Ti è mai capitato di sentirti fuori posto? Pensare di non aver punti di contatto con il mondo circostante? Quell’inquietante sensazione di trovarsi in una realtà diversa rispetto agli altri, della quale solo tu hai la percezione, ma che è dannatamente reale – almeno per te – più di ogni altra cosa?
Paranoiæ di Giulio Rincione, edito da Shockdom, è uno spiraglio, crudo e realistico, sulla razione di squilibrio che è in ognuno di noi, sulla nostra capacità di individuarlo e di limitarlo o comunque di affrontarlo in qualche modo.
Il racconto ruota attorno ad un fulcro principale che è la paura. Quella paura del dolore che è più potente del dolore stesso e che rappresenta l’ostacolo più difficile da sormontare e, spesso, impossibile da superare. Sì, perché può capitare che la paura di soffrire ci impedisca di vivere, di affrontare la perdita, la mancanza e la solitudine, spingendoci ad estraniarci dalla realtà e a scavarci una nicchia senza dolore, nella quale ci illudiamo di non sentire più nulla.
La paura di non riuscire a tenere insieme i pezzi di quel momento perfetto, in cui tutto era come doveva essere e che avresti voluto non finisse mai più. Non rimane che pensare e ripensare a quelle emozioni, torturando se stessi, il proprio cuore, la propria anima, nel tentativo di ricreare artificialmente quel ricordo straziante e meraviglioso che senti scivolare via ineluttabilmente dalle tue mani. Poi, quando ti accorgi che quel momento è andato per sempre, puoi solo tentare di forzare la tua stessa percezione. Reiterare, reiterare, fino a creare un mondo perfetto nel quale sedare quel tuo maledetto dolore. Così da rincontrarsi di nuovo in quel meraviglioso giorno di sole.
Paranoiæ è una di quelle opere dalle quali è difficile estrapolare un significato univoco e, in questi casi, non va commesso l’errore di voler cogliere a tutti costi ogni singola sfumatura del testo. La storia, seppur semplicemente strutturata, è in grado di sfiorare corde diverse, a seconda del lettore che si imbatte in essa. Si tratta di un’opera in cui l’autore mette davvero se stesso e dunque il lettore deve abbandonare la pretesa di comprenderne a pieno ogni significato e vivere il racconto, raccogliendo da esso quello che gli arriva, quello che riesce a sentire proprio. Il grado di intimità col quale Rincione si è proposto in Paranoiæ, il fatto che l’autore abbia messo tanto di sé, fa sì che solo alcune cose riescano arrivare al lettore. Eppure, è quello stesso grado di intimità a far provare emozioni profonde a chi lo legge, nel momento stesso in cui si si imbatte in sensazioni ed emozioni da lui stesso provate e conosciute.
E’ evidente che in Paranoiæ ci sia tanto del proprio autore. Una deduzione apparentemente banale, ma che, in realtà, non è mai così scontata. E’ davvero difficile per un artista riuscire ad essere davvero sinceri e personali allo stesso tempo. C’è sempre, inevitabilmente, una sorta di muro invisibile, di barriera impenetrabile, che rende assai arduo il trasferimento di parte di sé, all’interno dell’opera. Ed è così che a volte non è sufficiente una buona storia o un’ottima sceneggiatura, perché, nonostante la presenza di questi elementi, il risultato potrebbe comunque apparire vuoto e sterile, impalpabile. E’ solo mettendo parte di se stessi che si è capaci di trasmettere forti emozioni come paura, angoscia, gioia, felicità. Una cosa che non si può imparare: o ce l’hai, oppure no.
Sebbene racchiuso in una bella edizione, Paranoiæ non è un volume per collezionisti dalle manine di velluto. E’ piuttosto un libro da leggere e da rileggere, allargando bene le pagine per poter ammirare l’arte del suo autore e per poter carpire, ogni volta che lo si sfoglia, un piccolo aspetto in più, un’emozione magari sfuggita nella foga della lettura precedente.
Must have.
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