Quando ci si approccia ad un fumetto, spesso, si cerca un intrattenimento nudo e crudo, soprattutto se pensiamo ai grandi personaggi d’oltreoceano. Altrettanto spesso, però, tra le pagine di un fumetto si può scoprire un mondo caotico e viscerale, fatto di apparati di pensiero, di critica sociale e di riflessioni sulla modernità. Il caso più recente in cui mi sono imbattuto è quello di Malloy, ultima opera di Marco Taddei (alla penna) e Simone Angelini (alla matita), edito in Italia da Panini 9L.
L’overture di questo volume – diviso in tre parti – è una citazione di Bob Dylan: “Chaos is a friend of mine”. E non poteva esserci inizio più calzante. Il racconto di Taddei e Angelini si apre con quella che potremmo definire “la creazione della Creazione”, la nascita dell’unico vero dio regolatore e dominatore dell’Universo ovvero il Denaro. Fin dal dialogo che apre il volume è possibile ravvisare l’idea del duo artistico: plasmare il caos per portarvi nuovo caos, creare una struttura ordinata che è, in realtà, pura e semplice non-consequenzialità. Nell’universo di Malloy, come vedremo, non c’è un preciso rapporto di causa-effetto in ciò che succede, quanto piuttosto imprevedibilità.
Ma dicevamo, il dio Denaro. Da qui scaturisce l’idea di un futuro molto molto lontano ed imprecisato (forse) in cui un imperatore regna con la calcolatrice, sempre nel tentativo di far quadrare i conti. Come ogni sovrano che si rispetti, anche lui sta per essere deposto da una congiura e qui entrano in scena un protagonista e una tematica.
Il protagonista è, appunto, Malloy, il gabelliere migliore dell’Universo mentre la tematica è il richiamo al Medioevo, alle sue regole letterarie e ai richiami a quell’era della storia umana. Malloy si occupa di quelli che potremmo definire “congiurati”, sterminandoli tutti (o quasi). Il suo volto viene mostrato per la prima volta, ma solo in foto, nel ritratto del “Gabelliere dell’anno”, per sottolineare la discrepanza tra il suo ruolo, la sua apparenza di gabelliere e la sua vera natura di inarrestabile killer.
Come ogni tradizione letteraria e medievale che si rispetti (ma anche classica), entra in scena il cattivo che attua lo stratagemma dello “scambio”, della creazione dell’impostore che servirà ad ingannare l’eroe. Facciamo la conoscenza di Monroe, un vecchio interesse amoroso di Malloy (ricalcando in forma stereotipata i cliché della narrazione amorosa). Un dettaglio su cui soffermarsi è che ci vengono mostrati solo in questo flashback gli occhi di Monroe. Segnatevi questa informazione. Malloy viene così spedito sulla Terra a riscuotere un enorme debito, ma prima fa visita a suo fratello, per chiedere aiuto nel raggiungere il nostro pianeta.
Già nel finale di questa prima parte vacillano le non troppo evidenti caratteristiche da “space opera” (per volontà degli autori) e ci addentriamo in tematiche riguardanti la nullità dell’individuo nell’era moderna, ridotto ai bisogni primari del lavoro e della famiglia, quest’ultima lo stesso vista come una costrizione, un obbligo imprescindibile a cui bisogna – in qualche modo – sempre appigliarsi, per non essere malvisti.
Questa prima parte è più fantascientifica in senso stretto (ma anche in senso lato, dal momento che si affrontano o introducono le prime tematiche esistenziali, come si è visto), serve per impostare la narrazione in un modo tradizionale, eppure è in grando di anticipare il non-sense in arrivo (che, ancora una volta, è un non-sense di facciata, che nasconde questioni molto più profonde).
Nella seconda parte dal titolo “Missione Terra”, ci si addentra pienamente nel filone delle tematiche sociali del volume. Prima di tutto la Terra è un mondo post-apocalittico in rovina, dominato da macchine che controllano l’umanità come una sorta di “Big Brother” robotico; gli abitanti del pianeta sono ridotti alle mere funzioni primarie, con la sola variante della capacità di acquisto, che li rende, di fatto, solo clienti di un enorme sistema corrosivo e alienante. In questa seconda parte, inoltre, ci si addentra ancora di più nell’idea di Medioevo letterario, trasportando Malloy in una vera e propria “questua”, una ricerca di un Santo Graal tutto profano, ma più sacro del sacro. La questua si divide in due parti: la prima è quella del confronto con la Natura, che però è inesistente, ridotta ad un oceano di oleodotti e ad animali personificati a tal punto da aver assunto sembianze umane (e i Tinko Tanko sfuggono ad una migliore definizione, rientrano in quella “teoria del caos” che gli autori stanno portando avanti dalla prima pagina).
Giunti alla sede del Governo mondiale si arriva alla soglia della blasfemia interna perché scopriamo l’identificazione del Governo con le Banche, col Denaro; e quest’ultimo si ricava dallo sfruttamento dei cittadini per produrre escrementi da dare ad una creatura che se ne alimenta per produrre oro. In pratica, parafrasando De André, dal letame crescono i diamanti, o meglio l’oro. Un pensiero che più diretto non può esserci: il Denaro è merda. Da questa scoperta, gli autori ci raccontano una rappresentanza politica sorda alle vere necessità del popolo, il cui scopo è la creazione di una massa di votanti ignoranti facilmente corruttibili, da imbrogliare con la storia delle storie, con le Illusioni, facendo credere ai cittadini di poter diventare, un giorno, parte del Governo. Repubblica, Democrazia e Giustizia si rivelano parole vuote nell’Universo di Malloy (che poi è il nostro).
La questua si evolve in un nuovo modo, sempre aderente alla tradizione, ma che in realtà – dietro all’apparente infinita ricerca tipica dei poemi rinascimentali – sfocia nel non-sense di Calvino, un eterna ricerca che è solo fittizia e che porta il protagonista a scoprire se stesso, prima che l’oggetto del desiderio. Lo scontro con Monroe è inevitabile e rappresenta proprio l’inversione della questua: l’amata non è “angelica” ma diabolica, armata di spade (e non è ovviamente casuale che lo scontro nella società dello spazio sia in realtà un puro duello all’arma bianca). Malloy intraprende dunque un viaggio infinito, alla ricerca della Verità, sempre più in profondità nel reale, fino ad arrivare ad un faccia a faccia con se stesso e alla possibilità di accedere alla scoperta della propria funzione nell’Universo.
Per questo la terza parte del volume si apre con la narrazione della genesi dell’artefice di tutto il malvagio piano per rovesciare l’Imperatore e, quindi, l’ordine (o disordine) delle cose. Scopriamo il super computer, la creazione definitiva dell’uomo, in grado – come lui – di pensare autonomamente ed aspirare al dominio di tutte le cose, al dominio della vera natura della realtà. Le Illusioni cadono e si mostrano a Malloy come essenze, in una sorta di Platonismo 2.0 che può solo sfociare nel Nichilismo del ripiegamento su se stesso dell’individuo e della realtà. Il libero arbitrio non esiste, è solo la pausa pranzo dell’autore che scrive la nostra storia, siamo personaggi alla stregua di Malloy.
Le tematiche aperte nel corso della narrazione si chiudono o sfociano in nuovi sistemi di idee, espresse tutte in pochi, efficaci concetti: gli errori di concezione dell’uomo si ripercuotono anche in quello che crea, che realizza, fino all’errore ultimo dell’estinzione cioè la tecnologia autocosciente, ripescata dalla tradizione di Asimov sotto una nuova terrificante luce; la continua ed impossibile ricerca della Verità perpetrata dall’uomo, che quasi assurge ad unica vera metafisica, una sorta di “metafisica dell’inarrivabile” con la ricerca che si fa unica vera verità conoscibile; e, appunto, non possiamo conoscere l’esito dello scontro tra la Vita come somma irrazionale di eventi o caos, e l’imperativo automigliorante della tecnologia; l’impossibilità della conoscenza delle radici della realtà e della vita, che si traduce in “tutto è bene quel che finisce bene”, col rifiuto a sforzarsi di dare un senso a ciò che, per gli autori, ha senso solo nella misura di un enorme autogoverno del caos.
L’ipostatizzazione della realtà è una chimera, soprattutto per noi che siamo solo una somma di eventi ed ingredienti (come ci viene mostrato nell’armadio che “contiene” Malloy, il quale scopre di essere una serie di boccette, come Orlando nei poemi cavallereschi). Non è possibile dare una definizione della vita e della realtà, quello che possiamo limitarci a fare è dare una mano all’Universo affinché vada nel verso giusto. Quindi, alla fine, sono i servitori del Duca/Conte a ristabilire il ruolo dell’Imperatore, a far ripartire il “caos ordinato” delle cose. Secondo Karl Kraus, come è ben scritto in quarta di copertina: “Ben venga il caos, se l’ordine non ha funzionato”.
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