Miracleman #9: sindrome Kimota

E’ orribile.
E’ orribile sapere che si sta acquistando un albo pubblicato molti anni fa e rimasto troppo a lungo nel limbo. Miracleman per molti di noi è ‘nuovo’ ma, in realtà, è vecchio di trentadue anni. Orribile perchè leggere solo oggi un fumetto scritto nel periodo più sacro (credo sia la parola più appropriata) di Alan Moore – o meglio de Lo Scrittore Originale – mi dà la spiacevole sensazione di un’occasione persa. E, inevitabile, una domanda mi si materializza in testa: perchè non l’ho letto prima? 

La ‘sindrome Kimota’ ha colpito un po’ tutti. Chi aveva perso fiducia nei supereroi, chi non si fidava più di Moore e chi è semplicemente rimasto affascinato dal primo eco rimbombato nel volume uno: KIMOTA! 
Un’invocazione che ci aiuta a sognare ancora e ci trasforma in quel qualcosa di santo e potente che vorremmo essere.

Nel fare delle considerazioni in generale su Miracleman, inizio col parlarvi del numero #9, l’ultima uscita italiana, precisando come la mia non sia una recensione, ma piuttosto una riflessione rivolta specialmente a chi MM lo legge e lo ama.
E’ inutile presentare Moore ad un lettore di fumetti, sappiamo quanto la lettura di una sua opera non possa prescindere dal background del bardo, dal suo pensiero e dalle fonti (sopra di tutte Nietzsche) che lo hanno ispirato. Ma la storia presente in Miracleman #9 è semplicemente quella. Non ha una fonte, non credo abbia qualcosa di superficialmente citazionistico. E’ la storia di un uomo, non ha un prima né un dopo, né forse una fine.

Come sapete, Moore iniziò a lavorare su Miracleman prima di Watchmen; e MM rappresenta una pietra miliare dello sviluppo della narrativa supereroistica mondiale. In Italia, sebbene con oltre trent’anni di ritardo, il fumetto è stato accolto molto bene. La scelta di pubblicarlo in albi spillati è quasi simbolica, come un ritorno alle origini, alla semplicità del fumetto. In poche pagine c’è una forza talmente devastante da far sognare tutti. La magia dei supereroi – decisamente affievolita dagli anni – si compie con un atto umano: la creazione. Non posso che definire “sacro” il momento in cui Lo Scrittore Originale ha scritto questa storia, credo fosse al massimo della propria tensione poetica, trattandosi di un Moore alle prime armi, molto giovane e forse anche più ingenuo. Moore racconta un avvenimento sacro, ma lo fa da profano. 

La natività mostrataci in Miracleman #9 supera i confini del nuovo testamento, mostrando un uomo fatto Dio in laboratorio, generato, e non creato, da una sostanza che non è quella del padre. Miracleman (attenzione non parlo di Micky Moran, ma di Miracleman in quanto tale) sente come suo unico genitore colui che gli ha donato le sua abilità, lo spietato scienziato Gargunza. Il figlio che bacia il padre, Micky Moran l’uomo atomico che bacia Gargunza, il padre del suo lato superumano.  
Ma la risoluzione finale, ciò che porta ad un nuovo ciclo di storie per il fumetto di Miracleman, coincide con la fine di una lotta mortale, della catarsi finale. Ed ecco che, infine, si mostra in tutta la sua grandezza il leitmotiv della riflessione di Moore. Può la violenza “volare oltre le montagne“, passando dalla distruzione ad un atto di semplice creazione

Moore non mostra Micky Moran nel momento in cui la moglie sta per partorire, egli mostra Miracleman, supereroe divino, aspettare come un normale padre la nascita della propria eredità. La storia precedente non conta più. MM capisce quanto sia stato tutto vano e importante allo stesso tempo. Capisce che la sua storia, da questo momento, può iniziare davvero. Adesso egli stesso è creatore e finalmente inizia a sentirsi vivo perchè ha generato la vita. I disegni di Rick Veicht, un momento prima della natività, ci mostrano gli occhi di Miracleman di un azzurro splendente (proprio come quelli del suo erede), mentre si abbandona alla riflessione ultima: “E’ questo Gargunza? E’ per questo che abbiamo affrontato tutti quegli anni?

Un supereroe non è mai stato così ‘normale’, e le parole di Miracleman servono a noi spietati lettori di superumani d’acciaio, come una sorta d’incoraggiamento: “Ognuno può essere l’eroe della sua vita“. Con lo scorrere delle pagine ciò che, a primo impatto, potrebbe risultare disturbante nelle tavole di Veicht si palesa per quello che é: la vita raccontata in un fumetto. 

“Ne vale la pena? di rischiare di liberare DEI e Mostri nel mondo? Valeva tutto quel sangue e quella violenza?” 

La risposta è: SI, NE VALEVA LA PENA. Ecco il sangue, ecco la violenza. Riscattati dall’amore. Da un puro atto di creazione.

E il Moore onirico, oscuro, cela la verità in semplici frasi, quasi troppo ottimistiche per lui: 
“Credevi che il tuo scopo fosse l’immortalità. No, era questo il tuo scopo. La tua sola funzione

Non si può essere immortali senza creare. C’è un messagio importante in questo: un’eredità non solo genetica, ma di buon pensiero, rende super-eroi, gli eroi che già siamo nelle nostre vite.

Dobbiamo ricordare le ultime parole con cui Moore chiude la sua sacra natività: “Liz tiene nostra figlia fra le braccia, siamo di nuovo insieme. Tutti i draghi sono stati uccisi, il nostro mondo e’ sano e salvo e silenzioso.”

E sotto Natale, sotto ogni festività, sotto ogni nascita, morte e in ogni giorno della nostra vita, si può vivere, si possono sconfiggere le chimere e infine anche divertirsi.   

Sì, ho la sindorme Kimota e Miracleman è un fumetto E-C-C-E-Z-I-O-N-A-L-E. 

…a tutti gli amici dell’Antro 

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