Thank God Is Wednesday è tornato!
La triste e mesta vita dello studente universitario è in conflitto con le millemila recensioni che vorrei fare perciò questa settimana dovrete accontentarvi di un articolo un pelino più stringato. Ciancio alle bande, partiamo subito!
The Multiversity: Ultra Comics #1 – Morrison/Mahnke
Living Comic Book
Appena cominciato, il fumetto si apre con una sequenza di circa tre pagine in cui Ultra Comics si rivolge disperatamente al lettore: proviene dal futuro, precisamente 38 pagine nel futuro, e ci intima di tornare indietro, di non continuare con la lettura di questo fumetto maledetto. Tutto ciò che viene dopo è probabilmente la più grande opera metatestuale che Grant Morrison abbia mai scritto e che il mondo supereroistico abbia mai visto: l’autore punta il dito verso il lettore, proponendogli un terrificante racconto che si presta a svariati livelli di interpretazione. Da sempre Morrison, a partire dai suoi Animal Man e Superman Beyond, adora giocare su quella linea sfumata tra finzione e realtà ma Ultra Comics è sicuramente il suo lavoro più audace.
La genialità di quest’opera è riconoscibile sin da subito: il protagonista, Ultra Comics, è il frutto di una contorta inversione di pensiero in cui non è più l’essere umano che, partendo dalla realtà, plasma il fumetto a sua immagine e somiglianza. Nel disturbante laboratorio presentatoci nelle prime pagine è l’opera stessa ad imporre la sua volontà sulla realtà generando Ultra Comics, un eroe composto da Cellulosa e Carbonio il codice comportamentale corrisponde a “Golden Age With Modern Inclusive“. Mentre la storia procede la natura di “Fumetto Vivente” si rafforza sempre di più, esemplare è il cambiamento dei balloon dei pensieri del protagonista che mutano nei tipici riquadri per volontà stessa di Ultra Comics, per non risultare troppo datato.
Morrison va oltre e si diletta nella scrittura di una sceneggiatura che non risparmia nessuno: attraverso quest’avventura metatestuale l’autore esplora la natura del fumetto inteso come arte, colpendo dritto in fronte con un colpo di pistola la natura contorta dei fandom e il criticismo che la nona arte spesso è costretta a subire. Il Comic stesso inteso come media viene analizzato e giudicato negativamente grazie a The Gentry, il villain della serie: i fumetti ci rendono schiavi, sono Vampiri che succhiano via tempo ed energia spesso con storie vuote e nonsense proprio come le numerose frasi senza senso che pronuncia la Justice League Vampirica presenta in questo numero. E al centro di tutto questo ci siamo noi, i lettori, veri protagonisti di Ultra Comics.
Dough Mahnke è perfetto nel rappresentare l’ideale di supereroismo che rappresenta Ultra Comics: esteticamente ritrae un adone perfetto dalla testa ai piedi che in movimento ripropone costantemente le varie pose tipicamente supereroistiche. Perfetta l’integrazione con la sceneggiatura Morrisoniana e fenomenale la capacità di rappresentare momenti incredibilmente inquietanti e spaventosi. Il livello di dettaglio tipico di Mahnke è un ulteriore strumento a disposizione della storia, spesso claustrofobico e perciò abile nel mantenere il lettore intrappolato nella issue.
È possibile leggere The Multiversity: Ultra Comics #1 come fosse un normalissimo fumetto seriale, sfogliare distrattamente le pagine della issue per godersi una bislacca avventura caotica ma sarebbe uno spreco, una inutile perdita di tempo. Leggendo Ultra Comics ci accorgiamo di quanto siamo in trappola, di quanto il Fumetto stesso che stiamo tenendo in mano sia più consapevole della sua natura rispetto a noi lettori. Surreale, ambiguo e terrificante, Morrison usa la sua opera per additarci sia come vettori di una possibile infezione mortale che come l’ultima speranza rimasta. Se considerate il fumetto come un mezzo di eversione e di fuga allontanatevi da Ultra Comics, non sarete più in grado di distinguere la realtà dalla finzione.
Wytches #5 – Snyder/Jock
No Answers
Ultimamente va molto di moda bistrattare Scott Snyder e per ultimamente intendo da quando ha cominciato a scrivere Batman per il New52. A prescindere dalle opinioni su questa sua serie, per me ottima in toto tranne che per la leggera debacle in Zero Year, Snyder è sempre stato, sin dai tempi di American Vampire e di Severed, un maestro nell’incutere paura e nel provocare quel brivido costante che parte dalla base della colonna vertebrale, corre sulla schiena per poi espandersi sino alla nuca. Wytches #5 è anche una conferma dello stile tipicamente Horror che ha da sempre contraddistinto lo scrittore: il vero terrore non proviene dalle risposte ma dalle domande, gli interrogativi inquietanti che colpiscono di più sono quelli senza risoluzione. Grandi maestri del passato, come Lovecraft, ci hanno insegnato che dietro ogni domanda si nascondono solo altre domande, ogni punto interrogativo è una strada buia verso l’ignoto in cui non sono presenti luci al termine del percorso.
Al termine di Wytches #4 Charlie, il padre di famiglia protagonista della serie, affrontava un interrogativo spaventoso: perché mia moglie non ricorda più Sailor, la nostra unica figlia ultimamente scomparsa? Questa issue riprende la narrazione da quel momento, intervallando il presente con un flashback riguardante un incidente capitato a Lucy, donna della famiglia Rooks. Scott Snyder utilizza questa doppia linea temporale per approfondire ulteriormente i personaggi di Charlie e Sailor, accomunati da una profonda depressione e dalla tendenza allo sprofondare nell’autocommiserazione. I due diversi momenti nel tempo rispecchiano anche una metafora riguardante la loro attitudine: il percorso intrapreso da Charlie per salvare sua figlia, la sua discesa fisica nel covo è un riferimento al passato, alla suo pessimo comportamento come padre e al suo disperato tentativo di recuperare sua figlia, in tutti i sensi. Più Snyder scava nella psiche e nell’anima dei personaggi, più quei personaggi risultano piacevoli e in sole cinque issues Charlie, Sailor e Lucy sono diventati incredibilmente reali e sfaccettati. Empatizzare con i protagonisti di Wytches è incredibilmente semplice.
Il colpo di genio in questa serie è la revisione del concetto di strega, non più un semplice strumento del male al servizio del Demonio. In Wytches le streghe hanno un ruolo completamente differente: è possibile promettere ad una di loro qualcuno per ottenere qualcosa in cambio e successivamente esse provvederanno al loro risarcimento, catturando il malcapitato e banchettando con il suo corpo. Il male assume una sfumatura più ambigua e meno netta, coinvolgendo l’essere umano e il suo egoismo nella terribile vicenda.
Jock, dopo la collaborazione sulla favolosa run di Detective Comics pre-New52, torna ad accompagnare Scott Snyder in Wytches e la sua capacità nel definire il mood della storia, intervallandolo con l’atmosfera quasi asettica dei flashback, è da applausi. A differenza del lavoro compiuto da altri artisti in altri fumetti horror come Crossed o Dark Gods, l’attenzione si sposta e, invece di focalizzarsi sull’aspetto gore al limite del ridicolo, Jock riesce a rendere l’atmosfera inquietante e disturbante concentrandosi semplicemente su dettagli reali, ottenendo il massimo impatto da ogni vignetta.
Questa penultima issue del primo story-arc è una pugnalata al petto di ogni lettore, costretto ad aspettare il prossimo mese prima di poter leggere Wytches #6. A partire dal primissimo numero, la serie è migliorata in maniera palpabile diventando in breve tempo un capolavoro dell’horror fumettistico moderno, proponendo una perfetta ed intensa miscela fatta di terrore e malinconia.
The Valiant #4 (of 4) – Kindt/Lemire/Rivera
You Say You Want A Revolution
La miniserie Valiant ha un pregio non indifferente: diverte ed appassiona. A differenza della vagonata di megaeventi che sconquassano i multiversi dalla durata improponibile e dai tie-in innumerevoli, The Valiant si propone come una semplice mini da quattro numeri che coinvolge alcuni fra i più interessanti personaggi del suo universo. Il ritorno del Nemico Immortale e l’evolversi della trama non prevedono colpi di scena fenomenali, né intrecci di trama particolarmente complessi. The Valiant pone una grande enfasi sulle conseguenze che gli eventi hanno sui personaggi, concentrandosi sulla loro evoluzione in risposta ad essi e approfondendo il loro reale cambiamento personale dovuto all’impatto con la tragica successione degli avvenimenti.
Le due superstar Jeff Lemire e Matt Kindt, continuano a mostrarci un villain che incarna e mescola il potere della natura con quello della paura. Il suo cammino di distruzione e terrore è implacabile e senza pari. A confrontarsi con questo nemico, tra i tanti, ci sono Bloodshot, Kay e The Eternal Warrior. Questi tre personaggi godono di una splendida caratterizzazione, incredibilmente definita e in grado di far parlare ognuno di loro con una voce ben distinguibile. Il lavoro degli scrittori sui dialoghi è fantastico: il faccia a faccia tra Bloodshot e Kay è intenso e malinconico così come il tono del Guerriero Immortale riesce a trasmettere al lettore la sensazione di ineluttabilità che permea i suoi discorsi e i suoi pensieri. La trama si evolve in maniera lineare ma soddisfacente, nonostante presenti alcuni punti poco chiari e sviluppati frettolosamente.
Al termine di quest’ultima issue possiamo solo inchinarci di fronte a Paolo Rivera, capace di aggiungere ulteriore Pathos all’evoluzione dei personaggi. La sua abilità nel donare alla miniserie un feeling intimo, coerente con le relazioni interpersonali fra i protagonisti, è sublime. L’intensità dei dialoghi fra Kay e Bloodshot è elevata esponenzialmente da Rivera, soprattutto nei momenti in cui l’ambiente circostante è buio e gli occhi del “soldato” vengono utilizzati come unica fonte di luce. Perfetto in ogni singola vignetta, dall’inizio alla fine.
The Valiant #4 è uno smacco ai vari Axis e Forever Evil e ai futuri Secret Wars e Convergence: un evento onesto, libero dall’arroganza tipica delle Big2 e dalle premesse semplici. È il prototipo dell’evento perfetto: rapido, divertente, intenso e capace di forzare negli eroi un cambiamento necessario nella loro personalità mantenendo comunque un aspetto corale e coinvolgendo un grande numero di personaggi. Piccole rivoluzioni crescono.
Inhuman #13 – Soule/Araùjo
Before The Storm
Dopo le frenetiche issue action, Soule decide di fermarsi un attimo, rallentando il ritmo per ripartire dalle fondamenta, approfondendo ulteriormente alcuni tra i protagonisti della serie: Iso, Naja, Flint, Inferno e Gabby, la sorella umana di Inferno. A questo quadro di nuovi Inumani, chiamati NuHumans, si aggiunge il braccio destro di Medusa, Gorgon. Charles Soule, in poche pagine, riesce a darci ulteriori spunti ed indizi riguardanti la personalità di questi personaggi, focalizzandosi egregiamente sulla forte amicizia che lega Inferno e Gorgon. Ai piani alti di New Attilan Medusa, dopo il conflitto con Black Bolt nella issue precedente, si affida a Lineage, personaggio tipicamente “Lokiano“, e il termine della issue è proprio rivelatore della sua natura doppiogiochista.
È interessante notare quanto lo sviluppo di questa serie, i suoi personaggi e la loro crescita fatta di momenti action e super-soap, siano di matrice tipicamente mutante. Il sottotesto di questa ottima run che ha le sue origini nella Nebbia Terrigena rilasciata da Black Bolt in Infinity, sembra esser palese: gli Inumani stanno diventando i nuovi X-Men. Il focus sulla loro personalità e sulle relazioni interpersonali tra i numerosissimi personaggi, intervallato da trame ad ampio spettro fatte di azione, intrighi pseudo-politici e rapporti con il resto del mondo rispecchia perfettamente la storia mutante, dalle origini ai giorni nostri. Charles Soule si dimostra ancora una volta perfetto nella gestione di folti gruppi e riesce a mantenere un equilibrio invidiabile nella costruzione degli intrecci, sviluppando il Villain egregiamente e portando la issue verso un inaspettato cliffhanger finale.
Araùjo sostituisce Ryan Stegman per questa issue con un comparto artistico solido e dettagliato ma che pecca nella rappresentazione di Medusa, la regina degli Inumani, concentrandosi sin troppo sulla sua folta chioma rossa e tralasciando le sue espressioni facciali in favore di un volto inespressivo. Il tocco monolitico e freddo non riesce ad esser coerente con un personaggio che più volte nella serie ha dimostrato di avere emozioni umane. Nonostante questo difetto, Araùjo compie un lavoro più che sufficiente.
Inhuman continua ad esser una delle più coinvolgenti ed interessanti serie di gruppo pubblicate dalla Marvel. Alla luce degli ultimi annunci, la curiosità nell’osservare gli sviluppi delle trame di Charles Soule si fa ancora più grande. Nonostante Inhuman#13 sia fondamentalmente un interludio, la noia non prende mai il sopravvento e la caratterizzazione di personaggi della nuova e della vecchia scuola rende anche questa “pausa” piacevole.
Short Medley Review!
Past Aways #1 – Kindt/Kolins: Nuova serie Dark Horse per il nostro Matt Kindt, autore multitasking impegnato in una marea di testate ancora in corso. I protagonisti di Past Aways sono intrappolati in un tempo e in un luogo che non gli appartiene e stanno cercando di tornare alla loro epoca. A differenziare quest’opera da qualsiasi altra epopea nei viaggi nel tempo c’è una piccola particolarità: l’epoca da cui i nostri “eroi” stanno tentando di scappare è il 2015 e loro provengono dal futuro, in avanti di circa un milione di anni. A far spiccare questa primissima issue purtroppo non c’è molto altro: non ci sono particolari difetti nella sceneggiatura ma è faticoso riuscire ad interessarsi a personaggi superficiali e ad una storia che non riesce proprio a spiccare.
Personalmente non apprezzo Scott Kolins ma in Past Aways compie un lavoro oggettivamente discreto, caratterizzando esteticamente in maniera distinguibile ogni personaggio presente nella issue. Il suo stile cartoonesco riesce anche a distrarre il lettore dal vuoto cosmico dovuto al poco interessamento nei riguardi delle vicende che coinvolgono i protagonisti e nella sceneggiatura che sembra quasi solo abbozzata.
Past Aways #1 è la tipica apertura in cui una buona idea viene penalizzata da un’esecuzione che manca di energia e coinvolgimento. È una issue che toppa gli obiettivi standard che ogni primo numero dovrebbe raggiungere: affascinare il lettore, presentare personaggi dinamici e chiudere dando spunti di un futuro ancora più interessante. Matt, una volta ogni tanto capita a tutti di sbagliare. C’est la vie.
New Avengers #32 – Hickman/Deodato: Il nostro beniamino Jonathan Hickman continua la cavalcata verso Secret Wars e ci lancia nello spazio per seguire le disavventure dei Multiversal Avengers: Hyperion, Odinson aka Ex-Thor, Starbrand, Nightmask, Ex Nihilo e Abyss sono ai confini dell’universo per affrontare i Beyonders, apparente causa delle incursioni. L’approccio orrorifico/esistenzialista che permea questa issue epica è potente: gli eroi protagonisti, tutti in possesso di poteri quasi divini, si imbattono in un nemico impossibile da sconfiggere e il pathos della battaglia è palpabile quasi quanto è palpabile nell’assalto al Nero Cancello di Mordor al termine de Il Ritorno Del Re. Il toccante dialogo finale tra Thor e Hyperion e la loro marcia finale verso la morte portano New Avengers #32 su vette intime mai raggiunte da questa serie.
Una delle pecche riscontrate nelle ultime pubblicazioni di Avengers e New Avengers è sempre stato il comparto grafico: troppi artisti a rotazione per due serie mensili che meriterebbero una maggiore coerenza grafica. In questa issue Mike Deodato Jr è perfetto nel corroborare l’atmosfera da Space-Horror imbastita da Hickman e l’intensità degli sguardi di Thor e Hyperion durante il loro discorso finale, così come le espressioni facciali degli altri eroi, sono perfettamente coerenti con l’epicità di questa issue. Il design dei Beyonders non è particolarmente ispirato ma questo difetto di poco conto non rovina l’ottimo colpo d’occhio generale.
L’avventura targata Avengers di Jonathan Hickman sta terminando e posso dire con certezza che mi mancherà. NA#32 presenta in maniera completa quella che sembra esser la minaccia totale per il multiverso e lo fa nel migliore dei modi. Ancora non sappiamo quali siano le loro motivazioni ma sono sicuro che Hickman ci illuminerà a breve.
Sarà triste perdere questi Avengers così complessi e cerebrali.
Batman Eternal #51 – Snyder/Tynion/Higgis/Fawkes: Vorrei cominciare questa recensione esprimendo l’unico motivo per cui la sto scrivendo: avete rotto il c***o, avete davvero rotto il c***o! È stato divertente ed appassionante seguire l’azione frenetica delle ultime issue, guardare il pipistrello risorgere dalle sue stesse ceneri e riprendere il controllo per poi essere nuovamente abbattuto ma, davvero, il giochino del rivelo-il-villain-ma-poi-non-è-davvero-lui-ahahah-che-burloni ha definitivamente rotto il c***o. Nonostante si suppone che ad un numero dal termine della serie questa tiritera sia finita, questo non mi calma perché mi pare proprio una presa per il c**o. Bene, ho terminato il mio sfogo.
Batman Eternal #51 rimane comunque una issue discreta e la rivelazione finale, per quanto irritante nel contesto generale, è meno sconvolgente del previsto ma più coerente. Il topic “Batman Non Conosce Poi Così Bene La Sua Città” iniziato da Snyder all’inizio della sua run di Batman ancora in corso, viene ripreso in questa issue e rafforzato ancora di più. Alvaro Martinez alle matite compie un ottimo lavoro, penalizzato ovviamente dalla cadenza settimanale della serie che non permette al disegnatore di focalizzarsi su ogni dettaglio.
Il penultimo numero di Batman Eternal ci porta verso la fine con un ennesimo twist sull’identità del villain, stavolta più coerente rispetto alla precedente scelta, comunque soddisfacente. Per fortuna il termine della serie mette un punto alla reiterata tecnica della rivelazione successivamente smentita che, se non si era già capito, aveva davvero rotto il c***o.
Thank God Is Wednesday 7 termina qui e vi annuncia che la prossima settimana l’universo DC sarà sconvolto dalla fine delle tre weekly series e dall’inizio di Convergence!
Alla prossima!
Leave a Comment