Big Damn Thank God Is Wednesday 12

Nel 1978 John Milius dedicava una sua grande opera cinematografica al mondo del Surf chiamandola “Big Wednesday“, qui in Italia “Un Mercoledì Da Leoni“. È proprio riallacciandoci a quel capolavoro cinematografico che Big Damn Thank God Is Wednesday 12 vi introduce a percorrere una settimana fumettistica che ha dell’incredibile: da troppo tempo mancava una giornata così satura di hype per la quantità di uscite così importanti.
Per tutti gli appassionati di Comics del mondo, questo è stato Un Mercoledì Da Leoni. Cominciamo!


Batman #40 di Snyder/Capullo
Reckoning

 

Maestoso. Drammatico. Epico. Intimo. Questo è Batman, così dev’esser scritto.
Perché, come ci ricorda Scott Snyder proprio in quest’ultimo numero della saga Endgame, la storia di Batman è una tragedia e questa in particolare sarà ricordata davvero per tanto tempo. Al pubblico era stato promesso un finale scioccante, un evento che sarebbe finito di diritto nel Mythos Batmaniano per restarci a lungo: ebbene, così è stato. Tipiche delle tragedie sono la brutalità, la violenza, l’intensità, la profondità e Batman #40 racchiude tutte queste peculiarità, trafiggendo il cuore del lettore aprendo al suo interno una voragine di vuoto, quella sensazione che si ha dopo aver terminato la fruizione di un’opera che ha toccato determinate corde del tuo animo e che sai bene rimarrà dentro di te per moltissimo tempo.
La Trilogia Del Joker è finita. Lunga vita al Giullare.

 

Il conflitto finale tra lo Yin e lo Yang di Gotham City è tanto brutale, fisico, impetuoso e raccapricciante, quanto intimo, maturo e introspettivo. Tra i numerosi faccia a faccia tra il Joker e Batman, questo è sicuramente uno tra i più impressionanti: non è più il tempo delle risate e dei giochi mentali, delle dichiarazioni d’amore e d’odio reciproche. La contorta danza macabra delle due figure in contrapposizione più famose dei fumetti è giunta al termine. Il merito di Scott Snyder è quello di mantenere costantemente viva questa sensazione, quella di aver in mano il capitolo finale della perversa storia secolare che coinvolge il Giullare e il suo Re.

E vi prego, non venite a dirmi quanto questa storia sia solo una delle tante, un’ennesima battaglia tra Joker e Batman come mille altre che verrà dimenticata o magari retconata, perché, così come non vi godrete questa meraviglia, sarete destinati a non godervi un c***o di niente continuando a leggere supereroistico. 

La resa della brutalità e dell’orrore nel conflitto tra i due protagonisti è merito del team artistico Greg Capullo/Plascencia: stratosferici. È incredibile il livello di dettaglio che ogni singola vignetta presenta, un dettaglio non fine a sé stesso ma che coadiuva la potenza e l’intensità della battaglia tra i due, un confronto che graficamente rimarrà nella storia di Batman per sempre. Le briglie sono state sciolte e i protagonisti, ricoperti di sangue, si muovono l’uno contro l’altro in maniera dinamica a tal punto da poter sentire il dolore che ogni singolo colpo scorretto provoca in entrambi. I tocchi di genio restano il grande sorriso sulla schiena di Batman, tracciato con due pugnali ed un taglio ricurvo, e la splendida citazione ad un’altra battaglia storica, quella de Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro. La rappresentazione del cupo setting, le caverne sotterranee di Gotham City, è claustrofobica a tal punto da elevare il senso di vicinanza che c’è tra i due combattenti. In tutto questo si percepisce quanto in tutta la storyline, sia nel comparto artistico che in quello di sceneggiatura, niente sia lasciato al caso.

 

Batman #40 si apre all’esterno, dove si sta svolgendo la perversa parata del Clown Del Crimine. Gotham è brillante, spaventosamente sgargiante. In questo Baccanale, la Bat-Famiglia al completo e i Villain della città fanno fronte comune ed è proprio in queste prime pagine l’autore regala una gradita sorpresa che aggiunge ulteriore Pathos a questa issue. Ciò che rende ancora più potente lo script di Snyder è la riflessione finale su Batman che Alfred espone a sua figlia Julia, una speculazione sul ruolo del Pipistrello e sul suo comportamento nei confronti di un tema presente dagli albori della sua storia. Una chiave di lettura interessante e coerente.

Questa è la fine ma contemporaneamente non è tale, per fortuna. La nuova era del Cavaliere Oscuro sta per iniziare e, per quanto la sfiducia e lo sdegno siano onnipresenti per ciò che si è intravisto nel futuro di Batman, io mi rivolgo personalmente a Scott Snyder e Greg Capullo: i lettori non saranno mai contenti, bramano il cambiamento ma da esso sono spaventati. Voi continuate per la vostra strada, state andando alla grande.

 

Fantastic Four #645 – Robinson/Kirk
Together We Rise

 

Con il ritorno alla numerazione originale, quattro mesi fa si è aperta The End Is FourEver, l’ultima saga della prima famiglia supereroistica del Marvel Universe. I Fantastici Quattro ottengono il lieto fine che meritano, una celebrazione doverosa che indugia sugli aspetti più recenti della loro storia e che ricorda a tutti quanto grande può essere un concetto vetusto come quello che i quattro eroi rappresentano. The Quiet Man, il Villain manipolatore creato da James Robinson per l’occasione, sta tentando di demolire Reed, Sue, Johnny, Ben e gli altri innumerevoli familiari, grazie all’arrivo sulla terra dei distorti eroi provenienti dall’universo di Heroes Reborn.

Robinson rende omaggio ai quattro beniamini, mostrando ognuno di essi al meglio delle loro possibilità: l’ingegno di Reed Richards nell’individuare la falla nel piano di The Quiet Man, la forza di volontà di Sue Storm nel resistere a Psycho-Man e alle sue macchinazioni mentali, la bizzarria e la tenacia di Ben Grimm nel suo stravagante team-up con i Frightfoul Four e l’audacia di Johnny Storm nel suo continuare a combattere nonostante i suoi poteri siano da tempo svaniti. Nel conflitto e nella caotica battaglia, sono i Fantastici Quattro a spiccare in tutto il loro splendore, com’è giusto che sia. E non è solo l’eroismo puro ed incondizionato a farli brillare: Robinson mette in mostra l’amore che lega l’intera famiglia, estrinsecandolo nei rapporti di puro affetto che intercorrono tra Reed, Sue e i loro due figli, Valeria e Franklin Richards. Grazie a Robinson, i personaggi ci danno il loro addio meravigliosamente.

 

La storyline iniziata diciotto numeri fa si chiude perfettamente, in maniera semplice, lineare e coerente: non ci sono punti morti, non c’è decompressione, i personaggio muovono la trama proprio dove essa doveva arrivare e sono sempre loro ad essere il fulcro della narrazione. Proprio lo storytelling generale è di ottima qualità grazie anche ad un Leonard Kirk in stato di grazia: il suo fulgido caos è ritratto con una pulizia magistrale, una gioia per gli occhi. Elegante e stilizzato, coeso, capace di risultare espressivo senza indugiare su dettagli inutili. 

In coda all’ultimo capitolo di The End Is FourEver troviamo una serie di Backup-stories che concentrano la loro attenzione sui singoli personaggi e sull’aftermath dell’enorme battaglia svoltasi a New York. Se i tre racconti su Sue e Franklin, Johnny e Ben mantengono una qualità discreta, è l’ultima storia di Jeff Parker a colpire nel segno con un sintetico omaggio ad uno dei rapporti Padre-Figlia più coinvolgenti dei comics, quello tra Reed Richards e Valeria. Un’ennesima dimostrazioni dell’anima palpabile che questi personaggi posseggono e di quanto sia necessario render loro giustizia dopo il pessimo trattamento ricevuto dalla Marvel in quest’ultimo periodo.

 

Nonostante le ragioni di questa pausa, perché sappiamo benissimo che è di una pausa che si tratta, facciano storcere un po’ il naso, Fantastic Four #645 resta un magnifico tributo apprezzabile sia per i veterani della famiglia Richards che per i nuovi lettori che hanno avuro poco a che fare con questi personaggi. Le backup-stories non saranno altro che uno spunto proprio per coloro che, letta questa breve run, vorranno esplorare il loro mondo più approfonditamente. Tornate indietro, tutti, e riscoprite i Fantastici Quattro.

 


The Multiversity #2 – Morrison/Reis
The Mighty Falls?

 

Una caratteristica tipica delle storie scritte da Grant Morrison è spesso un finale che non regge il peso delle aspettative da lui stesso impostate. Raramente ci è capitato di leggere una chiusura pessima, stiamo pur sempre parlando di un pilastro del mondo fumettistico, ma sovente le sue ultime battute su una storia lasciano desiderare pensando quanto più grande e magnifica poteva essere la parola Fine. The Multiversity #2 rispecchia questo stilema tipicamente Morrisoniano e commette un mezzo passo falso nella sceneggiatura di questo comunque epico e significativo finale che però sfigura se paragonato a qualsiasi altra issue della serie.

Peculiarità dell’intera epopea è stata quella di toccare il mondo del fumetto direttamente dall’interno: Morrison non si risparmia nella meta-narrazione per commentare quanto gli eventi DC Comics, le cosiddette Crisi, non siano altro che un metodo costante e ciclico per riavvolgere un nastro che comunque continuerà ad esser trasmesso. È proprio tramite The Multiversity #2 che racconta quella che è una vera e propria Crisi, una probabile fine del Multiverso conosciuto che in realtà si rivela un nuovo inizio, un pilastro che Morrison stesso vorrebbe fosse la base per storie DC Comics del futuro. Nel mondo del fumetto supereroistico non esiste la parola fine e Grant non fa altro che sottolinearlo, ma la domanda sorge spontanea: quanto di tutto questo è meta-critica? A che punto il genio termina e inizia la sottile presa per i fondelli? Perché The Multiversity #2 non solo subdolamente accenna a questo perverso ma naturale meccanismo del mondo dei comics supereroistici ma sembra entrare a farne parte direttamente, in maniera piuttosto esplicita.

Ai posteri l’ardua sentenza.

 

Immensa è comunque l’abilità nel muovere quasi alla perfezione centinaia, letteralmente centinaia di personaggi sulle pagine di The Multiversity #2: Grant Morrison è un burattinaio talentuoso, un autore completo e abile che sa di esserlo e non risparmia esagerazioni gestite comunque al meglio delle sue possibilità. Rileggere la issue vi sbalordirà sia per la quantità di personaggi in movimento, sia per la perfetta caratterizzazione di essi. Il mattatore, a mio parere, resta Captain Carrot: è evidente quanto Morrison si diverta a scriverlo ed è di conseguenza un piacere immenso leggere quanto surreale e contemporaneamente coerente con il Caos circostante esso sia.

Quello che manca a The Multiversity #2 è il carisma, il fascino e la carica emotiva che tutte le one-shots uscite negli scorsi mesi emanavano da ogni pagina. Il motivo di questa pecca giace proprio nell’intrinseca natura di questa issue, vittima prima di tutto di se stessa: nel bene o nel male, The Multiversity #2 è pur sempre un crossover e come tale resta ancorato ai canoni tipici di quei megaventi che lo stesso Morrison cita in questo finale di serie. Emotivamente distaccato, non eccessivamente coinvolgente, frenetico a tal punto da giungere ad una conclusione non pienamente soddisfacente, fondamentalmente una oversized issue piena di botte da orbi. Perciò, come nello scorso TGIW, citiamo ancora una volta Ed Brubaker con “…even the best crossover is still a crossover”.

 

Ivan Reis probabilmente svolge la miglior prova della sua carriera di disegnatore con The Multiversity #2: ancor più di Morrison è lui quello che riesce a gestire al meglio la mole di personaggi in movimento sulle pagine della issue e a fornire uno storytelling artistico di qualità inimmaginabile. L’imprinting è ovviamente quello del grande Blockbuster fumettistico ma stavolta quest’affermazione ha tutto ciò che di positivo essa può portare, senza nessun lato negativo ad accompagnarla. Un orgasmo visivo.

The Multiversity #2 è una buona conclusione, sottotono rispetto alle altre issue della serie ma comunque valida e di qualità. Nonostante spesso non riesca a reggere il suo stesso peso, riesce a non rovinare completamente il meraviglioso lavoro svolto nel corso degli scorsi mesi, a risultare godibile e a lasciare il lettore con interrogativi interessanti. Se era questo l’obiettivo di Grant Morrison possiamo tranquillamente dire che lo ha raggiunto.

 

Justice League #40 – Johns/Maguire/Jimenez/Jurgens/Ordway/Kolins/Fabook/Lee
Metron

 

Justice League #40 di Geoff Johns è un paradosso: la run sugli eroi più potenti della terra partita con l’inizio del New52 è sempre stata terribilmente altalenante, abissi di noia intervallati da numeri discreti ma mai esaltanti. Con un background di questo genere e le premesse che intrinsecamente potevano far presagire un bypassabile filler, personalmente mi aspettavo una issue mediocre ma così non è stato. Reduce dalla relativamente recente lettura di un prologo che definire deludente sarebbe fargli un complimento (sì Convergence #0, sto guardando proprio te) ero pronto ad una ventina di pagine inutili, un semplice reminder dell’imminente Darkseid War con tutto da rimandare al #41 in cui essa inizierà realmente. Invece Justice League #40 svolge il suo compito da preludio nel migliore dei modi, costruendo le fondamenta della storia che verrà e mostrando quali sono gli scopi e le motivazioni che muovono i due principali antagonisti, Anti-Monitor e Darkseid. 

Metron, protagonista di questa issue, ci accompagna in un viaggio che ripercorre gli eventi più importanti del DC Universe, accennando anche allo stesso Convergence ancora in corso, e si mostra al lettore come un semplice osservatore. La forza di questo recap sta nell’agglomerare i decenni di storia editoriale DC, fatta di numerosi reboot e innumerevoli retcon, usandoli per narrare un storia in maniera brillante e mai noiosa. In queGresto lungo ed affascinante monologo si riesce ad intravedere il Geoff Johns talentuoso e creativo della colossale run su Green Lantern e questo non può che far ben sperare nel futuro di questa storyline. Dopo la sorpresa nell’ultima pagina di Forever Evil #7, ricompare sulle pagine di Justice League #40 l’Anti-Monitor. È qui, nelle ultime battute di questa issue che Darkseid War inizia a muoversi ed il setup proposto è incredibilmente promettente.

 

La grande quantità di artisti presente su Justice League #40 non mina la coesione della sceneggiatura, donando invece alla issue una validità grafica non indifferente. Tra tutti però spicca Kevin Maguire, storico artista della JLI targata Giffen&DeMatteis, autore delle prime nove pagine di JL#40. I restanti disegnatori non sfigurano: Jimenez e la sua splash-page risalente alla Crisi Sulle Terre Infinite e la rappresentazione dell’universo Flashpoint di Scott Kolins sono i due esempi maggiori di come le differenti rappresentazioni artistiche dell’universo DC si amalgamano alla perfezione. Persino Jim Lee, matita delle ultime pagine che raffigurano il dialogo tra Metron e Anti-Monitor, riesce a brillare nonostante il pessimo periodo artistico che sta passando negli ultimi anni.

Justice League #40 è un prologo solido, una delle migliori issue dell’intera serie e un promettente inizio per quella che sarà la prossima importante saga del DC Universe. Geoff Johns gioca bene le sue carte, dimostrandosi finalmente dopo troppo tempo uno scrittore capace e in grado di gestire trame di ottima qualità.

 

Secret Avengers #15 – Kot/Walsh
Tlön, Uqbar, Orbis Tertius

 

La storia, come suo solito, si ripete ed anche il mondo dei fumetti non è esente da questo assioma. Precisamente nell’aprile del 2009, Jonathan Hickman scriveva Secret Warriors, una serie che probabilmente nessuno ricorderà come ricorda House Of M, Assedio o altri titoli più blasonati, ma che nella lettura è rimasta impressa a tutti coloro che l’hanno seguita. Nel Maggio del 2015 iniziava il terzo volume di Secret Avengers: alla guida della testata c’erano Ales Kot, lo scrittore più promettente dell’attuale mondo dei comics, e Michael Walsh. Così come Secret Warriors è passata inosservata, anche Secret Avengers non ha avuto la stessa visibilità che titoli come Avengers e New Avengers hanno avuto ma questo non è importante, la vera bellezza è silenziosa. 

Secret Avengers è stata la serie più visionaria, coinvolgente, intelligente, emotiva ed emozionante degli ultimi quindici mesi. La chiusura con questo #15 non ha bisogno di fare rumore per farsi sentire: una volta terminato e risolto il fulcro della storyline iniziata in Secret Avengers #1 e sviluppatasi successivamente per tutta la serie, Ales Kot focalizza la sua attenzione sui protagonisti e sulle conseguenze che questa surreale odissea ha avuto su di loro. Ben conscio di quanto poco gli eventi apocalittici appena accaduti possano avere risonanza in un contesto generale, è nell’intimo di Maria Hill, Clint Barton, Nick Fury Jr, Phil Coulson, Natasha Romanova, Jessica Drew e M.O.D.O.K. che l’autore decide di scavare per raggiungere un climax emotivo inimmaginabile.

 

Le interazioni finali tra i personaggi mantengono perennemente quel mix di humor e serietà incredibilmente appassionante e questo forte attaccamento empatico ai protagonisti è dovuto anche ad un formidabile Michael Walsh. Nelle tavole di questo artista i personaggi non sono mai stati così vivi e dinamici: l’ampio spettro di espressioni facciali che essi presentano è talmente perfetto da poter consigliare la lettura di questa serie anche solo per questo motivo. I piccoli momenti come un dialogo catartico tra due personaggi sono dipinti meravigliosamente tanto quanto l’attacco di un surreale mostro Lovecraftiano e in entrambi è comunque presente lo stesso elevato grado di emotività ed energia. 

La splendida combinazione tra le intricate trame e la perfetta caratterizzazione dei personaggi di Ales Kot e il magistrale lavoro di design compiuto da Michael Walsh ha portato Secret Avengers a ricavarsi, proprio come fece ai suoi tempi Secret Warriors, un posto speciale nel cuore di tutti coloro che l’hanno seguita. Il focus sull’umanità dei personaggi posto al di sopra della storyline stessa, miscelato con una buona quantità di surreale azione supereroistica ha reso questa piccola serie una perla nel panorama fumettistico di quest’anno.

 

New Avengers #33 – Hickman/Deodato Jr
Everything Dies – Part One

 

Siamo giunti al termine del cammino Vendicativo di Jonathan Hickman. New Avengers #33 è la prima parte di questo finale che prelude al mega-crossover estivo Secret Wars e l’autore si diletta a spiegarci precisamente cosa è accaduto “dietro le quinte” del rapporto tra Rabum Alal a.k.a. Dr Doom e Molecule Man più il motivo per cui quest’ultimo sembra esser coinvolto negli eventi delle Incursioni. Nonostante la issue sia prettamente divulgativa, l’aiuto che fornisce alla maggiore comprensione del quadro generale è fondamentale.

Impressionante in New Avengers #33 è come Hickman riesce ad incastrare coerentemente Molecule Man nella sua intricata trama ad ampio respiro, congiungendolo alle sottotrame che coinvolgono Beyonders e lo stesso Dr Doom. Quest’ultimo personaggio è il mattatore della issue, scritto con magniloquenza ed arroganza memorabile da Jonathan Hickman. Dimostrazione della sua presunta superiorità è la sua parlantina ampollosa e regale, emblema della sua altezzosità. L’utilizzo di metafore e ripetizioni ritmiche negli scambi di battute tra Dr Doom e Molecule Man dono ad una issue il cui unico evento è questo dialogo un tono epico e decadente, quasi barocco. Le ultime pagine di New Avengers #33 corroborano ulteriormente il nichilismo imperante che sin dall’inizio ruota attorno a questa serie, sin dalla primissima frase pronunciata da Reed Richards in New Avengers #1: Everything Dies. Una desolante e fenomenale sequenza finale chiude la serie, facendo quadrare il cerchio alla perfezione.

 

Mike Deodato Jr in New Avengers #33 non riesce a chiudere in bellezza la sua ennesima esperienza con il mondo Vendicativo. Se la rappresentazione apocalittica del cosmo, un enorme spazio oscuro e terrificante, mantiene quell’atmosfera di costante tensione, suspense e disagio verso l’ignoto, il volto di Molecule Man nel dialogo con il Dr Doom risulta spesso vuoto, carente nelle espressività. D’altro canto, lo stesso Dr Doom è invece perfetto nell’ergersi in tutta la sua aggressiva imponenza trasudante arroganza. Il colpo d’occhio generale è comunque di qualità ma la caratterizzazione estetica piuttosto spenta di Molecule Man in parte mina la godibilità di un dialogo che resta comunque grandioso.

La sensazione di orripilante magnificenza che pervade New Avengers #33 è il perfetto preludio alle future vicende del Crossover Secret Wars. La storyline iniziata da Jonathan Hickman sin dall’inizio del Marvel NOW! si è rivelata una delle più solide del panorama fumettistico degli ultimi anni ed ha portato una ventata d’aria fresca in un Mondo Avengers che da tempo sembrava non aver più ispirazione.

 

Avengers #44 – Hickman/Walker/Caselli
Everything Dies – Part Two: One Was Life, One Was Death

 

Avengers #44 segna la fine dell’era Jonathan Hickman sulle testate Vendicative regolari e, così come in New Avengers #33, anche qui tutto si chiude in maniera perfetta, esattamente com’era cominciato nel primissimo numero della run di Hickman, con due uomini: uno era vita e l’altro era morte. L’anacronismo per eccellenza si scontra contro l’uomo del futuro in una battaglia fisica ed ideologica che chiude brutalmente un percorso durato più di due anni, per aprire le porte alla catastrofica guerra che verrà. L’ultima Incursione è giunta sulla terra.

Quasi tutta la issue pone la sua attenzione sul rapporto tra Steve Rogers e Tony Stark e sul loro incontro. Da un’accesa discussione in una tavola calda, uno di fronte all’altro, tutto si complica e si fa strada la brutalità dello scontro tra i due personaggi. Le menzogne di Tony Stark sulla fallibilità dei suoi piani, sull’idea della Avengers Machine e del “We Have To Get Bigger” si scontrano con il pragmatismo di Steve Rogers e la sua volontà nel voler far ammettere quelle stesse bugie. Il pathos del conflitto è aumentato dalla scelta di intervallare la battaglia tra i due con numerosi pannelli provenienti da Avengers #1, quando la Macchina era ancora in partenza e il suo nucleo era coeso. La issue pone anche uno sguardo sugli ultimi due universi rimasti ancora in vita e sulle due menti che stanno organizzando un piano per la sopravvivenza della loro terra: Reed Richards e gli Avengers e la sua controparte Ultimate più la Cabala proveniente da Terra-616. Jonathan Hickman scrive alla perfezione i due personaggi, evidenziandone le differenze e dimostrando il suo immenso amore per il personaggio di Reed, già scritto in precedenza in entrambi gli universi coinvolti.

 

Kev Walker e Stefano Caselli si alternano in Avengers #44, compiendo un ottimo lavoro ma mostrando uno dei più grossi difetti di tutta la run Vendicativa di Jonathan Hickman: l’inconsistenza grafica e la mancanza di continuità artistica. Pur essendo due frequenti collaboratori dell’autore, balza subito all’occhio la diversità dei due stili che spesso non si amalgamano bene tra loro. Il tratto ruvido e rozzo di Walker mal si sposa con la matita pulita e quasi fotorealistica di Caselli e quella sensazione di mancata coesione generale aleggia su tutta la issue. Nonostante tutto questa pecca artistica, per fortuna, non grava a tal punto da abbassare la qualità complessiva di Avengers #44.

Le idee di Hickman, presenti in ogni sua opera del Marvel Universe, giungono a collidere tutte in questa issue finale della sua serie di Avengers, aprendo le porte a Secret Wars. Le premesse per un evento come non se n’erano mai visti ci sono tutte e l’hype è alle stelle. La conclusione della personale apocalisse Marvel di Jonathan Hickman è ad una settimana di distanza. Epico, coinvolgente, intelligente. Questo è Avengers #44.

E chiudiamo così il Mercoledì da Leoni e per questo articolo niente Convergence. Lo ritroveremo, assieme a tutto il resto, nel prossimo appuntamento con Thank God Is Wednesday.
A breve (si spera) arriverà una recensione su una nuova pubblicazione Bao! Hasta la Vista!

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