Alla ricerca di Dory (Andrew Stanton, 2016) arriva nei cinema con l’incertezza che ogni sequel/prequel porta con sé, ma con la sicurezza di un nome alle spalle: PIXAR. Capitolo Cars a parte, non c’è stato mai un sequel della casa di produzione americana che potesse ritenersi un fallimento o una distruzione del lavoro precedente, ma i dubbi, giustamente, permangono.
Trama
Terminata l’avventura fra gli oceani per ritrovare Nemo, i tre protagonisti (Marlin, Dory e Nemo) tornano alla barriera corallina conducendo una vita sostanzialmente normale, se non fosse per le continue amnesie di Dory ed il suo sonnambulismo. Un giorno, mentre i pesciolini vengono accompagnati a vedere la migrazione delle mantidi, qualcosa scatta nella memoria di Dory: ricorda i suoi genitori. Questo ricordo, riaffiorato dopo anni, la spinge pian piano a ripercorrere la sua storia personale, fino a farla tornare nel suo luogo di nascita, il tutto per cercare di ritrovare i genitori.
Nemo e Marlin, ovviamente, la fiancheggeranno, incontrando tanti nuovi personaggi secondari che, come accade nel primo film, daranno una mano ai nostri eroi a compiere la loro missione.
Analisi
Il film poteva incorrere nel pericoloso rischio di diventare un “Alla ricerca di Nemo 2”, con un plot troppo simile al primo per intenderci; invece è riuscito nell’intento di avere una propria personalità, pur appoggiandosi ad alcuni eventi ed alcuni escamotage narrativi appartenenti al capitolo precedente.
La tematica di fondo resta all’incirca la stessa: l’accettazione della diversità, non come handicap o come commiserazione dell’altro, ma come risorsa in più. Nel film precedente, infatti, Marlin impara come Nemo se la sia saputa cavare anche da solo e che proprio con l’aiuto di Dory (che soffre di perdita della memoria a breve termine) sia riuscito a superare le varie insidie dell’oceano e che era proprio lui a dover crescere mentalmente, acquisendo quel coraggio che i tragici eventi della vita gli avevano sottratto.
In Alla ricerca di Dory la tematica dell’handicap fisico e mentale viene maggiormente esaminata, ponendo come luogo centrale, un centro oceanografico di recupero animali; in più, lanciando un focus più marcato su Dory, inevitabilmente accade qualcosa che nel primo film si era vista solo verso il finale: non si ride più per la sua malattia. La sua perdita di memoria a breve termine, infatti, era uno dei fattori più comici del vecchio film e del personaggio stesso, caratteristica ben mantenuta in questo capitolo ma ben più evidenziata da ogni punto di vista. La perdita di memoria la portò a perdere i genitori ed anche il recupero di quest’ultimi finirà per essere qualcosa di troppo grande per lei. Il senso di smarrimento, di attonita percezione di perdita fisica e mentale è palpabile; il conseguente soffrire da parte di Dory aumenta sempre più fino a toccare il fondo.
I registi Stanton e MacLane sono stati molto abili nel gestire il personaggio, non solo da un punto di vista psicologico e registico, ma riuscendo a incastrare come un puzzle, alcuni eventi del nuovo film con quello vecchio, dando risposta ad alcune peculiarità della protagonista.
I personaggi secondari
La vera forza del film sono i personaggi secondari, buffi, poliedrici, bizzarri e con una buona dose di profondità psicologica. Senza la qualità di quest’ultimi il film probabilmente avrebbe perso un buon 40% di riuscita. A differenza del primo capitolo, ogni personaggio secondario ha una sua tridimensionalità grazie proprio agli handicap che si portano dietro.
Marlin e Nemo vengono accantonati e dunque tocca a questo nuovo gruppo di animali far da coro alle stravaganze di Dory.
I punti deboli
È pressoché inevitabile creare un sequel di un film tanto acclamato, senza cadere in qualche errore di paragone ma, nel caso specifico, si riducono a poche impefezioni, esattamente un paio:
1) La mancanza di un certo tipo di avventura narrativa che nel primo film è data dalla scoperta dei mari da parte di Marlin e Dory; la rappresentazione delle varie creature che li abitano e quel continuo “fuggire” da una situazione all’altra, da un personaggio all’altro, lo rendono un film estremamente dinamico e fantasioso. Nel caso di Alla ricerca di Dory questo aspetto viene meno a causa dell’ambiente decisamente ristretto in cui i personaggi si muovono (a volte anche con una facilità estrema), problema rattoppato grazie a Hank: polpo in grado di mimetizzarsi e muoversi al di fuori delle vasche; ed a tutti gli altri personaggi secondari.
2) Il meno rilevante dei problemi sta nell’aver sostanzialmente accantonato le figure di Nemo e Marlin che, essendo giunti ad un equilibrio, offrono pochi spunti narrativi, al di fuori di qualche gag più o meno riuscita.
In conclusione…
Alla ricerca di Dory non delude i fan del brand e della PIXAR, pur non essendo un film da grandi applausi, riesce nel suo intento, facendo ridere, piangere (i più sensibili) e divertire a 360°.
Personalmente non approvo questa continua politica basata sui remake, sequel, prequel, midquel e viadicendo ma su una cosa si può star certi: difficilmente la PIXAR delude lo spettatore.
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