Angolo Lisergico, Starlight – The Return of Duke McQueen

“I feel like an idiot” 

Le prime parole pronunciate da Duke McQueen all’interno del fumetto sono esattamente queste:“I feel like an idiot”, e forse sono anche le prime che avrà pensato Mark Millar pubblicando questo albo solo adesso.

Nel 2015 abbiamo molte visioni dello spazio, la più comune è quella di Star Wars, il colore e lo stile anni ’70, dello sci-fi pulp, dei palazzi dei disegnatori francesi come Moebius (L’Incal) e Jean Claude Forest (Barbarella) oggi sono in disuso. E nel 2014 è un pò da stupidi questa controtendenza. Per il mercato italiano Starlight è ancora inedito, io durante il mio soggiorno americano ho deciso di incrementare il PIL del fumetto statunitense (e non solo di quello italiano), acquistando albi originali, tra cui questo.
Pubblicato da Image (che fa le cose per bene) da marzo a ottobre dello scorso 2014, scritto da Mark Millar (Ultimate X-Men, Ultimates, Kick-Ass, Trouble e altre cose barbone) e disegnato da Goran Parlov, croato classe 67′ caro ai patrioti del fumetto italiano per Ken Parker e altre stupende tavole per i personaggi più famosi del fumetto western made in italy (per me che sono un figghiozzo è quello che ha disegnato Barracuda di Garth Ennis). 

 
“I feel like an idiot”

Starlight comincia in medias res chiedendoci: “Ve lo ricordate di Duke McQueen?”, e ci rende parte del coro del fumetto, il coro che non si ricorda assolutamente del Duke Mcqueen “predone stellare” ma solo del patriarca di una famiglia in una cittadina americana chiamata Little Hampton. Quarant’anni fa Duke era “l’uomo della profezia”, dopo aver salvato galassie intere da un solo tiranno, ha mollato tutto,e lo ha fatto per una sola donna, “una donna della terra”. Ha scelto di invecchiare, senza pistole e razzi, tra i bambini e le birre domenicali. La terra vive con il ricordo perso di un Duke McQueen che perfino davanti ai figli sembra essere solo un uomo “quotidiano”, solo per sua moglie rappresentava la sua vera essenza di avventuriero galattico. Morta l’amata, Duke nello sconforto accetta, accetta come la sua vita sia finita, come i suoi figli in lui vedano solo un padre e non Duke McQueen l’eroe di mille imprese. Casa sua è un mausoleo, tra le raygun e una tuta che non gli sta più.

Ma una notte sola può cambiare tutto. E in quella notte che cambia tutto un piccolo di ottantasei anni di nome Krish arriva sulla terra con la promessa di poter tornare, di poter salvare un pianeta ancora e di dire “vi ricordate che fine ha fatto Duke McQueen…” 
ah già, Duke Mcqueen.

Questa è la storia di che fine ha fatto Flash Gordon e dei suoi figli che, diventati adulti, non credevano più che il padre fosse un eroe. 

La storia di Starlight inizia con Millar che tenta di convincerci che Duke McQueen sia davvero esistito e che noi siamo così tanto stupidi da averlo dimenticato. Passa dal descrivere un ricordo e accettare l’indegna realtà fino al riacquisire quel ricordo  guidando rivoluzioni in DUNE dimenticate insieme ad un’Alleanza ribelle al fine di sconfiggere “il potente mago tiranno come anni prima”. La storia, anche stavolta, si ripete: che gli ossi duri come Duke McQueen non muoiono mai.
Goran Parlov è semplicemente ECCEZIONALE, ci descrive un’altra era del fumetto con immagini e visioni in technicolor. Narrazione e immagini si mescolano, possiamo fermarci, spruzzarci sopra e andare avanti, non abbiamo l’oceano dei libri, ne’ il tempo che passa del cinema. Le tavole restano con le parole e non c’è noia in tutto questo mix che cola copioso, solo un guilty pleasure per chi il glorioso sci-fi anni settanta/ottanta se l’è perso e per chi se l’è scordato. C’è una semplice purezza nella descrizione della vecchiaia di quest’uomo che ha, a tratti, del libidinoso. Ci sono uomini che dovrebbero non arrivarci alla vecchiaia perchè non sono più gli stessi, ci sono cuori più forti dell’ernia. La purezza però è ben altra cosa: è quella che non lascia i predoni stellari, i sognatori e Starlight. Le arene intergalattiche ritornano piene, ritorna il nostro eroe.
Nostalgia canaglia che si aggrappa alle nostre menti e ci riscopa, mentre rivediamo ciò che abbiamo perso, ciò che ci siamo scordati e che vorremmo riavere nella narrazione odierna. Quello che doveva essere il futuro e non è stato.
“Nessuna mustang arriverà calvalcando dentro un arena per salvare dei ribelli.”
Millar vuole andare dritto al punto, vuole descrivere un’ultima avventura trent’anni dopo, senza avere la presunzione di dire di esserci stato. Vuole cullarsi in Parlov.
I figli e noi tutti (il coro) smettiamo di domandarci se il loro padre “sia o non sia”, mentre questo torna galoppando sopra l’America con il suo razzo spaziale, sapendo che Duke Mcqueen sarà sempre “il campione della Terra”.

E alla fine resta questo, per gli uomini che non sono morti, la memoria e la consapevolezza.
Perchè Little Hampton c’è stata e c’è stato anche Duke McQueen. 

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