Mi sono affacciato a questo volume con gran trepidazione. Sono un amante del genere gotico, ma anche di Oscar Wilde e di storie di maledizioni e patti col diavolo. Vedere tradotto tutto questo in un fumetto che non fosse il classico bonelliano, mi pareva quindi un sogno. Le mie speranze, però, sono state disilluse.
Il volume è autoconclusivo e questo, principalmente, penso rappresenti il bandolo della matassa. La trama si risolve in maniera frettolosa e con il ricorso a stratagemmi alla stregua di deus ex machina, pur non risultando comunque chiara fino in fondo, né nella rappresentazione né nella volontà di fondo. Anche il rapporto amoroso tra i protagonisti (cioè tra Victor e Samuel, ma anche tra quest’ultimo e Annabelle) è talmente abbozzato da risultare posticcio: non si dà il tempo al sentimento di nascere e crescere, figuriamoci se questo “sentimento” deve essere tanto intenso da portare al sacrificio estremo. Il lettore lo avverte con costernazione e con la sensazione che qualcosa sia sbagliato, che manchi, anche quando non coglie il motivo preciso di questo malessere. Il risultato è una disaffezione nei confronti dei personaggi e del loro agire.
Il tratto del Zeccardo è buono e sappiamo che migliorerà, avendo visto fumetti successivi, ma qui è ancora parecchio scostante. La citazione di Wilde sul finale, che vorrebbe in qualche modo allacciarsi a “Il ritratto di Dorian Gray” è solo un goffo modo di tentare, al contempo, di manifestare erudizione e dare una chiave di lettura alle vicende.
Forse, con un centinaio di pagine in più a disposizione, il lavoro sarebbe riuscito a guadagnare dignità ma, in questa maniera, sembra solo un lavoro chiuso di fretta.
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