A settimane e settimane di distanza dall’uscita del tanto atteso Sin City 2 (principalmente per le bocce di Eva Green) nelle sale cinematografiche, mi sembra giusto riportare l’attenzione sull’argomento principale (mi riferisco al fumetto, non alle bocce, e sì, la Dark Horse ci paga per farlo!).
E’ giunto il momento di una mia personale classifica delle migliori storie della serie, che possa anche servire come consiglio a chi non ha mai letto Sin City, come punto di partenza.
Ovviamente prima di partire bisogna dare due paroline su cos’è Sin City e sulla mente che ha partorito tale opera.
Per quei due o tre ignoranti che ancora non sapessero cos’è, Sin City è un fumetto creato ad inizio anni ’90 da Frank Miller. Miller, che possiamo annoverare tra i fondatori della rivoluzione del fumetto avvenuta nel decennio precedente, decise di sfogare la sua vena artistica su un genere che da sempre l’aveva affascinato e che aveva contagiato tutte le altre sue creazioni: il noir. Già dai suoi primi lavori su Devil questo genere era, infatti, preponderante nelle sue sceneggiature. Quando il personaggio passò sotto la sua direzione artistica, questi cambiò dall’essere una macchietta di secondo piano nel roster della Marvel, a uno dei personaggi di punta. Passò dall’affrontare nemici imbarazzanti a storie articolate, caratterizzate da sesso e omicidi (cosa mai vista nella casa delle idee che aveva sempre trattato i suoi personaggi come quelli della Disney), affrontò seriamente i temi della corruzione e del degrado sociale. In poche parole divenne un personaggio reale.
E già qua le caratteristiche noir emersero: l’eroe sfigato, ma comunque cazzuto, l’amore impossibile con la femme fatale, l’ambientazione nella giungla urbana fatta di vicoli, zone portuali e locali malfamati, il rapporto controverso con l’autorità e il crimine. Queste idee vengono riprese a piene mani anche nei lavori successivi come il famosissimo Batman: il ritorno del cavaliere oscuro e la graphic novel cyberpunk Ronin. Ahhh, la magia degli anni ’80!
Arrivarono gli anni ’90, gli anni dell’esagerazione e degli eccessi. Miller ovviamente non poteva tirarsi indietro. Decise quindi di creare una storia che riprese i canoni del genere noir, ma li enfatizzò al punto da distorcerli, esulò dall’hard boiled per arrivare a un pulp tutto suo, molto forte, caratterizzato da una violenza esasperata e personaggi al limite dell’inverosimile. Creò anche un nuovo stile di disegno: il nero/bianco. In certe splash page il bianco è solo un particolare, esaltato da un contorno di nero assoluto. La dicotomia tra questi due colori è netta, non ci sono sfumature. Al massimo in qualche storia ci sono dettagli di un altro colore, come a segnarne l’appartenenza ad un altro mondo.
Dopo questa breve presentazione, che sicuramente non le rende giustizia, partiamo con la classifica!
Al TERZO posto metto Il Duro Addio. La prima storia. Pubblicata come esperimento in 13 capitoli dalla Dark Horse Comics, tra il ’91 e il ’92. Il protagonista è Marv, un energumeno notevolmente svalvolato, con forti problemi di memoria (direi di testa in generale) e una spiccata propensione alla violenza. Il ribaltamento dei ruoli è netto, il buono è il disadattato, la rappresentazione dell’innocenza è incarnata in una prostituta, e il rampollo della famiglia più ricca della città è uno psicotico serial killer. Nonostante l’enfasi sui caratteri e l’assurdità di certe situazioni risulta ancora quella più legata ai canoni, dimostra ancora un certo attaccamento agli stilemi del genere.
La conclusione, per nulla scontata, ci lascia con l’amaro in bocca. Come in tutte le altre storie. Il vero protagonista è la città con i suoi vizi e la sua immoralità. Nonostante il forte contrasto tra i due colori, la trasposizione del bene e male, come ci insegna la cultura orientale da cui Miller è affascinato e trae spesso ispirazione, arriviamo a capire che questi non potranno mai essere divisi. Lo si capisce dal finale e dal comportamento dei personaggi, per quanto apparentemente risultino schierati dalla parte del bene sono succubi del “lato oscuro“.
Il SECONDO gradino del podio se lo aggiudica Una Donna Per Cui Uccidere.
Che dire, una trama fantastica, tavole sempre più impressionanti rendono questo volume un capolavoro nel suo genere. Miller non si limita solo più a creare personaggi ambigui, ma ne distrugge la moralità. Definitivamente viene abbandonata l’idea del personaggio positivo, ognuno è un bastardo egoista che pensa solo ai propri fini, alcuni per degli scopi che possono avere un fondamento di giustizia, altri per egoismo e basta. L’unico innocente ci rimette le penne per colpa del protagonista che dovrebbe incarnare l’eroe giusto e puro, che non è altri che un bastardo egoista dal passato non molto oscuro. Basta pensare a come non esiti a usare Marv, giustificandosi che se anche questo morisse non sarebbe una gran perdita per la società. I disegni si fanno sempre più semplici, meno particolari rispetto al precedente volume, per creare un contrasto ancora più forte e netto, che sfocia in tavole eccezionali che fanno immedesimare il lettore negli ambienti che circondano i protagonisti.
Che dire, una trama fantastica, tavole sempre più impressionanti rendono questo volume un capolavoro nel suo genere. Miller non si limita solo più a creare personaggi ambigui, ma ne distrugge la moralità. Definitivamente viene abbandonata l’idea del personaggio positivo, ognuno è un bastardo egoista che pensa solo ai propri fini, alcuni per degli scopi che possono avere un fondamento di giustizia, altri per egoismo e basta. L’unico innocente ci rimette le penne per colpa del protagonista che dovrebbe incarnare l’eroe giusto e puro, che non è altri che un bastardo egoista dal passato non molto oscuro. Basta pensare a come non esiti a usare Marv, giustificandosi che se anche questo morisse non sarebbe una gran perdita per la società. I disegni si fanno sempre più semplici, meno particolari rispetto al precedente volume, per creare un contrasto ancora più forte e netto, che sfocia in tavole eccezionali che fanno immedesimare il lettore negli ambienti che circondano i protagonisti.
Su questa storia si basa il secondo film, che come ho già detto non è stata quella gran pellicola, però a questa storia ha reso abbastanza giustizia, ha ripreso delle inquadrature uguali, e non l’ha snaturata.
E il PRIMO posto, SBADABAM, lo occupa con prepotenza: Quel Bastardo Giallo, una storia che non si può criticare. E’ come una sinfonia di Beethoven, può non piacere la musica classica, ma nessuno ha le competenze per dire: “è fatta male, si poteva fare di meglio”. Qua è lo stesso. Può non piacerti il modo in cui Miller affronta il noir in Sin City, ma non si può dare un parere negativo su questa storia.
Non c’è una tavola sbagliata. I monologhi sono usati al momento giusto e non risultano eccessivi, come qualche volta accade nelle altre. I personaggi, anche nel più totale eccesso anni ’90 non appaiono mai deformi o irreali. E poi il finale… Forse uno degli epiloghi migliori/peggiori che abbia mai letto. Non lascia scampo. Miller esprime in una vignetta il concetto che aveva cercato di far emergere nelle opere precedenti come mai prima d’ora: non c’è scampo, c’è una sola via d’uscita per lasciare Sin City, e se vuoi salvare una vita devi pagare con una moneta di pari valore.
Nonostante Sin City rientri molto a fatica nel genere noir, poichè ne estremizza a tal punto le caratteristiche principali, distorcendole, la storia che mantiene un maggiore legame col genere è proprio Quel Bastardo Giallo.
Neanche in questo caso la pellicola ha deluso, nel lontano 2005 era Bruce Willis che interpretava il detective John Hartigan. Lo interpretava sempre incazzato e disilluso, e diavolo se era convincente!
Concludendo posso anche affermare che queste sono le sole storie che meritano veramente di Sin City, i racconti brevi non aggiungono niente, e ben pochi sanno di qualcosa; le altre due lunghe saghe, beh… L’ultima scritta, quella del capellone che è in realtà un ex tizio delle forze speciali (All’Inferno E Ritorno), non è male, se non fosse che è un fumetto d’azione pura e non c’entra ‘na beata fava con le atmosfere noir-hard boiled-pulp dei precedenti racconti. Molto bella la parte in cui svalvola perchè drogato, come Miller passa dal solito bianco/nero ai colori per sottolineare il trip, ma per il resto non è nulla di nuovo. La storia con le mignotte assassine, invece, è imbarazzante. Personalmente l’ho trovata ridicola, nella trama, nei personaggi, e nei riferimenti a 300!
P.S.: l’avete notato che in qualche tavola Miller ci infila la caricatura di Wolverine che fa sempre una fine pezzente?
P.P.S.: io come edizione personalmente stravedo per quella della Magic Press con le copertine realizzate in quello stile unico.
Scritto da: N° 7
Tratto da: LoSpaccaFumetti.altervista.org
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