Dite a qualsiasi fan de I cavalieri dello zodiaco, quale sia la saga migliore e risponderà: «Quella dei cavalieri d’oro! Quella del grande tempio!». Tutti coloro che sono cresciuti guardandoli in televisione ricordano la bellezza di quella saga, non solo perché era la prima, quella in cui i personaggi hanno una chiara ed evidente evoluzione che li porta a compiere gesta eroiche, ma perché lo stesso scontro con i cavalieri d’oro era ambiguo, aveva sia le caratteristiche di una guerra fra amici vittima di un inganno, sia le caratteristiche di una quest per aumentare la consapevolezza del cosmo e delle proprie costellazioni (per quanto riguarda i cavalieri di bronzo ed anche per quelli delle dodici case), sia una guerra contro nemici insormontabili, nemici che s’intrecciavano nelle storie di ogni cavaliere in qualche modo.
Poi si discuteva e ci si interrogava sui temi del sacrificio, della guerra per un ideale, del raggiro di chi sta al potere e lo usurpa, dell’avidità ecc. ecc.
Insomma, era una saga che emozionava, faceva vibrare l’animo di chi la guardava. Con le sue lunghe cavalcate di pensieri o parole sussurrate, di prese di posizione, di piccoli monologhi che stupivano per la classicità e immediatezza al tempo stesso.
I personaggi erano tanti prismi, con mille sfaccettature diverse che venivano gradualmente svelate ad ogni puntata. E, naturalmente, in modo paricolare i cinque protagonisti, che potevano ritrovare la loro gloria in ogni scontro fino ad eclissarsi espandendo il proprio cosmo fino ai limiti estremi ed esplodere come stelle nel firmamento sotto gli occhi pieni di lacrime dei compagni che, avendo un compito ben preciso, potevano guardare indietro solo il tempo di compiangere con ultime parole, l’eroe appena spentosi, per poi inguerrire nuovamente lo sguardo e partire verso l’estenuante scalata del Grande Tempio per salvare la dea Atena!
Quando seppi di un adattamento della saga sopracitata, per il cinema, non nascondo che la mia euforia da fan aveva preso piede. Sì, le armature erano diverse, i personaggi avevano un look più “moderno”, ma non era assolutamente un problema, vista l’innovazione che avevano fatto su Capitan Harlock, riuscita non solo a riportare alla mente certi aspetti epici della serie originale, ma soprattutto nell’ardua impresa di aggiornare la storia del protagonista. La medesima cosa mi sarei aspettato da un film sviluppato sotto la guida di Masami Kurumada (nonostante ultimamente abbia dato l’approvazione per progetti poco gloriosi per i suoi Cavalieri), ma, come si sarà intuito dal lungo elogio dei “tempi che furono”, ogni aspettativa è stata tradita.
Certo, riportare la grandezza di scontri che si perpetuavano per due o tre puntate (vale a dire almeno quaranta minuti) su un unico film era difficile, molto difficile. Un aspetto che non avevo valutato nella foga dell’entusiasmo e che, oggi, a mente fredda, boccerei a prescindere per abbracciare una più utile reinvenzione dell’anime, tramite una serie di film, proprio come ha fatto Hideaki Anno con il suo Rebuild of Evangelion; ma si sa bene che quest’ultimo sa gestire il proprio prodotto di punta in maniera eccellente. Masami Kurumada con tre o quattro film avrebbe risolto il problema del minutaggio, evitando tagli e morti o ruoli ingloriosi a certi cavalieri che si meritavano molto più spazio del dovuto.
Ma andiamo con calma e cerchiamo di dare un senso a queste mie aspettative tradite.
Trama (no spoiler)
Il Grande Sacerdote dà la caccia a Micene di Sagitter che è fuggito dal Grande Tempio, portando con se una bambina che chiama Atena.
Micene viene colpito a morte da Capricorn e la bambina precipita sui monti dell’Hymalaya, venendo ritrovata da alcuni esploratori. Chi la ritrova, tramite un ormai moribondo Micene, viene a conoscenza dell’identità della bambina e del suo destino: lei è la dea Atena, detronizzata e presunta morta dai suoi inseguitori, ella dovrà essere protetta fino all’età di sedici anni quando cinque cavalieri investiti con le armature di bronzo, saranno pronti per proteggerla!
Atena cresce sotto il nome di Lady Isabel e giunta ai sedici anni viene informata della sua vera identità, cosa che la scuoterà terribilmente.
Al primo attentato della sua vita risponde la venuta dei cinque cavalieri, anzi, dei quattro, poiché Phoenix, dal cuore solitario, com’è suo solito fare, resta in disparte per poi intervenire solo nel momento di grande necessità.
Passati i convenevoli e le dovute spiegazioni, Isabel decide, con un atteggiamento di grande coraggio unito al normale timore per ciò che le sta accadendo, di andare al Grande Tempio e parlare con il Grande Sacerdote. Purtroppo la sua salute viene messa in pericolo, colpita da una freccia di un cavaliere-sicario, il suo cosmo lentamente inizia a disperdersi indebolendola.
I cavalieri di bronzo non possono perdere altro tempo e corrono, con Lady Isabel sulle spalle, al Grande Tempio, sapendo che dovranno passare ben dodici case abitate da cavalieri d’oro.
La corsa per le stanze di Arles (Grande Sacerdote) ha inizio!
ATTENZIONE SPOILER!
I cavalieri di bronzo
Umiliati, parodia di se stessi. Queste sono le parole che spontaneamente direi dopo la visione del film.
Pegasus, il cavaliere che sapeva spaziare dall’ironia alla profondità di pensiero, viene ridotto al buffone del gruppo senza mai arrivare ad un punto in cui lascia da parte le numerose smorfie “buffe” per diventare Cavaliere! O meglio, ci sono istanti in cui ciò accade, ma sono così brevi rispetto alle sue buffonate che di quella sua gloria non rimane nulla. Persino le sue movenze sono quasi innaturali, fastidiose a tratti scimmiesche. Sarà l’unico a raggiungere il settimo senso, tutti gli altri rimarranno indietro, persino quando lo scontro finale è al suo culmine.
Sirio, invece, è trattato come il secchione del gruppo, colui che assilla con i suoi discorsi pacati e seriosi a cui nessuno del gruppo vuole dare ascolto. Il suo legame con Pegasus (che nell’anime è tangibile) viene totalmente annullato e la sua seriosità è l’unico aspetto che viene riportato sullo schermo. Com’è accaduto al precedente cavaliere analizzato, anch’egli è parodia di se stesso. Persino quando, contro Cancer, decide di sbarazzarsi della sua armatura, portando avanti il proposito di combattere ad armi pari col suo avversario.
Con Crystal il Cigno si inizia a entrare nel panorama dei cavalieri fantasma (numerosissimi in questo film), ovvero personaggi presenti ma assenti. Caratterialmente non ha alcuna rilevanza nel film, non riesce per niente a emergere nel conflitto fra Pegasus il comico, Sirio il serio e Andromeda il pacificatore (un trio degno di uno spaghetti-western). L’attimo di gloria del cigno lo ritroviamo alla casa di Aquarius. Una delle parti più commuoventi della serie animata viene trasformata in un rapido botta e risposta fra i due, dove Crystal riesce immediatamente ad apprendere la tecnica del maestro e superarla; anche se, in questo caso, la piccola scena in cui Aquarius, dopo aver sferrato il suo colpo, si avvicina a Crystal mettendogli una mano sulla spalla, ha riportato lievemente a quei ricordi lontani che misero i due in un conflitto commovente fra Maestro e Allievo.
Phoenix è l’unico che ne esce con la dignità più o meno salva, grazie anche ad un minutaggio ristrettissimo ed entrate trionfali e fiammeggianti, ma anche lui ha un esito amaro nello scontro con l’armatura d’oro di Capricorn! Uno scontro che passa talmente in sordina, dopo il primo colpo, che termina dopo un rapido cambio d’inquadrature, più interessate a far vedere Pegasus che subisce la cuspide scarlatta della scorpioncina del Grande Tempio. Lui, la Fenice, che aveva tenuto testa a Virgo uno dei tre più forti delle armature d’oro, viene messo a tappeto, senza neanche l’onere della visione e con facilità, da Capricorn.
Andromeda, il vero fantasma della compagnia. Tranne l’inizio trionfale, in cui protegge Atena e colpisce a morte uno dei cavalieri che attentavano alla sua vita, Andromeda diventa solamente il viso in cui ritrovare amorevole conforto, nient’altro.
La sua catena viene umiliata come non mai e se nell’anime, il bronzino rosa, trova fasti e gloria nello scontro con Fish, qui non ne ha la benché minima possibilità.
I cavalieri d’oro
Sin dai tempi remoti, i cavalieri d’oro hanno sempre avuto un fascino particolare, per numerosi motivi fra i quali: ci si rispecchiava nei loro segni zodiacali, erano la sommità della forza, portavano sulle spalle vicende che affondavano nel mito e erano, in parte, maestri dei cinque protagonisti di bronzo, nonché figli di cavalieri ancora più leggendari!
Nel film essi mantengono un certo spessore, seppur alcuni vengono battuti con una facilità estrema; ma altri ne escono totalmente distrutti. Un esempio su tutti è Cancer che balla e canta con le maschere che gli fanno da coretto, come in un film di Tim Burton, ma Cancer ha poco dello stile burtoniano; fra l’altro inserire uno stacchetto musicale in un film, anzi, in un brand che niente ha a che vedere con i musical, risulta decisamente grottesco e pietoso.
Lo si può giustificare in tanti modi, come questo: «[..] In un repertorio, che non sia musical, una canzone viene inserita per elevare la temperatura espressiva del personaggio e l’intensità di quel dato momento, in questo caso è la presentazione che diventa plastica, simbolica […] Anche qui si tratta, da parte degli autori del film, di mettere in risalto uno dei tratti caratteristici del personaggio, ma tipicamente meno consueto, proprio per offrire spunti nuovi a questa reinvenzione della corsa alle dodici case. Quindi, in questo motivetto cantato e, ogni tanto, contrappuntato da salaci battutine, c’è tutto il narcisismo di Cancer, la glorificazione di se stesso mediante uno spettacolino in cui le anime, morte per sua mano, gli fanno da diligente coretto.»; citando le parole di Ivo De Palma, ma nonostante sia una reinvenzione della presentazione di questo personaggio, si perde di vista un punto fermo e fondamentale: è un cavaliere d’oro. Così come stona tantissimo quel piercing sul labbro inferiore di Ioria, anche questo stacchetto musicale stona con l’immagine generale che si ha dei cavalieri d’oro, ma non solo, dei cavalieri di Atena in generale e di tutti i cavalieri di tutte le divinità! Oltre che è inverosimile che i morti per mano sua si dilettino a glorificarlo, è una scenetta che andrebbe bene per un villan o cattivo (che dir si voglia) di prodotti che sono lontanissimi dalla storia culturale dei Saint Seiya, molto più lontani di quanto la distanza dell’oceano Pacifico possa fare. Cancer è macabro, sadico, non ha niente di comico o burlesco, le sue vittime piangono e implorano, non cantano allegramente assieme a lui! Da cosa abbiano tratto spunto per arrivare a una tale conclusione lo ignoro totalmente. Anche la parte in cui, ormai privo dell’armatura, si agita e parla come se fosse un cavaliere qualsiasi, non ha fatto che continuare a umiliarlo.
L’altro cavaliere fortemente discusso è Fish, le cui gesta sono state stroncate sul nascere da Gemini. Eppure Fish viene ritenuto uno dei più forti cavalieri d’oro, di certo uno dei più temuti, ma non riesce nemmeno a provare una difesa contro la dimensione oscura. Tuttavia la spiegazione che De Palma dà a questa scelta può essere accettabile, se messa accanto alla necessità di accorciare i tempi.
« […] questa fine ingloriosa e subitanea di Fish serve, in qualche modo, a caratterizzare meglio la prepotenza cieca e insensibile del Grande Sacerdote, che per sedici anni si è valso dei cavalieri d’oro non perché li apprezzi realmente per quello che sono e per quello che rappresentano, ma unicamente perché erano funzionali al suo potere, cioè gli servivano. Il culto della bellezza incarnato da Fish e il culto del potere incarnato dal Grande Sacerdote sono agli antipodi e quando il primo non serve più al secondo… il secondo se ne sbarazza senza farsi tanti scrupoli. Questo sacrificio immediato di Fish, in questo film, che ha sconcertato i suoi estimatori, convinti che il personaggio sia stato trattato con scarso rispetto dagli autori del film stesso innanzitutto, ha, invece, questa importante funzione espressiva, cioè: mettere in risalto un potere brutale e del tutto insensibile a ciò che non sia la manifestazione e la glorificazione del proprio assoluto predominio. Non è sprezzante lo staff, che ha realizzato il film, verso questo personaggio, è sprezzante il Grande Sacerdote! Parliamo di due dimensioni proprio opposte, infatti, il Grande Sacerdote, lo liquida con un Another Dimension, cioè, Un’altra dimensione, un altro mondo, che anche in italiano ha la sua importanza perché: Dimensione Oscura è la dimensione in cui la tua bellezza non può più essere vista e quindi non può più essere apprezzata.»
Analisi che condivido. Lo scontro fra i due, in effetti, è uno scontro fra titoli opposti, ma questo predominio assoluto di forza ha sconcertato lo spettatore. Se solo Fish si fosse opposto, seppur per pochi minuti, il suo personaggio e la sua dipartita avrebbero assunto il medesimo significato spiegato pocanzi, in toni anche più forti e drammatici.
Se il film è un reboot e non un remake, allora il ruolo di Fish è stato realmente umiliato, non solo, ma non acquista più la giustificazione legata alla bellezza, perché un neo-spettatore non ha la benché minima idea della vanità dell’ultimo cavaliere d’oro.
Gli altri cavalieri d’oro più o meno si sono salvati dal degrado, seppure alcuni di loro hanno subito le sorti di un restiling “moderno” ma che si avvicina più a quel look e comportamento rozzo, sgraziato e irritante che hanno (uso questo termine perché non ne trovo altri che possano rappresentare in toto il concetto) i tamarri.
Grafica e animazione
Dopo aver visto Capitan Harlock per ben tre volte ed essermi beato nella sua grafica, nella sua animazione (seppur ancora un po’ nodosa) e nei suoi scenari epici, avevo, anche in questo campo, fortissime aspettative, puntualmente deluse. La semplice, ma bellissima, arte greca viene sostituita da un intreccio di neoclassico, barocco e gotico che hanno dato il risultato di case più sfarzose, con pavimenti in marmo rosso, capitelli corinzi con rifiniture in oro, candelabri, vetrate e torri merlettate in stile Duomo di Milano, il tutto in deliziosi e armonici archi sospesi nel cielo.
Spiazzate dunque le classiche scalinate costruite sulla dura e nuda roccia greca, che collegavano le varie case (rigorosamente ispirate ai templi greci, seppur con differenze di forma), nonché eliminata persino la lingua greca, sostituita da una (credo) inventata dagli autori, all’arte greca che dava il suo bel contributo alla storia, non resta più niente.
Per quanto riguarda l’animazione dei personaggi è decisamene peggiorata rispetto a quella di Capitan Harlock. I movimenti appaiono nodosi ed a volte troppo caricaturali per una grafica che punta al realismo. Pegasus ne subisce gravemente le conseguenze, poiché per esaltare la sua natura comica, gli hanno dato alcune espressioni corporee che, personalmente, mi ricordano molto quelle di un primate, più che di una persona.
Belli i colori e belle le armature che, finalmente, coprono realmente tutto il corpo, persino il viso! Alcuni, anzi, molti, potrebbero dissentire su quelle illuminazioni alla Tron, ma, devo ammettere, che fra tutte le reinvenzioni sono quelle che mi hanno dato meno fastidio.
Capisco che la dipartita di Shingo Araki abbia creato un vuoto enorme nel panorama grafico dei Cavalieri, ma con un budget di ben 84.371,008$, si poteva decisamente fare di meglio! Anche facendo ricorso alla bella e, comunque moderna, grafica di Shiori Teshirogi che ha svolto un bel lavoro nella serie Lost Canvas. Si preferisce sempre la grafica CGI e la spettacolarizzazione vacua, ad una ben più solida e convalidata animazione tradizionale, ma il Giappone sembra essere molto indietro sullo sviluppo della CGI rispetto a studi occidentali come i Walt Disney Animation Studios, che con Big Hero 6 hanno dato continuità a quell’apprezzabile utilizzo particolare della computer grafica, unendo espressività cartoonesca all’esplosività e bellezza visiva degli “effetti speciali” della CGI.
Momenti salvabili
Dopo averlo criticato non posso negare che alcuni momenti piacevoli ci sono stati.
Innanzi tutto, l’inizio della storia: lo scontro fra Capricorn, Micene e Gemini, iniziale, è veramente ben fatto. Si percepisce la forza dei tre cavalieri e la tenacia di Micene nel proteggere Atena. Registicamente ben studiato e graficamente bello. I tre cavalieri, infatti, sono rappresentate come tre comete luminose che nel cielo si scontrano l’un l’altra.
Il film procede abbastanza bene con l’arrivo dei cavalieri di bronzo ed il tono scanzonato di Pegasus è perfettamente in linea con il momento e la situazione.
Anche l’arrivo di Ioria (seppur deturpato dal piercing) è ben fatto, perché, si comincia a tastare la pericolosità del loro compito ed il personaggio del leone viene subito inserito bene nella sua storia quando viene mostrato l’affetto per suo fratello, il disprezzo che molti altri cavalieri hanno nei suoi confronti e in quello di Ioria stesso, nonché è il primo cavaliere a rendersi conto che Atena è veramente Lady Isabel. Insomma, il suo personaggio, tranne il livello visivo, viene reso bene quasi quanto la serie animata.
Un altro punto più interessante lo snodo della storia dalla morte di Cancer alla consapevolezza di tutti i cavalieri d’oro che Arles era un impostore e quella giovane ragazza dai capelli viola era Atena. È una fase gradevole perché finalmente si lascia un po’ da parte l’ironia di certi personaggi e stravolgimenti della trama. Nonostante nessuno dei cavalieri d’oro successivi riesca a colpire profondamente lo spettatore. Insomma, laddove il climax si alza leggermente, si inizia a respirare un aria migliore, sprecata poi per un finale monopolizzato da Pegasus che rischia persino la vita, mentre tutti i cavalieri d’oro e di bronzo restano attoniti a guardare l’evoluzione dell’armatura di Pegasus, che, sul braccio destro, si installa un qualcosa di indefinibile sia esteticamente che praticamente. Dovrebbe essere un evoluzione della sua armatura a seguito del cosmo che i suoi amici e Atena stessa hanno infuso in lui per farlo rinvenire dallo scontro con Scorpio, ma esteticamente è ripugnante.
Rosso, giallo e più rosa, nero e blu…
Il finale alla Power Rangers è stata una delle cose più umilianti di tutto il film. Apparentemente sconfitto dalla mega armatura di Pegasus, Gemini torna guidando da dentro un mostro altissimo! Cosa che ricorda perfettamente i classici scontri dei Power Rangers che, dopo aver sconfitto il nemico con le armi normali, questo si trasforma diventando gigante! Il conseguente arrivo dei Megazord porterà allo scontato lieto fine.
Così accade nel film La leggenda del grande tempio: Pegasus, investito della sua armatura, sconfigge Gemini normale, quando quest’ultimo tornerà in forma di minaccia gigantesca, l’armatura di Sagitter sarà il Megazord di Pegasus.
Doppiaggio Storico
De Palma, Balzarotti, Fuochi, Cericola e molti altri sono tornati ai microfoni a interpretare i loro amati Cavalieri dello Zodiaco. Le voci, infatti, sono l’unica cosa che si può apprezzare maggiormente nel film, così belle e vibranti che quasi non si meritano di essere accostati a questo reboot, ma è grazie a loro che il tutto risuona meglio.
Con la traduzione dei testi di Erika Antoniazzi e la direzione di Ivo De Palma, il doppiaggio ha preso il volo sulle ali di Pegasus! E l’immagine non è totalmente figurativa, poiché proprio Ivo De Palma doppia il protagonista del film e, memore della stupenda esperienza condotta con Enrico Carabelli, conduce la squadra dei tanti doppiatori, vecchi e nuovi, verso i fasti di quel doppiaggio che si avvalse di numerosi plausi fra le persone e trasformò dialoghi più diretti e banali in iperbolici e poetici momenti di intensa profondità di pensiero ed espressione.
Certo, in questo caso il film lasciava poco spazio a quei momenti, il frenetico correre verso le stanze del Grande Sacerdote e la necessità di abbreviare una storia molto lunga e intrisa di tanti intrecci sentimentali, ha anche impoverito il lessico disponibile; ma quando una voce come quella di Tony Fuochi risuona con il suo Ali della fenice, quella di Balzarotti con Colpo segreto del drago nascente e quella di De Palma squilla sul Fulmine di pegasus, ogni altro orpello linguistico lascia il tempo che trova, facendo riemergere dalla memoria momenti indimenticabili dell’infanzia.
Un complimenti a tutti loro, scultori della voce. Ma insieme a questi complimenti, aumenta l’amarezza nel pensare a un occasione sprecata; spesso si accusano i doppiatori di rovinare i film, qui è accaduto il contrario: il film ha rovinato una prestazione vocale eccellente e chissà quanto tempo dovrà passare prima di poterli ascoltare nuovamente, mentre sostengono i timori, le gioie e le passioni dei loro cavalieri. Loro ci hanno creduto, come il loro direttore, che tanto ha spinto l’evoluzione e diffusione del film fino a sponsorizzarlo di sua personale iniziativa e rende amaro, ancor di più, l’inefficacia del film.
Reboot o Remake?
Giustamente è stato fatto notare che il film La leggenda del grande tempio è più un reboot che remake:
- Reboot: Termine informatico (riavvio) applicato ai prodotti di fiction, che indica la pratica di creare una nuova versione di una stessa storia, modificando la continuità narrativa e creando così un nuovo inizio. Si tratta di una tecnica di variazione tipica di un sistema basato sulla serialità, che tende a dare nuova linfa a brand e saghe famose e a perpetrarne il successo attirando nuovi spettatori, affidandosi allo stesso tempo a una solida base di precedenti fans, limitando così le possibili perdite.
- Remake: Rifacimento di un film, o anche di uno spettacolo, che a distanza di tempo intende ripeterne le caratteristiche emotive e spettacolari e, possibilmente, il successo, puntando soprattutto su nuove tecniche, su interpreti di richiamo, su dialoghi aggiornati.
Se il film vuole essere un Reboot, ha fallito ancora di più, poiché, quella che viene definita “una solida base di precedenti fans” è uscita totalmente indignata dalla sala cinematografica, i nuovi (e non so quanti nuovi ci fossero realmente) a parer mio ne sono usciti delusi o, quantomeno, frastornati. Si sono trovati davanti personaggi che non hanno più alcun appeal se non quello estetico delle armature e dei colpi scintillanti; si sono trovati innanzi a una storia il cui ultimo significato, banalmente restituito sottoforma di monologo/spiegone al termine del film, è sì chiaro ma non rimane impresso nello spettatore.
Se il film, invece, si proclama come Remake, recupera qualcosina dal passato, ma viene fortemente deluso con il suo presente.
In ogni modo lo si voglia porre, La leggenda del grande tempio è stato un flop catastrofico, uno di quelli che può uccidere tutti i nuovi progetti del brand.
Kurumada, dopo il totale fallimento con Saint Seiya Omega, ha fatto un ennesimo buco nell’acqua e di ciò me ne dispiaccio fortemente, poiché ha creato e sviluppato un universo folto e bellissimo, che ha emozionato generazioni ed è capace, ancora oggi, se fatto bene, di coinvolgere vecchie e nuove persone.
Ma se dinanzi al declino dell’animazione giapponese, anche le colonne dei fasti passati, vacillano e crollano sotto il fascino di un “rinnovamento” e “ringiovanimento” di un brand, cosa accadrà in futuro? Quell’animazione che, con mezzi rudimentali e pochissimi soldi in tasca, è riuscita a perforare e battere la concorrenza occidentale, si spegnerà sotto le nuove tecniche d’animazione ed un budget certamente più elevato?
Questo dovrebbe far riflettere molti lavoratori del settore animazione e non solo; anche film come Lo Hobbit hanno trovato i varchi più astrusi nell’utilizzo dei 48 fotogrammi al secondo, che restituiscono troppa realtà, così tanta da sembrare irreale (sorvolando i problemi di fotografia che ha comportato).
La Disney stessa che ha sostituito le matite in grafite con le penne e tavolette grafiche, avrà fatto la scelta giusta? Per il momento i guadagni gli rispondono di sì e, d’altronde, molte altre case di produzione stanno approdando sul settore animazione proprio grazie alla computer grafica. Ma se c’è da fidarsi completamente di questo mezzo lo potremo scoprire solo con gli anni a venire.
Nel frattempo non possiamo che osservare lo scenario del mondo attuale: in frenetica evoluzione da una parte e in disfacimento dall’altra.
Di certo, non ne sono felice.