Accolgo sempre con una discreta dose di sfiducia gli annunci dei vari remake/reboot da cui oggi – con la crisi d’idee che ha colpito buona parte degli sceneggiatori d’oltreoceano – veniamo regolarmente bersagliati. Per restare in ambito TV, Heroes dopo la staziante stagione 4 ha purtroppo fatto il suo ritorno con Heroes Reborn, superflop cancellato immantinente dopo solo una stagione (le recensioni negative me ne hanno tenuto bene alla larga), X-Files è tornato in questi giorni con una stagione 10 extra small (sole 6 puntate), Twin Peaks, Prison Break, e chissà cos’altro, torneranno a breve.
Ma X-Files è X-Files, cioè un mostro sacro della televisione. La (probabilmente ovvia) premessa è che il serial di Chris Carter non è stato solo l’humus che – prima ancora dell’era delle scie chimiche – ha fatto germogliare i complottisiti, più o meno trash, che impazzano oggi, ma anche una vera e propria rivoluzione per la TV. Twin Peaks ed X-Files, infatti, furono precursori nel portare il mistero ed il gore sul piccolo schermo e, per quanto X-Files avesse più la natura di un procedurale (un caso, o meglio un X-File, affrontato di puntata in puntata) fu quel sottile mistero di fondo mai del tutto risolto ed a sviluppo orizzontale che ne determinò il fandom e la longevità. Poi arrivò Lost ed il mistery in TV si aggiornò con un nuova struttura, più moderna e svelta e più simile all’impostazione cinematografica. Soprattutto per questo motivo, tornare oggi ad X-Files non era semplice, il linguaggio ed i tempi dei serial sono cambiati: vogliamo il binge watching, la trama a sviluppo orizzontale, i cliffhanger di fine episodio, i plot twist.
Chris Carter, invece, ha deciso di non snaturare il suo prodotto ed ha puntato principalmente sull’effetto nostalgia, una dichiarazione d’intenti palese già dalla sigla: la stessa di 16 anni fa. Poi ci sono i complotti del governo (governo che, chissà come mai, continua a far indagare l’FBI), il ritorno del vice direttore Skinner, i poster “I Want To Believe”, quel ritmo compassato e la verità… che è ancora là fuori e, dopo tutti questi anni, probabilmente si sarà beccata una polmonite.
E proprio questo è stato il principale punto a favore del ritorno all’universo di X-Files: rispettare ciò che è stato, senza stravolgere lo spirito dei tempi che furono. Anche se questa mossa potrebbe rivelarsi, a conti fatti, un’arma a doppio taglio: perché io nell’effetto nostaglia mi ci crogiolo, ma non so che presa possano avere avuto questi primi due episodi su chi è un verginello del franchise.
Al tempo stesso, però, alcune dinamiche si sarebbero dovute cambiare. Storicamente Scully recitava la parte della scettica della coppia e Mulder quello del don Chisciotte che inseguiva il complotto. Dopo averne viste di tutti i tipi e, soprattutto, dopo la scomparsa di Mulder, lo scetticismo di Scully era stato pressoché spazzato via e, per recitare la parte dell’incredulo, era stato inserito l’agente Doggett. Qui invece, quasi a voler reboottare anche le dinamiche tra Fox e Dana, sembra si sia tornati – almeno nelle prime battute – ad una Scully nuovamente incredula. E questo, assieme all’inspiegabile e frettoloso reintegro nell’FBI dopo un’ordinanza bim bum bam di primo livello, desta più di una perplessità. Perplessità che sono date anche dal reiterato uso delle solite frasi fatte (uno dei marchi di fabbrica del franchise) che, alla fin fine, risultano forzose strizzatone d’occhio acrobatiche ai fans.
Tra le novità funzionano sia lo youtuber complottista e danaroso Tad O’Malley (un Adam Kadmon meno folkloristico interpretato da Joel McHale, il Jeff di Community) che i ragazzini in perfetto stile X-Men del secondo episodio, ma l’elemento portante della serie è, ed è sempre stato, l’alchimia tra Mulder e Scully. Fu proprio l’addio di Mulder a far calare non poco l’entusiamo dei fan nelle ultime due stagioni della serie storica, nonostante il suo rimpiazzo Doggett (interpretato dall’attore Robert Patrick che fu il T-1000 di acciaio liquido in Terminator 2) non fosse affatto male. David Duchovny è sempre lo stesso e cioé piacevolmente inespressivo ma, non ho mai capito perché, mi ha sempre fatto un’enorme simpatia. Gillian Anderson, per contro, è invecchiata parecchio bene, come testimonia anche il suo recente ruolo da femme fatale in Hannibal. Il problema, però, è che tra i due non scorre tutto liscio come un tempo: i dialoghi stentano a decollare e, in certi frangenti, sembrano ridondanti omaggi ai tempi che furono. Speriamo debbano solo rompere il ghiaccio, anche se di tempo non ce n’è poi così tanto trattandosi di una mini di soli 6 episodi, una mossa che, a conti fatti, trovo estremamete intelligente. Sia per tastare la risposta del pubblico ma, soprattutto, perché pensare di proporre stagioni da 20-22 episodi oggi è anacronistico come il carosello (ed è uno dei principali difetti di serial come Arrow e Flash che diluiscono enormemente i tempi della narrazione riproponendo, fino allo sfinimento, sempre le stesse soluzioni narrative).
Quindi sì, un ritorno discretuccio e “confortevole” che mi lascia soddisfatto a metà ma, quel che è certo, è che quello che è andato in onda è incontrovertibilmente X-Files e, nonostante non mi si sia installata una scimmia urlatrice con un bongo sulla schiena, guarderò con piacere i restanti 4 episodi di questa mini.
Se anche voi credete che la vertià sia ancora là fuori al freddo e al gelo, vi ricordo l’ineluttabile like alla pagina Facebook più aliena dell’iternet. La mia:
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