Dopo l’ottimo esordio, Nailbiter si conferma una delle letture più interessanti di questo 2016, riuscendo a creare il giusto mix di ingredienti per suscitare nel lettore la voglia di continuare a sfogliare le pagine. Un originale modo di narrare, disegni congeniali allo stile della trama e idee accattivanti sono solo alcuni dei motivi per non lasciarsi scappare questo volume.
Il primo volume di Nailbiter mi aveva conquistato subito. Buckaroo, fittizia città creata da Joshua Williamson, è la patria dei serial killer. E nei confini cittadini ne esistono di tutti i tipi, come abbiamo già avuto modo di vedere nello scorso volume e come ci viene raccontato anche in questo secondo. Ovviamente, però, particolarmente presente è la figura che dà il titolo al volume, il “Mangiaunghie”, che da questo momento diverrà una probabile chiave di volta della narrazione. Infatti, sullo sfondo delle vicende che vedono protagonisti “la sceriffa” Crane e l’agente Finch dell’FBI, comincia ad insidiarsi la figura di Warren, l’assassino (che è stato, però, scagionato) che mangiava le unghie e la parte finale delle dita delle sue vittime. Dando uno sguardo all’immagine che chiude il volume, c’è un netto cambio di prospettiva (che dà un senso molto sottile a tutta la narrazione di questo secondo capitolo di Nailbiter): tutti possiamo passare dal ruolo di vittime a quello di carnefici e Buckaroo è il luogo ideale.
Ecco perché questi nuovi capitoli dell’opera di Williamson sembrano cambiare focus narrativo, spostandosi dagli assassini riconosciuti, dai killer accertati dalla giustizia ai potenziali assassini, ai mitomani, ai cercatori di storie stravaganti. Nell’ordine, in questo volume abbiamo (senza spoilerare troppo): una donna a caccia dei famosi “15 minuti di notorietà” in un modo tutto perverso e macabro, un autore di fumetti a in cerca di ispirazione (e l’autore è un certo Brian Michael Bendis, mai sentito?), un uomo che non regge al peso psicologico di aver vissuto a fianco di assassini per anni. Insomma questo è il volume delle conseguenze, degli effetti collaterali, delle controindicazioni. Una narrazione che può sembrare rallentata, spostata di perno, ha in realtà l’ottima intuizione di spostare soltanto il punto di vista, senza perdere neanche per un momento la direzione e il sostrato narrativo costituito da Buckaroo.
Appare sempre più chiaro, infatti, come sia la stessa città la protagonista di quest’opera scritta da Williamson e disegnata da Mike Henderson. E ritengo giusto spendere alcune parole su questi due autori. Personalmente trovo che Williamson sia uno degli autori che preferisco al momento, ma che ha ancora un enorme potenziale da mostrare. Due delle letture che ho adorato in questo 2016 sono state proprio le sue: una è, appunto, Nailbiter; l’altra è Birthright, di cui potere leggere le recensioni qui e qui. La bravura e la forza di questo autore sta proprio nella sua adattabilità a diversi generi narrativi, dal momento che le due serie che ho citato si collocano praticamente agli antipodi. Williamson ha la capacità di immergere il lettore in regni onirici di diverso tipo: da un lato il sogno di un regno fantasy dove il Bene è il lotta contro il Male, un mondo popolato di creature fantastiche e magiche; sul versante opposto l’incubo di una città vittima di una sequela infinita di assassini. Eppure, proprio per la grande duttilità che lo contraddistingue, Williamson mostra sempre il rovescio della medaglia nei suoi lavori. Se in Birthright il fantasy è uno strumento per parlare della contemporaneità e degli orrori che possono celarsi dietro la cortina fantastica di un mondo magico, dall’altro lato la quotidianità di Buckaroo può essere alleggerita dalla vita che filtra attraverso gli atti più comuni e straordinari: dalle piccole gag comiche con protagonista Bendis, al miracolo di una nascita.
Ma, come dicevo, Williamson ha la forza di non perdere mai il filo della narrazione, neanche quando decomprime i suoi lavori, come nel caso di Nailbiter. Il rallentamento dei capitoli non è affatto tedioso, ma contribuisce ad arricchire il messaggio espresso, rendendolo più compatto ed eterogeneo allo stesso tempo. Il lavoro svolto da Mike Henderson è poi la ciliegina sulla torta. Le atmosfere ricreate dai suoi disegni e dai colori di Adam Guzowski sono perfette sia per rappresentare il terrore puro provato in situazioni estreme, sia per tratteggiare l’ambiente di Buckaroo, apparentemente immersa in un perenne Autunno da thriller cinematografico, dove il sole splende di rado e la vegetazione pare sempre in costante lutto. Mentre scrivo queste righe, mi rendo conto che ci sarebbe molto altro da dire a proposito di Nailbiter, ma anche che rischierei di togliervi il sapore della scoperta rivelando troppo. Il mio invito spassionato è di recuperare assolutamente i volumi editi da saldaPress in Italia, perché si tratta di una delle migliori serie di questo 2016. Nailbiter unisce una narrazione sapiente e consapevole a trovate che vi faranno restare a bocca aperta, atmosfere e tavole cinematografiche, dove gli appassionati del thriller troveranno pane per i loro denti, ma i “novizi” scopriranno un mondo cupo e affascinante, che esplora noi stessi prima che la città maledetta di Buckaroo. Concludo questa recensione con un altro consiglio musicale, da accompagnare alla lettura di Nailbiter: Hardwired… to Selfdistruct, nuovo album dei Metallica e in modo particolare al brano “Am I Savage?”. Buona lettura, buon ascolto e alla prossima recensione.
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