Dopo l’apocalisse zombie, Robert Kirkman si cimenta con un altro intramontabile classico dell’horror: le possessioni demoniache. ‘Niente di nuovo’ potranno dire alcuni di voi pensando a cult come L’Esorcista, Carrie o Rosemary’s Baby. Ma anche l’apocalisse zombie era un argomento già inflazionato quando The Walking Dead esordì nel 2003, eppure, 10 anni dopo, il fumetto di Kirkman è un punto di riferimento della categoria zombie. E le premesse perché questo accada anche con Outcast ci sono tutte: il primo numero (di ben 44 pagine) è una vera bomba!
Outcast ha rischiato di fare il percorso inverso rispetto a TWD. In origine, infatti, doveva essere un serial televisivo targato Fox e, solo in un secondo momento, Kirkman ha pensato di realizzarne prima una serie a fumetti, naturalmente sempre edita dalla sua etichetta Skybound per Image Comics. Prima che il numero #1 vedesse la luce lo sceneggiatore di Richmond ha lavorato per due anni sullo script affermando che, a differenza di altre sue serie ormai decennali come TWD ed Invincible, stavolta la pubblicazione sarebbe partita con un’idea già chiara sul finale.
Kirkman e Paul Azaceta (l’ottimo disegnatore di Outcast) ci introducono gradualmente nella vita di Kyle Barnes, un uomo alla deriva con un oscuro passato alle spalle, un passato di cui ci vengono mostrati solo dei piccoli sprazzi così da darci un’idea del suo trascorso ma non un chiaro quadro complessivo. E la grande maestria di Kirkman nello storytelling sta anche qui: ci mostra spiragli ma non svela tutto, in modo da incuriosire il lettore in vista dell’uscita dei prossimi albi.
Il West Virginia di Outcast è opprimente, la sceneggiatura è scorrevole e la storia disturbante, vi ritroverete a girare pagina intimoriti da quello che potrete trovarvi di fronte (in tal senso, la tavola di pagina 2 è un esempio lampante).
Kirkman ha messo da subito le cose in chiaro.
L’eccellente lavoro di Azaceta si sposa alla perfezione con lo script, ha un tratto ruvido e pulp ed è interessante l’utilizzo di piccole vignette quadrate che focalizzano l’attenzione su dettagli ed atteggiamenti dei protagonisti. Altrettanto efficace è il lavoro della colorista Elizabeth Breitweiser: una limitata palette di colori con toni scuri ed un accenno di rosso ed arancione, un lavoro che cromaticamente ricorda molto quello di Francesco Francavilla.
E’ chiaro: solo un numero è poco per dare giudizi sulla serie, ma la sensazione che Outcast possa diventare un cult è davvero forte. Sembra proprio che Robert Kirkman abbia fatto di nuovo centro.
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