Non è tutto oro quel che è diretto da Ridley Scott. É chiaro, parliamo di un gigante, uno che con Alien e Blade Runner ha piantato semi che ancora germogliano nell’immaginario sci-fi e cyberpunk e parliamo anche di uno che ha diretto capolavori cimentandosi con i generi più disparati: Il Gladiatore, Black Rain, Black Hawk Down. Però Ridley Scott è anche quello che, dopo Il Gladiatore, ci ha riprovato con la storia e la mitologia dando vita a film scialbi come Le Crociate ed Exodus. Negli ultimi anni, però, è tornato al suo primo amore, la fantascienza, e lo ha fatto con risultati alterni: il discusso (e a mio avviso discutibile) Prometheus ed il sorprendente The Martian.
Una premessa per dire che sì, di Ridley Scott ci si può fidare… ma non sempre. Ora andiamo un po’ più nello specifico con una precisazione che molti nell’internerd non hanno colto: Alien Covenant è un SEQUEL DIRETTO DI PROMETHEUS che, a sua volta, è un prequel dei film con Sigourney Weaver.
Covenant, nei piani di Scott, è il secondo di una trilogia (o quadrilogia) che precede le avventure di Ripley approfondendo la mitologia degli xenomorfi.
Chiarito questo punto e prima di procedere, un’altra precisazione: chi vi scrive (cioè io, ma spesso chi realizza articoli parla in 3a persona e volevo capire cosa si prova) non ha apprezzato Prometheus. E non solo per lo sbadato scienziato manolesta che tocca la roba aliena (che poi, a voler essere puntigliosi, John Hurt nel primo Alien era stato altrettanto pirla), ma perché era un film che, nonostante fosse visivamente molto bello, aveva poca personalità, poco gore e poca tensione. E, quando un cast pazzesco – Guy Pearce, Idris Elba, Michael Fassbender e Charlize Theron – dà vita a personaggi tutto sommato dimenticabili (con l’eccezione di Fassbender), va a finire che ti frega cazzi delle buone idee come l’introduzione degli Ingegneri e la scoperta della genesi del genere umano e degli xenomorfi.
Questa seconda premessa per precisare che no, non mi sono avvicinato a Covenant carico di aspettative. E invece, pensa un po’, sono uscito dal cinema bello felice soprattutto per un motivo: Alien Covenant non è il solito ‘more of the same’. Pur essendoci elementi caratteristici della saga – i claustrofobici cunicoli di un’astronave, l’equipaggio in ipersonno, l’eroina femminile di buon senso, l’idiota che prende pessime decisioni ed altri aspetti marcatamente citazionistici del primo fim come la “scena John Hurt” ed il computer di bordo che si chiama MOTHER – lo sviluppo della trama di Covenant è qualcosa di totalmente inedito per la saga. Questo principalmente per la centralità riservata ai due androidi: Walter e David, entrambi interpretati da un monumentale Michael Fassbender.
David è il principale trait d’union con Prometheus e l’importanza della sua algida logica, chiara già dal poetico prologo del film, innesta nel DNA della saga di Alien un altro classico topos della fantascienza, quello della coscienza delle I.A.. In pratica Scott e Michael Green (che ha realizzato il soggetto) hanno iniettato un po’ di Blade Runner nell’epopea di Alien realizzando un cocktail dal gusto fresco e ben equilibrato.
– cin –
Questa direzione inedita giova a creare nuove dinamiche e così nella solita equazione data da gruppo di persone mosse da istinto di sopravvivenza contrapposte all’alieno spietato, si affianca una nuova variabile. E poco importa se qualche passaggio del ciclo vitale di facehugger e xenomorfi apparentemente cozza con i precedenti film (vedi la regina caca-uova di Aliens – Scontro Finale) perché Covenant è godibilissimo, carico di tensione e con dei momenti splatter davvero niente male. Un tassello di un quadro più ampio come l’eccellente finale lascia presagire.
Un particolare che spesso passa sotto silenzio: come nei precedenti film di Alien, non mancano i riferimenti biblici. Il nome David per il personaggio di Fassbender non è casuale: la storia di David re d’Israele è legata a quella dell’arca dell’alleanza, leggendario manufatto contenente i Dieci Comandamenti che tutti ricordiamo per I Predatori dell’Arca Perduta e che, in inglese, è nota come “Ark of The Covenant“. Nulla di strano se considerate che temi come la creazione e il paradiso perduto in questa nuova saga prequel sono un sottotesto abbastanza evidente.
Insomma, dopo aver cassato in maniera netta l’ipotetico Alien 5 di Neill Blomkamp, Scott ormai si è riappropriato in modo veemente della sua saga e lo ha fatto con la solita regia maestosa e con un film, in generale, estremamente convincente. Covenant, a posteriori, mi ha fatto valutare con occhio più benevolo persino Prometheus. Perché per dare nuovo slancio ad una saga che è già stata abbondantemente spremuta, non aveva alcun senso continuare a produrre film in fotocopia in cui Sigourney Weaver scappa per due ore dagli alieni brutti e cattivi mentre il resto del cast viene macellato come carne da cannone. Covenant ha un’estetica rinnovata e di grande personalità ed è una dichiarazione d’intenti per la saga di Alien: un franchise che, pur non dimenticando da dove viene, si sta reinventando per il futuro. Bene così.
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