Non posso nascondere che per me leggere un fumetto è principalmente voglia di evasione. Staccare un po’ la spina rispetto agli affanni della mia vita, alla complessità e allo stress della quotidianità. A volte, anche rispetto ai pensieri che si annidano nella mia testa. Ecco, leggere un fumetto o un romanzo, vuol dire spesso non pensare alle brutte cose di ogni giorno e navigare un po’ con la fantasia lontano da ciò che mi dà pena e pensiero.
Non sempre però. A volte, invece, può capitare di imbattermi in qualcosa che tocca le corde più intime e sensibili della mia memoria o della mia coscienza. Qualcosa che, al posto di portarmi altrove, riporta a galla tormenti e angosce solo apparentemente sopite, costringendomi a confrontarmi ancora una volta con il mio dolore.
Ecco, leggere PaperPaolo, di Marco e Giulio Rincione, ha avuto questo effetto su di me. E non perché racconti un’esperienza di vita dalla quale io sia passato, ma piuttosto perché racconta il dolore, la voglia di fuggire dalla realtà e l’ineluttabile incapacità di riuscirci, per quanto ci si sforzi in ogni modo. Singolare, come detto, che a farlo sia proprio un fumetto. Un fumetto dal quale ci si aspetterebbe tutt’altro. Un fumetto che racconta di Paperi solo apparentemente spensierati.
Con il loro primo volume, intitolato PaperUgo, i fratelli Rincione ci avevano già svelato quanto cruda può essere l’intima realtà di chi è costretto a recitare un ruolo che non gli compete, di chi ogni giorno si trova ad indossare una maschera di felicità per nascondere il vuoto che porta con sé. Stavolta, però, protagonista e narratore non coincidono più; e, a narrarci l’inquietudine e l’orrore che si cela dietro PaperPaolo, è la sua compagna di vita, costretta ad affrontare ogni giorno le conseguenze di un’esistenza forzata al fianco di chi si è rivelato essere assai diverso da quello che si aspettava.
Dietro una maschera di finto perbenismo, infatti, si nasconde l’agghiacciante verità dalla quale la voce narrante tenta in ogni modo di fuggire. Negare quella verità, quell’oggettiva realtà, è l’unico modo di sopravvivere. Anche se evidente, anche se davanti ai suoi occhi, la moglie di Paolo la rifuta incessantemente, tentando di non abbandonare l’unico appiglio che le impedisce di perdersi una volta per tutte. Per quanto inquietante e orribile sia la devianza del protagonista, non è quello il tema di questa storia. PaperPaolo non parla di pedofilia, ma piuttosto dell’incapacità di accettare lo squallore e il disagio della propria vita. Ciò che ci fa paura leggendo questo fumetto non sono i malsani pensieri del protagonista, l’oscenità dei suoi gesti e la depravazione dei suoi pensieri. Quello che ci impressiona è la non vita della sua compagna. E’ l’orrore della sua quotidianità.
Ancora una volta i Rincione ci raccontano la sostanza che sta dietro la forma, utilizzando nuovamente delle figure apparentemente familiari e inoffensive. Un Giulio particolarmente in forma costruisce delle tavole stilisticamente impeccabili, anche se stavolta sono i testi di Marco a sfiorare la perfezione. Lo sceneggiatore in questa occasione ci regala davvero una parte di se stesso, scrivendo delle didascalie solo apparentemente legate allo sviluppo delle tavole.
Ad una lettura più attenta, infatti, sembra quasi che testi e immagini siano in grado di andare per conto loro e che, le parole nei riquadri neri raccontino un dolore soltanto simile a quello della narratrice, ma non necessariamente il suo. Un espediente incredibilmente potente, in grado di colpire il lettore e di impegnarlo su più livelli di lettura, permettendo, ancora una volta la fruizione non solo di una storia, ma anche di una parte della sua/nostra coscienza.