Quando lessi la notizia di una sorta di “reboot” di Dylan Dog, ammetto che non ne fui particolarmente entusiasta. Col tempo cominciarono a trapelare sempre maggiori dettagli e alla fine si contestualizzò questa “ripartenza” con l’uscita in edicola (con la Gazzetta) di volumi contenenti le storie dei Color Fest, a cui si sarebbe aggiunto, appunto, il reboot de L’Alba dei Morti Viventi, primo storico albo di Dylan.
Alla sceneggiatura troviamo l’ormai onnipresente Roberto Recchioni, accompagnato dai disegni dell’eccelso Emiliano Mammucari. L’iniziativa editoriale non è delle peggiori, anzi: raccogliere in un formato più grande le storie dei Color Fest, in un bell’albo completamente a colori, con una qualità della carta e dell’impaginazione in generale molto buona, mi piace davvero come progetto editoriale. Magari per i lettori di vecchia data, che già conoscono quelle storie, non sarà chissà quale grande trovata (in fondo, noi quelle storie le abbiamo lette, no?), ma è un buon modo per avvicinare i soliti nuovi lettori al personaggio. Inoltre gli albi sono arricchiti da editoriali curati, con informazioni sugli autori (soffermandosi in particolar modo sui disegnatori). Fin qui tutto bene, direte voi. Ma non percepite un alone di “insoddisfazione” nelle mie parole?
Da cosa deriva questa delusione? Dal solito RRobe, più bravo a pubblicizzare le proprie storie che a scriverle. Mi spiace essere così drastico, ma permettetemi di citare il buon Paolo Villaggio quando dico con tutta sincerità che il #1 de I colori della paura (questo il nome della collana da edicola) “è una cagata pazzesca”. 31 pagine di vuoto pneumatico, dialoghi davvero scritti col… male, diciamo male dai. Il personaggio di Dylan è ridotto ad una triste macchietta, in questo albo non succede nulla, non ci troviamo dinanzi ad una reinvenzione del primo numero di DYD, stiamo semplicemente leggendo una commercialata. Il narratore della storia è la famosa custodia del clarinetto di Dylan, quella che contiene una bomba e che salverà il nostro eroe dalle grinfie di Xabaras. Davvero? La custodia del clarinetto? Davvero?
Quello che però mi deprime in modo ancora più devastante è che i disegni di Mammucari sono eccezionali. Dinamici, con uno storytelling che riesce, in alcuni punti della narrazione, a salvare la raffazzonata scrittura del suo collega, ma che è vittima di una storia pessima, una reinvenzione che non c’è, che è semplice accozzaglia di avvenimenti, magistralmente disegnati. Insomma, mi dispiace davvero vedere Mammucari impiegato per questo albo. La mia non è una critica a Recchioni fatta a prescindere, sto anzi apprezzando molto il lavoro che sta svolgendo su Orfani (e anche il numero di Luglio è stato straordinario), ma questo continuo rigirare il coltello nella ferita lo trovo ormai accanimento terapeutico. Qua non si sta migliorando Dylan Dog, si stanno cercando mille soluzioni inefficaci per tenerlo in vita.
E allora mi chiedo se l’indagatore dell’incubo non abbia bisogno di un vero reboot, magari “cronologico”, in cui ci vengono mostrate le vicende riguardanti il giovane Dylan del passato, fino a quando non è arrivato ai giorni nostri, per poi mostrarci un Dylan poliziotto a Scotland Yard. Quella che manca è la volontà di azzardare qualcosa: non basta sfondare la quarta parete, non basta inserire linguaggio meta fumettistico, non basta aggiornare il parco dei personaggi per rinverdire questo tassello fondamentale della nostra cultura, ci vogliono idee. E, onestamente, ad un anno quasi dalla famosa “nuova vita” di Dylan Dog, ho visto molte poche idee. Con questa amara recensione è tutto. Vi invito comunque a seguire il progetto I colori della paura perché molte delle storie del Color Fest sono stupende ed indimenticabili, quindi il prosieguo dell’opera è promettente. Noi ci rileggiamo prossimamente.
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