Vanessa…
Ti ricordi il nostro primo incontro?
Sono vent’anni stasera.
Non ero il re del crimine, allora, no… Solo il capo di una
banda di ladruncoli. Ti portarono da me.
Come schiava.
I loro occhietti strabici da topi vedevano solo una
ragazzina di quindici anni, perduta, spaventata, smemorata.
Non si accorsero della tua grazia.. della profondità del
tuo spirito.
Ma io.. io vidi quello che sognavo da sempre.
Vidi.. una via di fuga.
Vanessa. Moglie mia. Amore mio.
Parlami, ti prego.
E poi un urlo disperato, e lo vediamo per la prima volta per come lo vedremo ritratto, in via eccezionale ed efficace, lungo tutta la breve opera: buffo e grottesco, insano e inerte.
PARLA!, urla il re del crimine alla moglie.
Ma non riceve nessuna risposta, e continua nel suo monologo interiore.
Delicato, pieno, ma spento.
Romantico, ma solitario.
È proprio Kingpin uno dei protagonisti della storia di cui tratteremo.
No, il motivo è un altro: la storia la fanno in due. Perfettamente in due. In perfetta simbiosi. Le due componenti non si disgiungono nemmeno un attimo: si avrà sempre, in ogni vignetta, la sensazione che chi scrive i testi abbia curato i disegni pure, che Miller abbia realizzato ogni particolare della parte illustrata dell’opera e invece no: abbiamo Sienkiewicz ed il suo inconfondibile stile a farci viaggiare tra fantasia e realtà urbane.
Attenzione: inconfondibile. Sì, perché nonostante il caro Bill – probabilmente più famoso per Elektra: Assassin – più che accostarsi alla maniera di raccontare tipica di Miller vi si immerga completamente e ne rispecchi ogni sussurro di dolce poesia o di scandita durezza, non lascia mai che il suo stile d’autore venga compromesso.
E qui voglio porre l’accento: la narrazione visiva di Sienkiewicz.
Raramente ho visto un autore interpretare e mostrare in disegno in modo così tangibile la psiche e le caratteristiche di un personaggio.
E così abbiamo un Kingpin infinitamente grasso e sempre corrucciato, col fumo che gli sporca gli occhi, che non sai se ridere per la sua forma o piangere per il suo contenuto.
E abbiamo le due donne, le “Elena” omeriche dell’opera – ovvero il motivo scatenante di tutta la vicenda – che ci appaiono come divine: due dee assorbite dal sonno, lontane dal mondo e desiderate dallo stesso, che cercano la pace e sono prigioniere del tumulto.
E ancora abbiamo un personaggio dai disturbi mentali evidenti del quale non troppo voglio dirvi, ma lasciate che vi consigli di porre particolare attenzione alle vignette in cui lui è presente: tutto cambia, e in un modo devastante entriamo nella sua testa.
Amore e Guerra è strabordante d’emozioni dietro quelle luci confuse e i confusi colori e la mania di un pazzo e il suo amore profondo commuovono dietro il sangue e i suoi deliri, e l’innocenza si lega alla morte in un sogno da coronarsi nella morte stessa – come possono le mani di un lettore non tremare tra le pagine e le vignette dopo tutto questo?
Miller e Sienkiewicz confezionano una perla del fumetto moderno che nelle sue sole 64 pagine è ciò che un fumetto che vada dalla buona all’ottima fattura – per arrivare poi al capolavoro – deve avere: personaggi che siano individui che godano d’una propria psiche e riescano quindi ad interessare il lettore senza forzature, tavole che “parlino da sole”, narrando già di per sé una storia autonoma, testi che approfondiscano i due punti appena esplicitati ed infine un’impeccabile coerenza tra premesse e conclusione, cosicché nessuno ne sia deluso ed anzi ne vi si possa meravigliare chiunque, che segua il diavolo urbano o la Marvel o il fumetto in genere o chi non ne segua proprio.
L’unico difetto che vi si può addurre è forse proprio la brevità: se è vero che Miller riesce a fare una sintesi del suo Devil con quest’opera, è vero anche che vien voglia d’aver più che una sintesi, dopo una lettura del genere, e vengon da porsi domande sulle conseguenze su Kingpin della vicenda o se una scelta più ad ampio respiro avesse potuto dare alla luce una storia ancor più memorabile di quanto sia questa.
Si sa, noi lettori di comics siamo incontentabili, e non voglio di certo essere io a spezzare questa regola.
È da precisare che questo “difetto” va ad intaccare semmai solo l’opera in sé, ma non l’operato complessivo di Miller sul personaggio di Devil.
Non sbilanciandomi e dando al proverbiale Cesare ciò che è del proverbiale Cesare, darei un 8 e mezzo senza troppe remore e lascio ai vostri commenti la parola.
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