Tecnicamente parlando: Shadowhunters

Dopo il poco fortunato adattamento cinematografico del 2013 (Shadowhunters: Città di Ossa), la saga urban fantasy di Cassandra Clare arriva sul piccolo schermo con una serie per teenagers prodotta da Freeform (ex ABC Family) e distribuita nel nostro paese da Netflix Italia.

Una prima stagione, composta da tredici episodi (fusione dei primi due romanzi: Città di Ossa e Città di Cenere), vedono la giovane Katherine McNamara interpretare Clarissa “Clary” Fray, ragazza newyorkese apparentemente normale, catapultata improvvisamente in un universo nascosto sotto la superficie del nostro: quello degli Shadowhunters. In realtà Clary non è affatto (ovviamente) una ragazza come le altre: è a sua volta una Shadowhunter, la cui madre custodisce “La coppa mortale”, oggetto arcano con il potere di trasformare i comuni mondani in altri Cacciatori di Ombre.
Uno Shadowhunter è, solitamente, un Nephilim: metà umano (o mondano) e metà angelo, il cui compito è cacciare i demoni che abitano il nostro mondo oppure, occasionalmente, altre creature leggendarie quali vampiri o licantropi, definiti comunemente Nascosti poiché mescolati con la popolazione umana del pianeta.

Messa così suona anche molto bene: il concept della serie funziona egregiamente presentando molte similitudini con il caro vecchio, amatissimo, Hellboy di Mike Mignola. Lo slogan del principale del film: ”Tutte le leggende sono vere” presenta una forte carica mitopoietica intrinseca volta riassumere in se l’intero corpus della narrazione fantastica contemporanea che, da un decennio, ha ripreso prepotentemente piede in ambito letterario, cinematografico e televisivo.

Di base Shadowhunters si presenta in una duplice veste diversa da molti altri prodotti “young adult”: da un lato troviamo una narrazione lineare che rivela al proprio interno un’organigramma antropologico dell’universo leggendario moderno di ascendenza anglossasone, ospitando un bignami su creature della notte, cori angelici e gerarchie infernali ordinate ed enumerate secondo la visione dell’occultismo inglese evolutasi dal seicento ad oggi. Dall’altro lato, è una storia di amore, perdite, scelte e sconfitte: un viaggio dell’eroe classico ed impeccabile che, nonostante la struttura narrativa secolare, è riuscito a conquistare milioni lettori in tutto il mondo con sei romanzi principali e tre volumi spin-off ambientati, casualmente, nella Londra Vittoriana, oltre ad un variegato corpus di racconti e fan fiction.

Ok, ma la serie?
La serie riporta indietro la televisione americana di, almeno, quindici anni: spero nessuno si ricordi l’imbarazzante “Mutant X” perché il livello tecnico è praticamente quello. Andando oltre lo spreco di una storia che, pur essendo per ragazzi, possiede un potenziale immenso anche solo nel concept, ci dobbiamo fermare obbligatoriamente ad analizzare la scelta degli attori ed i difetti di una sceneggiatura che, per mixare i romanzi riorganizzandoli, presenta nei dialoghi il proprio punto debole.

Gli autori speravano di appagare gli appassionati della saga gettando a casaccio frasi prese integralmente dalle pagine del romanzo, questo per farsi perdonare il rimaneggiamento della storia e dei character, purtroppo l’effetto non è stato dei migliori, trasformando gli scambi tra i personaggi in confusi momenti di botta e risposta dai toni piatti, volti ad esaltare la frase topica di turno, che risulta riconoscibile soltanto dall’appassionato venendo percepita dallo spettatore medio come casuale o addirittura fuori luogo.
Questo crea discontinuità, non solo dal punto di vista della narrazione, uccisa dai tempi morti degli scambi eccessivamente diluiti, ma anche della recitazione forzando gli attori, già di per se non molto espressivi, a farfugliare ripetendosi in maniera monotona per esaltare la frase letteraria del caso: questo trucco poteva essere carino ma fatto in questo modo non funziona.

Detto questo, la recitazione dei giovani attori non è poi così male ripensando alle performance della “Bella” protagonista di Twilight (attrice di cui non faremo il nome per scaramanzia) o all’orribile inizio di Colin Hanks in Roswell (attualmente reduce da una prima, strepitosa, stagione di Fargo), tutti attori giovani migliorati nel corso delle successive stagioni/pellicole (ok lei non è affatto migliorata ma è meglio sorvolare). Possiamo metterci il cuore in pace: dopo le agghiaccianti performance di Anna Paquin (attrice premio oscar) in True Blood e di Nina Dobrev in The Vampire Diaries, alla McNamara dobbiamo concedere il beneficio del dubbio in vista di un, potenziale, miglioramento.

Nota A: se la performance di Dominic Sherwood nei panni di Jace vi fa venire voglia di pestarlo di botte, purtroppo vuol dire che l’attore funziona essendo il personaggio una faccia da schiaffi anche nei romanzi.

Scavalchiamo il momento del triangolo amoroso, in questa sede non ne parleremo neanche. Andiamo invece a valutare scenografie e costumi che rientrano, qualitativamente, nella norma delle produzioni di genere rendendo omogeneo l’appeal della serie se non fosse per quella firma che rende inconfondibili fotografia e regia: McG che neanche qui smentisce la propria fama di pluricandidato e vincitore ai Razzie Awards. Talmente tamarro da non poter essere odiato, crediamo fermamente meriti di girare uno dei prossimi Fast & Furious per sfogare tutto il proprio nonsense registico (ben presente in Shadowhunters) popolato di luci trasversali belle quanto immotivate, movimenti di camera con stacchi sull’asse tipici dei videoclip musicali punk rock (seppur qui limitati dal budget televisivo) e continui passaggi d’ambiente per simulare piccoli piani sequenza.

Purtroppo signori miei, i Razzie di Shadowhunters vanno, indiscutibilmente, al comparto effetti speciali ed alle musiche e se queste ultime sono insignificanti, inesistenti, mosce e talmente monotone da fare apparire “Forever Young” una canzone da balera emiliana, il comparto VFX dovrebbe essere licenziato in tronco. Non solo le spade luminose, o “Lame angeliche”, impugnate dagli Shadowhunters, sia buoni che cattivi, si flettono ad ogni colpo dimostrando la loro scarsa fattura, degna del peggiore artigiano LARP, ma la disintegrazione dei demoni (teniamo a ricordare che nel romanzo basta un graffio di queste per uccidere una creatura immonda) è l’effetto peggiore dai tempi di Buffy Vampire Slayer.

Ci dispiace per Shadowhunters perché presenta del potenziale narrativo notevole, rovinato da una incompetenza tecnica ed una superficialità produttiva legata al propio target di riferimento. Sempre più spesso le buone storie vengono sprecate con produzioni deboli seguendo l’errato assunto che non valga la pena investire troppo o dettagliare un prodotto per ragazzi, preferendo invece, nel caso specifico, contare sul successo assicurato dalla solida base di consumer proveniente dal fandom dei romanzi.

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