Quando qualcosa ci piace particolarmente, stranamente, può risultare più difficile convincere gli altri della sua qualità. Solitamente non si riesce ad essere imparziali nel giudicarla e si finisce col passare per dei fanatici che non riescono a vedere i difetti di ciò che si apprezza. Nailbiter è la serie che proprio non mi riesce di recensire in maniera imparziale: se non la seguite, vi state perdendo uno dei migliori fumetti della vostra vita.
Il primo volume di questa serie scritta da Joshua Williamson e disegnata da Mike Henderson colpisce il lettore in modo inequivocabile. In Nailbiter c’è tutto quello che un fumetto thriller deve avere: una trama che si dipana lentamente ma costantemente, una serie di misteri irrisolti, personaggi travagliati ognuno con le sue specifiche motivazioni per il proprio modo di agire, situazioni in grado di stupire e coinvolgere il lettore, impareggiabili momenti di puro, ottimo fumetto d’intrattenimento, riferimenti alla vita quotidiana e/o contemporanea, punti di vista interni differenti a seconda dei personaggi coinvolti e delle situazioni narrate, una buona quantità di gore, splatter e sangue, una narrazione inesorabile che avviluppa il lettore per portarlo non solo a sentirsi coinvolto nella lettura, ma anche e soprattutto che scatenino un irrefrenabile appetito della “pagina successiva”, che si traduce col non riuscire a controllarsi e a continuare a leggere senza sosta. Per me Nailbiter è stato tutto questo fin dal primo volume e continua ad essere così anche ora che siamo arrivati al terzo.
Proprio in questo volume assistiamo ad una delle scene più potenti e, allo stesso tempo, macabre a cui si possa assistere leggendo Nailbiter. Lo “smembramento” di uno dei killer di Buckaroo non è soltanto una scena che ci presenta una situazione di orrore puro, bensì è la sintesi di tutto quello che ho affermato poco sopra. Nella fittissima griglia che si sviluppa sulle due pagine, ogni piccolo dettaglio è il frutto di una riflessione accurata, dal momento che tutta la scena si svolge su tre piani visivi. Il primo è quello dell’agente Finch che ha rapito il “Mangiaunghie”, Edward Warren, il secondo è quello del misterioso assassino che sembra essere coinvolto non solo nei recenti omicidi di Buckaroo, ma anche in qualcosa di molto più antico. Il terzo punto di vista è quello dell’agente Barker, la quale viene travolta da un’ondata di violenza, che sarà solo l’antipasto di qualcosa che, pare, l’ha cambiata totalmente.
In questa semplice carrellata di espressioni, urla, violenza, sangue, dettagli e confronti possiamo rintracciare molti degli aspetti, a mio avviso, più significativi – e vincenti – della serie. Prima di tutto il rovesciamento di fronte tra vittima e carnefice, col parallelismo tra quello che sta compiendo Finch nei confronti di Warren e quello a cui sta assistendo la povera Barker. Ad un più profondo livello di analisi, stiamo assistendo al classico scontro indagatore tra Bene e Male, di quelli che portano gli “eroi” della storia a sporcarsi le mani, ad abbandonare il lato chiaro di facciata per avvicinarsi al lato oscuro del nemico, senza venirne, però, totalmente inghiottiti. Entriamo dunque nell’enorme “lato grigio”, dove il bene e il male possono convivere e cercano di raggiungere un pericoloso e fragile equilibrio: Edward è un vero assassino e lo dimostra poche pagine dopo; Finch deve collaborare con lui, se vuole scoprire la verità; la Barker ha guardato troppo a lungo nell’abisso e ci è caduta dentro, pur rimanendo aggrappata ancora ad una flebile parvenza esteriore di normalità.
La decompressione narrativa costante e assidua a cui Williamson sottopone il lettore, si fa parte integrante e funzionale di Nailbiter, proprio per abbattere quella “parvenza esteriore” di cui sopra. Gli assassini vengono presentati come personaggi di cui tutti credono di sapere tutto, sono stati sottoposti alla lente indagatrice dell’opinione pubblica e della mentalità conservatrice americana, la quale tende a separare nettamente queste figure dalla grande massa “innocente”, creando una vera e propria barriera data dalla diversità e dalla stramberia. Il lavoro di Williamson, invece, sembra mirare allo sgretolamento di questa barriera, a svelare il vero volto di una nazione che si trincera dietro un’apparenza che non le appartiene, troppo presa dal cercare di dimostrare la propria estraneità dinanzi a certi problemi. Il messaggio di fondo di Nailbiter è proprio quello di far addentrare il lettore non nella mente degli psicopatici, ma di tutti coloro i quali popolano l’immensa distesa di terra tra le due coste. Se tutti questi motivi non vi bastano per iniziare la lettura di questo fumetto Image edito in Italia da saldaPress, allora vi meritate il flame sui cambi di costume (o di sesso) degli eroi in calzamaglia. Ci sarebbero tante altre cose da aggiungere su Nailbiter, ma lascio a voi il piacere di addentrarvi in questo capolavoro di cui si parla troppo poco. Noi ci rileggiamo prossimamente.
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