Azzarello la tratta con freddezza e regolarità nel modo di esprimerla. Se avete fatto caso a come ho impostato la recensione, avrete visto che non mi sono soffermato sul suo protagonista. Perché un protagonista c’è, ed è sicuramente un mostro in ogni senso lo si possa intendere. Quindi perché non concentrarsi su di lui? Perché, ritengo che finora era importante trattare del solo contesto nel quale si muove la narrazione. Ci sarà sicuramente tempo e spazio per trattare del “mostro” nei prossimi numeri. Per questa recensione è tutto, ma prima vi consiglio la colonna sonora ideale per gustarvi meglio la lettura: Villains, ultimo album dei Queens of the Stone Age. Ci rileggiamo prossimamente.
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