NON APRITE QUEL FUMETTO: Agorafobia di D. Moccia e Fubi

Sì ok, lo so che cosa ci si aspetta da me in questa occasione. Sarebbe fin troppo facile deridere bimbipene ritardati che fanno i video nelle loro stanzette piene di gadget, che si riprendono con la uebcam mentre giocano alla pleisescion o recensiscono goffamente prodotti di consumo. Sarebbe facile perché sarebbe vero. Ma non in questo caso.

Sì, perché Dario Moccia, autore del fumetto che mi accingo a stroncare senza pietà, è molto molto di più di questo. E’ piuttosto il rappresentante principale di un movimento culturale (da lui stesso denominato Nerd Cultura) che ha portato tantissimi bambini e adolescenti ad approcciarsi all’universo del fumetto, dell’animazione e del videogioco con passione e, in alcuni casi, con maggiore cognizione. Se questo sia un bene o un male, non ve lo so dire; ma Moccia è indubbiamente molto bravo in quello che fa, creando contenuti di alto livello, rispetto alla stragrande maggioranza dei microcefali invorniti che si beccano di solito sul tubo.

Ma oggi non parliamo dei video di Moccia, del suo faccino simpatico o di quanto faccia ridere quando dice le parolacce in toscano. Oggi parliamo di Agorafobia, il suo primo lavoro come sceneggiatore di fumetti. Un lavoro che fa cagare come un panino con prugne secche e caramelle sugar free.

Agorafobia, scritto da Moccia e disegnato da Fubi, è pubblicato da Shockdom, una realtà editoriale cui va dato il merito di essere riuscita a ritagliarsi, in breve tempo, uno spazio importante in un settore attualmente così congestionato come quello del fumetto made in Italy. Tuttavia, non va taciuto come la stessa Shockdom sia riuscita nel suo intento imprenditoriale, anche e soprattutto grazie ai c.d. fenomeni del web; e cioè fumettisti, artisti e sceneggiatori che – in un modo o nell’altro – avevano raccolto consensi e pubblico attraverso l’internet. Nulla di male, intendiamoci. I gusti del pubblico vanno rispettati e approfonditi. Ma, dopo aver dato un’occhiata alla produzione di Shockdom, possiamo agevolmente affermare che successo, seguito e incassi non vanno necessariamente a braccetto con contenuti e qualità.

Ma torniamo ad Agorafobia – che altrimenti perdo il filo – e cerchiamo di capire se chi si intende di fumetti e ne parla con competenza è anche in grado di scriverne con buoni risultati. La risposta, almeno alla luce del fumetto in questione, è ASSOLUTAMENTE NO. Agorafobia è una storia pessima, scritta in modo puerile e superficiale e disegnata – a tratti – in modo imbarazzante. La storia intenderebbe parlare dell’ossessiva paura di trovarsi in spazi aperti; e di quelle che possono essere le cause e gli effetti del disturbo. Per farlo, Moccia ci introduce nella stanza del protagonista, nella quale questi passa ormai praticamente tutta la sua giornata. Le luci sono spente e il tempo è scandito unicamente dall’orologio del pc (perennemente acceso) e dal costante tremore della ferrovia vicina.

Attraverso le forzate riflessioni del protagonista, il lettore riesce a cogliere il suo disagio, la genesi della sua patologia e il suo cammino verso la convalescenza. Uno sviluppo narrativo che scade quasi immediatamente nella banalità, a causa del codice linguistico adottato e dell’epilogo eccessivamente ingenuo e idealista.

Tutta la storia è raccontata attraverso sequenze di gesti e pensieri, con una tecnica narrativa semplice e – almeno teoricamente – efficace. Il fatto è che poi, in pratica, tutto viene liquidato in modo superficiale, attraverso indotte riflessioni da cui non filtra alcun disagio reale, vissuto; quanto piuttosto un goffo e artefatto tentativo di rappresentare uno stato mentale assai più articolato di quello che traspare. Ed è proprio questa la stortura principale di Agorafobia: non è MAI un fumetto credibile. Non genera alcun tipo di empatia nei riguardi del protagonista, della sua storia o del suo stato mentale. Moccia dà quindi l’impressione di essere rimasto in superficie, di non aver voluto o potuto scavare in profondità, regalando al suo pubblico qualcosa di intimo e di personale.

Inoltre, come accennato, lo stile narrativo adottato risulta incredibilmente ridondante e superfetativo. Non a caso, uno dei difetti più macroscopici di questo fumetto è dato proprio dall’eccessivo livello di informazioni che l’autore ritiene utile fornire al lettore e che, invece, non avrebbero alcun bisogno di essere espresse in modo così esplicito. Attraverso i propri pensieri, il protagonista racconta il proprio stato d’animo, ma lo fa in maniera talmente artefatta e meccanica da apparire – anche qui – poco credibile. Inoltre il testo è infarcito di stucchevoli ovvietà, del tipo: “sono cascato dal letto” oppure “mi trovo steso sul pavimento”. A questo punto perché non aggiungere “ti ho fottuto quattro euro”? 

I disegni di Fubi sono la parte meno orribile di questo mediocre fumetto. La scelta del tratto sporco e delle inchiostrature pesanti si sposa bene con l’idea dell’atmosfera che, probabilmente, si intendeva dare al racconto. Peccato che il risultato finale non rispecchi neppure lontanamente le intenzioni iniziali (almeno spero che le intenzioni fossero diverse…). Pregevole è poi il lavoro ottenuto con l’accostamento del bianco e del nero che, almeno visivamente, suggerisce alcuni elementi e sensazioni che lo scrittore invece non è stato mai in grado di trasmettere. Alcune tavole, invece, sono realizzate in modo talmente misero e approssimativo da vanificare il lavoro di Fubi, riportando il tutto al mediocre livello della sceneggiatura.     

Sul prezzo del volume c’è poi molto da ridire, ma in questo caso non certo con Moccia, quanto piuttosto con la casa editrice che sceglie di puntare su un prezzo altissimo rispetto al valore del volume, evidentemente sicuri della forte fanbase dello youtuber. Un’operazione commerciale, più che artistica, che porta soldini nelle casse di Schockdom, ma che danneggia il lettore occasionale, che compra il volume a prescindere da chi l’abbia scritto.

In conclusione, pur comprendendo perfettamente le dinamiche commerciali di una simile scelta, rimango costernato da un così miserabile risultato. E’ chiaro che Sio, Moccia e Co. godano di un loro pubblico fidelizzato, capace di acquistare più o meno qualsiasi escremento da loro prodotto; ma, così facendo, sfruttando cioè la fidelizzazione altrui, prima o poi si corre il rischio di mettere in pericolo la propria.

Forse sarebbe il caso di dare maggior peso ai contenuti rispetto a chi li crea.

Se anche voi volete evitare di farvi spillare i soldini dal vostro portamonete dei pochemon, piazzate un bel like alla pagina Facebook del Trollo. Di solito sono molto meno noioso e dico molte più volgarità. Soprattutto contro di voi.

Condividi
Articoli Correlati
Leave a Comment